Augusto Frasca, Il Tempo 17/11/2013, 17 novembre 2013
LA MEDAGLIA SALVACRISI
Fra quarantotto ore sapremo quanto il mercato impazzito del collezionismo riuscirà a spremere dall’oro ingiallito di una medaglia consegnata a Berlino settantasette anni fa. La vicenda è nota. Su incarico degli attuali possessori, una casa d’aste californiana installata a Laguna Niguel, zone evocanti la figura del frate minore e santo abruzzese Giovanni da Capestrano, ha messo in vendita online una delle quattro medaglie d’oro vinte dal fuoriclasse statunitense Jesse Owens ai Giochi del 1936. Base d’asta, inizio da mercoledì, un milione di dollari.
Difficile ipotizzare quali iperboli d’offerta possano maturare nelle menti delle migliaia di fanatici cultori di cimeli sparsi per il mondo o del ricco di turno tronfio di mostrare, all’interno di una villa hollywoodiana o nell’ettaro di un attico di Abu Dhabi, l’esclusività del possesso di un oggetto dal valore intrinseco modesto ma dal potente impatto simbolico, quale è la memoria di un uomo e di un’impresa di tali dimensioni da ignorare fragilità di tempi e di mode.
È scritto nei libri. Ai Giochi del 1936 Owens fece di cronaca storia, vincendo con astratta facilità 100, 200, salto in lungo e staffetta 4x100, mai aggredendo pista e pedana berlinesi, ma sempre calcandole con una levità mozartiana rimasta a tutt’oggi insuperata, quella levità di cui la sintesi di tre ore ricavata dai 400.000 metri di negativo girati da Leni Riefensthal per il lungometraggio Olympia restituisce, intatta, l’unicità.
Dopo Berlino, ventitreenne, Owens chiuse con l’agonismo, ritagliandosi per qualche tempo modeste presenze nello sport professionistico statunitense. In anni non facili, introducendolo in ambienti in cui fu possibile sottrarsi all’indigenza, gli fu particolarmente amico Bill Robinson, star di Broadway. Fu a lui che il campione, riconoscente, fece dono di una delle quattro medaglie. A distanza d’anni, bisognosa di entrate, la vedova di Bill ha deciso di mettere a frutto quelle manciate di metallo, e v’è da giurare che le sarà facile centrare il bersaglio.
Il mondo dello sport non è nuovo a vicende simili. Björn Borg, dominatore del tennis nei Settanta, malmesso economicamente e dunque vittima d’una dolorosa maturità, fu costretto a vendere i cinque trofei conquistati al torneo di Wimbledon. Tommie Smith, protagonista nell’Olimpiade messicana del 1968, offrì la medaglia dei 200 metri in beneficenza. La coppa d’argento donata nel 1908 dalla regina Alessandra a Dorando Pietri dopo il drammatico esito sul traguardo della maratona di Londra, attualmente custodita in un istituto bancario di Carpi, nel 1999, in occasione di una trasferta superblindata nella Capitale, fu assicurata per 500 milioni. Chissà a quale cumulo di dollari ammonterebbe la medaglia conquistata da Cassius Clay ai Giochi di Roma, ove dovesse un giorno riapparire da qualche parte, diversamente da quanto dichiarò all’epoca il campione, averla cioè gettata in acqua come ripulsa nei confronti di un’America bianca ostile ai neri.