Francesco Casula e Lorenzo Galeazzi, Il Fatto Quotidiano 16/11/2013, 16 novembre 2013
RIDE MALE CHI RIDE VENDOLA “SCIACALLAGGIO DEL FATTO”
Complimenti, io e il mio capo di gabinetto siamo rimasti a ridere per un quarto d’ora”. È una “scena fantastica”, secondo Nichi Vendola, lo “scatto felino” con cui l’ex responsabile relazioni istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà, agli arresti domiciliari, strappa il microfono a un giornalista che sta chiedendo al patron dell’Ilva Emilio Riva se i casi di tumore a Taranto fossero frutto della sua fantasia. L’audio della telefonata (luglio 2010) – con tanto di felicitazioni per il guizzo con cui il dirigente impedisce a un cronista di fare il suo lavoro – è contenuto nelle intercettazioni dell’inchiesta “Ambiente svenduto” ed è stato pubblicato ieri in anteprima da ilfattoquotidia no.it . Non uno scoop che getta una luce inquietante su convivialità e confidenza dei rapporti fra i due, ma una “lurida operazione di sciacallaggio”, per Vendola, tanto da convincere il governatore a sporgere querela contro il Fatto e il “suo tentativo di linciaggio” finalizzato non a dare una notizia, ma a “compromettere la sua immagine di ambientalista e di persona”.
Il video che ha così divertito il governatore pugliese è dell’autunno 2009, ma torna di drammatica attualità quando in città, l’estate dopo, esplode l’emergenza benzo(a)pirene. A sollevare il caso è il direttore dell’Arpa Giorgio Assennato che attribuisce i veleni dell’aria alle emissioni prodotte dal polo siderurgico tarantino. Un brutto colpo per l’azienda che proprio in quei mesi sta premendo sul ministero dell’Ambiente per la concessione dell’Aia, l’autorizzazione integrata ambientale.
“Dobbiamo vederci, ridare garanzie”
Dopo risate e ammiccamenti, il leader di Sel ribadisce all’uomo, definito dagli investigatori “dominus delle operazioni illecite” dell’Ilva, che può contare su di lui: “Faccia sapere all’ingegnere (Emilio Riva, ndr) che il presidente non si è defilato”. Per i pubblici ministeri, il governatore è così a disposizione che finirà indagato per concussione, in concorso con i vertici dell’azienda, per le pressioni esercitate su Assennato, dirigente dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, che ha osato sfidare lo stabilimento con la sua relazione sulla qualità dell’aria. “Il tutto è poggiato su una scivolata del nostro amico direttore (Assennato, ndr)”, dice Archinà ricevendo rassicurazioni dal governatore pugliese Nichi Vendola: “Ognuno fa la sua parte perché, al netto dei procedimenti, l’Ilva è una realtà produttiva, e quindi dobbiamo vederci, dobbiamo ridare garanzie”.
“Operazione lurida, querelo i giornalisti”
Prima della pubblicazione on line, ilfattoquotidiano.it ha cercato inutilmente di mettersi più volte in contatto con Vendola, che poche ore dopo l’uscita del-l’intercettazione ha preferito affidare il suo sdegno ai colleghi di Repubblica.it : “Non rido dei tumori, ma del guizzo felino”. E ancora: “Un tentativo lurido di sciacallaggio puro”. Parlano i parlamentari del M5S: “Proviamo disgusto, ha perso ogni credibilità: si dimetta”. E anche Beppe Grillo: “Vendola è un servo dei Riva”. Dimissioni chieste anche da Verdi e Pdl.
Riva: “Due casi di tumori in più all’anno? Minchiata”
Se per Vendola è “da sciacalli pensare che ridessi per qualcosa che ha ferito anche la mia vita”, così non deve essere per Fabio Riva, figlio del patron Emilio ed ex vicepresidente dell’Ilva. L’industriale, latitante a Londra in attesa di estradizione, è accusato di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro e corruzione in atti giudiziari. Al telefono con l’ex legale dell’azienda, Francesco Perli (anche lui indagato) derubrica come “minchiata” l’ipotesi di un aumento dei tumori causati dall’inquinamento della fabbrica, e per Perli l’emergenza ambientale denunciata dall’Arpa è “frutto delle ambizioni politiche” di Assennato. La prima telefonata fra i due ascoltata dagli investigatori risale al 9 giugno 2010 e, mentre Taranto è alle prese coi cancerogeni nell’aria, a Roma si discute del rilascio dell’Aia per gli impianti dei Riva che arriverà l’estate prossima. Una partita importantissima che non può essere compromessa dai rilievi dell’Arpa. “Un fatto grave”, come sottolinea Perli. Ma non c’è da preoccuparsi perché, sostiene l’avvocato, “la commissione ha accettato il 90 per cento delle nostre osservazioni”. E per il restante dieci non c’è problema perché a Perli è stato assicurato che le verifiche sugli impianti non riserveranno sorprese: “Va un po’ pilotata questa roba della commissione”.
Soldi dei Riva alla Fondazione della Prestigiacomo
Ma chi sono gli uomini del dicastero dell’Ambiente su cui Riva e Perli possono contare? Secondo le indagini, chi ha permesso all’Ilva di ottenere un’Aia “su misura” sono il capo commissione Dario Ticali e il caposegreteria dell’allora ministro Stefania Prestigiacomo, Luigi Pelaggi. È lui che il 28 giugno chiama Riva per chiedere un finanziamento per un convegno a Siracusa della Fondazione Liberamente del terzetto Prestigiacomo-Gelmini-Frattini. “Per chi vuole aderire sono 4-5.000 euro”, dice Pelaggi. Riva, senza un attimo di esitazione risponde: “Benissimo”. Poi riprende la parola il braccio tecnico del capo del dicastero: “Poi con Perli ci stiamo sentendo e teniamo tutto sotto controllo, quindi sono molto soddisfatto”.
Perli: “Se non ci danno l’Aia salta la ministra”
Le cose però, in sede Aia, non vanno proprio come l’Ilva si aspetta ed è per questo che i “Riva sono incazzati come delle bisce”, come racconta Perli, testa di ponte fra azienda e ministero. Il 22 luglio 2010 l’avvocato relaziona Riva dell’ultima agitata riunione con Pelaggi: “Gli ho detto che se le cose stanno così, noi mettiamo in mobilità 5 o 6 mila persone. Che su ‘sta cosa qui non salta Ticali, ma la Prestigiacomo”. Perli con Pelaggi è arrembante: “Cosa dobbiamo fare di più? Ve l’abbiamo scritta noi (l’Aia, ndr). Dovete prendere le carte, metterle in fila e gestire un po’ il rapporto con gli enti locali”. “Bisogna stargli addosso, non c’è un cazzo da fare”, ammette Riva. Per l’accusa, alla fine, le minacce riscuoteranno il successo sperato. Mentre a Roma nell’agosto 2011 arriverà l’Aia, a Taranto, dopo le pressioni della Regione, Assennato ridimensionerà il suo approccio, “fino ad allora improntato al più assoluto rigore scientifico”, scrivono gli investigatori. Ma il dirigente Arpa negherà i fatti, finendo così anche lui fra gli indagati.