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 2013  novembre 17 Domenica calendario

LA CINA E LA CITTÀ DELLE DONNE ECCO IL VILLAGGIO MATRIARCALE


Viviamo qui, in Italia, Europa e ormai quasi tutto il resto del mondo, in una società malatissima, malandata, corrotta, ingiusta e ineguale. Viviamo a dodicimila all’ora, in tensione, ansiosi e preoccupati. Corriamo invece di camminare, rincorriamo costantemente mete vere e fittizie. Siamo schiavi della nostra immagine. Accumuliamo beni, perdiamo beni, siamo costantemente aggressivi, subiamo vari tipi di poteri visibili o subdolamente soggiacenti che inducono alla rabbia, alla ribellione e alla depressione. E la realtà, per niente democratica, scatena una violenza da tempi storicamente bui.

Non troviamo soluzioni, impacchettati e imprigionati, nonostante il pensiero generico o speculativo corra a fiumi in cerca di un’uscita. La misoginia è instillata come veleno mortale, gli abusi e la prevaricazione sono atti di una costanza disarmante. Cerchiamo pertugi che facciano prendere boccate d’aria non malsana, ma quelle boccate che servirebbero a darci tregua ci consentono solo di imparare a stare in un’apnea forzata per più tempo. Resistiamo affaticati, cresciamo i figli in un’infinita corsa ad ostacoli, tentiamo di sconfiggere il tempo, rimandando vecchiaia e morte, procrastinando i segni degli anni. Provati e stanchi.

Ma se invece di trovare spiragli minimi per sopravvivere, spalancassimo la porta?

Farlo da soli è un atto di coraggio individualista o al massimo scovato in esigui gruppi di persone che la pensano allo stesso modo. Ci viene allora in aiuto uno splendido libro edito da nottetempo, Il regno delle donne (pp.211, euro 15,50), che non analizza lo status quo, non propone correttivi e palliativi, e non tenta di convincerci o farci sposare una nuova teoria. Semplicemente racconta di un viaggio in un luogo sperduto e quasi inaccessibile a 2500 metri, nella Cina meridionale, in mezzo alle montagne himalayane. L’autore è un medico e scrittore argentino, Ricardo Coler, curioso e perenne viaggiatore in altre culture che, come ogni vero viaggiatore, non esprime giudizi e accoglie anche l’incomprensibile.

Impronta tibetana
Nella provincia dello Yunnan, sulle rive del Lago Lugo, vive un popolo di più di 25.000 persone, a forte impronta tibetana per religione, tratti somatici e ambiente geografico. Ciò che rende i Mosuo unici è la loro struttura sociale a base completamente matriarcale. Ritenere che una società matriarcale sia un semplice ribaltamento del potere dagli uomini alle donne è una semplificazione arbitraria e miope. E Coler lo dimostra.

Il viaggio per arrivare al Lago Lugo è faticoso e interminabile, su strade pericolose, ma alla fine ecco aprirsi una sorta di Eden. Coler scopre prestissimo i segni inequivocabili di un ordine diverso delle cose. Ma si addentra lentamente, con profondo rispetto e onestà, in un sistema sociale completamente nuovo. Scopre una ad una le diversità di un modo di vivere che ha regole semplici e che tutti, dalla tenera età fino alla vecchiaia, ottemperano naturalmente. Con l’aiuto di un traduttore, anche lui ignaro e sorpreso e alquanto diffidente, incontra le donne e gli uomini Mosuo, condivide le giornate, i pasti, vince le ritrosie, ascolta, domanda.

Scopriamo con lui che il matriarcato si basa su differenze fondanti rispetto al patriarcato. È vero, sono le donne che decidono. A un loro richiamo gli uomini scattano come molle, e adempiono ai lavori pesanti o fanno i traghettatori lungo le sponde del lago o vanno a comprare animali da soma. Ma hanno anche molto tempo libero che passano a giocare a mahjong. Le donne lavorano i campi e cucinano, senza lesinare la fatica. Il capovolgimento dei ruoli non sarebbe sufficiente se non si innestasse in un tessuto familiare che prevede che tutti i membri abitino la casa e non la lascino per creare nuovi nuclei, perché il matrimonio non esiste. Avete presente quella istituzione che genera promesse, chiusura, gelosia, accaparramento, unicità che poi svanisce in pochi anni e diventa galera? L’amore per i Mosuo è un’altra cosa e corrisponde alle vere qualità del sentimento. Anche alla sua transitorietà, ciò che rimane per sempre è infatti il nucleo in cui si nasce.
Coler indaga sulla sessualità discorrendo con le donne e gli uomini, e constata che è più che mai una libera espressione dell’attrazione. Molto libera. Gli incontri avvengono quando la ragazza lo decide. L’uomo che viene fatto entrare nell’alcova, appende il cappello alla porta. Segno che è lui il prescelto. Può essere per una notte o protrarsi per un lasso di tempo indefinito. Ma mai i due innamorati andranno a vivere insieme. I figli che nasceranno mai vivranno al di fuori della famiglia della matriarca. La conclusione è che la figura del padre non esiste, a dispetto di tutte le teorie che scrutano l’influenza e l’importanza del ruolo paterno nella nostra società. Il risultato è che tra i Mosuo non c’è la violenza né la prevaricazione maschile (o femminile), non ci sono atti illegali e al primo accenno di aggressività basta un intervento della matriarca per riportare tutto all’ordine. Coler sottolinea che questo avviene grazie a una solidarietà tra donne inscalfibile, fatta di aiuto reciproco, grandi chiacchiere, vita in comune. Il possesso amoroso non esiste, al pari dell’esclusività. Quando due innamorati, e non una coppia, si separano, lo fanno morbidamente, accettando la decisione del partner senza recriminazioni. Leggendolo, non si può fare a meno di pensare a tutti quegli uomini che, non sopportando che le compagne li lascino, le perseguitano e le uccidono. È possibile quindi che ciò non accada, e l’esempio dei Mosuo ci conferma quanto la violenza maschile sia culturale all’interno di un contesto distorto basato su una forma sociale profondamente misogina e diseguale che possiede valori sbagliati e non vitali. Il ripensamento, confrontandoci con la società matriarcale dei Mosuo, è imprescindibile, non sono le nostre leggi a dover cambiare ma le fondamenta tutte, a partire da una femminilizzazione del vivere, perchè come afferma un Mosuano, «stare in mano alle donne è stare nelle mani migliori».

Quando la Cina decise che questo piccolo popolo montano doveva uniformarsi nei modi e nei costumi alle regole del resto del paese e cambiare il proprio matriarcato, arrivarono i soldati a obbligare i Mosuo a sposarsi, fare figli, costituire famiglie tradizionali. Per un po’ furono assecondati dalla popolazione, ma appena l’esercito se ne andò, tutti ritornarono al più congeniale matriarcato.

Un esempio di resistenza passiva propria di una cultura con radici fortissime e condivise e non violenta. Ora il governo centrale cinese sta costruendo una strada per collegare il lago e la sua provincia ad altre province limitrofe. È la grande minaccia che incombe, perché, paradossalmente, laddove esiste la comunicazione, la mescolanza produce mutamento talvolta irreparabile. Sembra un concetto conservativo, ma spesso la contaminazione produce squilibri e scontri, non rispetta le peculiarità, invade con modelli che martellano e si impongono come esemplari. La torsione capitalista nelle economie emergenti, Cina e India, ne è un esempio. Invece di essere un’opportunità e un’alternativa, il matriarcato Mosuo rischia di venire cancellato e soffocato da errori economici e sociali che si perpetuano da secoli attraverso il patriarcato autoritario e cieco. Oserei dire che leggere Il Regno delle donne e rifletterci attentamente sia un piccolo atto di rivoluzione, una presa di coscienza, e una prova inconfutabile e reale di come sia davvero possibile un cambiamento di ciò che siamo diventati e della vita che facciamo, illusi, adulati, premiati nella nostra presunta superiorità. In verità siamo solo insostenibili e odiosi esseri umani.