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 2013  novembre 17 Domenica calendario

L’UOMO CHE SCRIVEVA LETTERE A NESSUNO


La storia della letteratura è piena di lettere, alcune spedite, altre soltanto scritte e messe da parte. Tra le più celebri ci sono quelle di Herzog, il protagonista del romanzo eponimo di Saul Bellow, che scrive ad amici, conoscenti e personaggi famosi, senza poi arrivare all’atto finale: l’invio. E, ovviamente non ci possono essere risposte, a lettere non spedite. Non risponde nemmeno il signor Hermann Kafka, il proprietario ebreo dell’emporio praghese Galanteriewaren, a cui il figlio Franz scrisse una struggente Lettera al padre. In un “tentativo assai incompleto” – come lo definisce Kafka stesso – di raggiungere il destinatario. E che cos’è la letteratura se non questo tentativo incompleto e vano di raggiungere qualcuno, di ricevere una risposta? Cos’è l’atto di pensare a un destinatario, in letteratura, se non la temeraria e goffa maniera per spalancare una porta sull’abisso e poi chiamare?
Izydor, uno dei personaggi del romanzo della scrittrice polacca Olga Tokarczuk Nella quiete del tempo, è un uomo che sta sulla soglia dell’abisso, che vorrebbe scrivere lettere per ricevere delle risposte. Il luogo è Prawiek, «situato al centro dell’universo», con un confine come limite invalicabile («Prawiek finisce qui, oltre non c’è più niente»). «Izydor era diventato proprietario di una collezione di francobolli di tutto rispetto. Da quel momento avrebbe potuto anche lui scrivere lettere, se solo avesse avuto qualcuno a cui scriverle ». Ruta, a cui vorrebbe tanto scriverle, non c’è più, un giorno ha oltrepassato la linea e non si è più vista. Lui non saprebbe dove raggiungerla, e lei non potrebbe rispondergli. Così trova opuscoli pubblicitari con sopra un indirizzo a cui scrivere. «Dopo qualche settimana Izydor ricevette una grossa busta bianca con l’indirizzo scritto a macchina. C’erano incollati francobolli stranieri […]. La busta conteneva materiale pubblicitario sulle automobili della Mercedes Benz. […] In vita sua non si era mai sentito così importante ». Izydor può fare una cosa soltanto, avendo paura di affacciarsi sull’abisso in cui Ruta è scomparsa: trovare un indirizzo qualsiasi, consapevole che con le risposte che riceverà potrà farci soltanto qualcosa di pragmatico (troverà il modo di guadagnarci dei soldi) ma non riuscirà a colmare un’assenza.
Il viaggio in quel niente che si spalanca oltre il confine se solo si trova il coraggio è la materia incandescente di questo romanzo, che arriva in libreria come un meteorite, per visionarietà, ambizione e bellezza. Era apparso fugacemente alla fine degli anni Novanta da e/o e ora ritorna nella traduzione di Raffaella Belletti pubblicato da nottetempo. Arriva un anno dopo il sorprendente Guida il tuo carro sulle ossa dei morti e dopo altri due libri pubblicati da Forum, ad ampliare il quadro di quella che è senza dubbio una delle più notevoli e originali scrittrici europee di oggi. Sarà difficile, da questo momento, dimenticarsi di Prawiek, luogo misterioso protetto da quattro arcangeli. È costeggiato da due fiumi, la Bianca e la Nera, che si congiungono sotto il mulino, teatro di tutta la storia raccontata qui dentro e in fondo però teatro di niente, dentro l’immensa Storia del mondo: «Il corso d’acqua nato sotto il mulino dall’unione delle Nera e della Bianca prende il nome di Fiume, e scorre oltre calmo e appagato».
La seduzione di questa storia in qualche modo biblica, che attraversa la storia del Novecento grazie alle storie piccole e magiche del castellano Popielski e di Genowefa, di Ruta, Spighetta e Boski, sta tutto dentro il coraggio di usare la Storia per poi sbarazzarsene con un soffio liberatorio e inquietante al contempo. Le due guerre mondiali, il comunismo, la censura di matrice sovietica, e poi quel centro dell’universo che resterà immutabile per secoli in vite magiche e ordinarie, tra nascite e morti, bambini che trasformano in bisce ramoscelli raccolti, parti miracolosi, scomparse. Perché c’è qualcosa di molto più grande, intorno, che è un soffio lunghissimo. È un Dio vanitoso, ed è la Natura, il fiume, la terra, gli Animali, protagonisti assoluti nelle storie della scrittrice polacca. È tutto quello che sta oltre la linea di confine di Prawiek, in quello che l’uomo chiama Niente. Gli uomini in fondo fanno quello che possono, per stare al mondo senza avere troppa paura dell’universo più grande che li circonda, di cui però fanno parte. Danno i nomi alle cose, lo addomesticano, il Mondo, lo impacchettano, scrivono lettere per buttare fuori domande enormi e poi si accontentano degli opuscoli pubblicitari. Oltre il confine, però, ci sono gli Animali, e perché l’Uomo riesca a conviverci senza essere immobilizzato dal terrore deve ritirarsi dietro la linea, e imparare a pregare, a scrivere lettere senza aspettarsi niente in risposta. È questo che insegna la letteratura, in qualche modo. «Noi abbiamo una concezione del mondo – scriveva Tokarczuk in Guida il tuo carro sulle ossa dei morti – ma gli Animali hanno una percezione del mondo, lo sai?».