Andrea Di Biase, Milano Finanza 16/11/2013, 16 novembre 2013
LA SFIDA DI BARBARA
Anche se in Via Poleocapa a Milano, dove ha sede il quartier generale della Fininvest, non sembrano aver preso molto bene il blitz di Barbara Berlusconi per prendere il posto di Adriano Galliani al vertice operativo del Milan, l’iniziativa della 28enne figlia dell’ex presidente del Consiglio e dell’ex moglie Veronica Lario sembra essere andata a buon fine. Nonostante il lungo faccia a faccia di sabato 9 novembre a Villa San Martino tra Silvio Berlusconi e l’attuale vicepresidente vicario del club rossonero, presente il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, si sia concluso senza decisioni ufficiali, la sensazione è che ormai i giochi siano fatti e che ad aprile, quando dovrà essere rinnovato il cda del Milan, il nome di Galliani possa non trovare spazio nel nuovo board, spalancando così a Barbara, che già da due anni siede in consiglio ma senza reali poteri di gestione, le porte della società. Il fatto che le stesse reti Mediaset, nei servizi andati in onda negli ultimi giorni, abbiano tributato l’onore delle armi a colui che per 27 anni, tra trionfi internazionali e stagioni poco brillanti, ha guidato il club, testimonia che la strada è ormai segnata. D’altra parte, viene fatto notare in ambienti finanziari, mentre Galliani, pur essendo legato da un rapporto di lunghissima data a Berlusconi, è di fatto solo un manager, l’ex fidanzata di Pato è la figlia del proprietario del club. Anzi, a guardare bene, ne possiede addirittura un pezzo, visto che Holding Italiana Quattordicesima, la società partecipata pariteticamente con i suoi fratelli Eleonora e Luigi, detiene il 21,42% della Fininvest che ha in portafoglio il 99,9% del Milan. E se si considera il fatto che, a differenza di Marina e Piersilvio, i figli di Veronica Lario non hanno ancora ruoli strategici nell’organigramma del gruppo, e che Barbara non ha mai nascosto la propria aspirazione a ricoprire una posizione manageriale di primo livello nelle aziende di famiglia, è evidente che questa volta l’ex premier, seppur avrebbe preferito una soluzione meno traumatica, non ha potuto fare altro che assecondare i desideri della figlia, che gli ha «scatenato l’inferno nel Milan, ma è brava e tosta» anche se «forse non ha l’età, chissà?»
Ma sarà in grado la giovane Berlusconi di fare meglio di Galliani? In 27 anni di Milan l’attuale ad, potendo contare sul sostegno finanziario della Fininvest, ha vinto tutto quello che c’era da vincere, portando a Milano campioni e stelle internazionali, ma anche illustri bidoni. Si è creato e consolidato una rete di potere, prima stringendo un sodalizio con l’ex ad della Juventus, Antonio Giraudo (memorabili i pranzi a base di tartufi bianchi al ristorante Guido a Costigliole d’Asti). Poi, dopo che il ciclone Calciopoli ha spazzato via la vecchia dirigenza bianconera, muovendosi in autonomia e, in tempi più recenti, facendo asse in Lega con i piccoli club. Ma erano altri tempi, quelli del calcio dei mecenati. Il fair play finanziario e la crisi economica hanno cambiato lo scenario di riferimento. Oggi i club devono stare in piedi con le loro gambe, ma per vincere e affermarsi in campo nazionale, ma soprattutto a livello europeo, come compete a un club del rango del Milan, è ancora necessario spendere. Insomma, impostare un buon mercato, come hanno fatto quest’anno Roma e Fiorentina, che hanno saputo reinvestire al meglio quanto incassato con le cessioni, e indicate da Barbara Berlusconi come esempi di maggiore efficienza rispetto ai rossoneri, può aiutare a spiegare l’attuale carenza di risultati della squadra guidata da Massimiliano Allegri, ma non è sufficiente. Sbagliare una stagione ci sta. Anche sbagliarne due. Nello sport, più che nell’industria, ci sono variabili imponderabili. Il problema del Milan non è tuttavia l’attuale ruolino di marcia in campionato, ma la progressiva emarginazione dal circolo dei top club europei.
L’ultimo trionfo internazionale dei rossoneri risale al 2007. Da lì in poi il club, nonostante i soldi spesi, non è più stato in grado di aprire un nuovo ciclo di vittorie internazionali. Dal 2008 al 2012 la Fininvest ha versato nelle casse del club circa 250 milioni. Eppure nella bacheca di Via Turati sono arrivati solo uno scudetto e una supercoppa italiana. In Europa, dopo la vittoria di Atene del 2007, il risultato migliore è stato raggiunto nella stagione 2011-2012, con l’eliminazione ai quarti di finale di Champions League contro il Barcellona. E pensare che dal 2003, l’anno della vittoria della Champions a Manchester contro la Juventus, al 2007, l’anno della rivincita di Atene contro il Liverpool, dal punto di vista sportivo il Milan ha rappresentato di fatto quello che il Barcellona o il Bayern di Monaco hanno rappresentato negli ultimi quattro anni: tre finali di Champions (2003,2005 e 2007), una semifinale (2006), quattro anni ai primi tre posti del Ranking Uefa (2005, 2006, 2007 e 2008). Se oggi il Milan è solo al 14esimo posto nella graduatoria dei principali club europei è anche perché le vittorie del ciclo di Carlo Ancelotti, quando nel club rossonero giocavano campioni del calibro di Paolo Maldini, Andriy Shevchenko (Pallone d’oro 2004), Manuel Rui Costa, Andrea Pirlo, il vero Kakà (Pallone d’oro 2007) non sono state adeguatamente capitalizzate dal punto di vista commerciale, consentendo al club di puntare, come fatto da altre società in Europa, su nuovi campioni per mantenere elevata la competitività sia in campionato sia in Champions, senza invece badare solo al contenimento dei costi.
Se a questo si aggiunge il fatto che negli ultimi anni il settore giovanile rossonero non ha saputo sfornare, come fatto ad esempio dal Barcellona e del Bayern Monaco, giovani talenti capaci di affermarsi progressivamente in prima squadra, e che le non poche risorse investite nel calciomercato sono spesso state utilizzate per acquistare giocatori poco utili al progetto tecnico, ma appartenenti al network di procuratori e presidenti vicini all’attuale ad (Mino Raiola ed Enrico Preziosi su tutti), si possono capire molte cose.
Da questo punto di vista un confronto tra il Milan, il Barcellona e il Bayern può aiutare a comprendere quanto è accaduto. Ancora fino alla stagione 2005-2006 (con i rossoneri usciti in semifinale di Champions col Barça senza perdere), il Milan aveva ricavi superiori sia al club catalano sia a quello bavarese. Da lì in avanti, come si può vedere dalla tabella pagina 24, è avvenuto il sorpasso. Come è stato possibile? Di certo le specificità del sistema Italia hanno pesato. L’introduzione della legge Melandri sulla negoziazione collettiva dei diritti televisivi ha contribuito a limitare la crescita del fatturato del Milan e degli altri top club di Serie A (anche se è pur vero che dal punto di vista dei diritti televisivi il Milan continua a incassare più dei campioni d’Europa del Bayern Monaco), così come l’assenza di un impianto di proprietà ha di fatto inchiodato la crescita di questa voce di ricavo per i rossoneri, mentre il Bayern, che dalla stagione 2005/2006 può contare su un moderno impianto quale l’Allianz Arena, ha visto aumentare nel tempo i proventi legati allo stadio.
Ma è sui ricavi da sponsorizzazioni e marketing che la partita è stata persa. E in questo caso senza troppi alibi. Se è infatti vero che sotto questo punto di vista il Bayern, che opera in un mercato sicuramente più ampio ed efficiente di quello italiano, poteva contare già nei primi anni 2000 su una posizione di forza rispetto al Milan, lo stesso non si può dire per il Barcellona. Nonostante il Milan sia quello tra i club italiani con maggiore propensione allo sviluppo delle attività commerciali, il cui apporto al totale dei ricavi è comunque importante, se lo si mette a confronto con il Barcellona il confronto appare impietoso. Negli ultimi anni, come hanno sottolineato gli analisti della Deloitte nell’annuale report dedicato ai proventi dei principali club europei (Money League 2013), «la crescita dei ricavi» del Barcellona «è stata trainata quasi esclusivamente dall’aumento significativo delle entrate commerciali» nelle ultime due stagioni e in particolare grazie all’accordo siglato con la Qatar Sports Investments da 30 milioni l’anno. Pur a fronte dei buoni risultati, almeno per quanto riguarda il mercato italiano ottenuti dal Milan, negli ultimi anni il divario col Barca in termini di ricavi commerciali si è ancora più allargato, anche per il fatto che, grazie alle vittorie europee e alla presenza di affermati e celebrati campioni tra le sue fila, primo ma non il solo, il Pallone d’Oro Leo Messi, il Barcellona si è ormai consolidato come un brand globale.
Secondo la società di consulenza Brand Finance, specializzata nella valutazioni dei marchi e degli intangible, nel 2013 il valore del marchio del Barcellona, alla luce dei risultati sportivi raggiunti (la vittoria nella Liga, ma l’eliminazione in semifinale in Champions) è rimasto pressoché stabile a 572 milioni di dollari al quarto posto in Europa, quello del Bayern Monaco, grazie alla tripletta (Champions, Bundesliga e Coppa di Germania) è balzato dal secondo al primo posto con un valore stimato di 860 milioni di dollari, mentre quello del Milan, pur confermandosi al nono posto, ha registrato il calo più grande (-10% a 263 milioni di dollari) tra quelli delle squadre inserite nella top 10.
Secondo gli esperti di Brand Finance, i risultati relativamente deludenti del Milan in campo sportivo sia a livello nazionale che europeo nella stagione 2012-2013, assieme all’invecchiamento di San Siro, che impatta negativamente sui ricavi da stadio, non sono stati sufficientemente bilanciati dagli sforzi intrapresi dalla società dal punto di vista commerciale, con la decisione, suggerita dall’advisor Infront Italy, di razionalizzazione del numero degli sponsor, in modo da garantire loro maggiore visibilità ed esclusività, in cambio di maggiori introiti.
Se questo trend dovesse continuare anche nel medio periodo e il Milan, che sembra avere rifocalizzato la propria mission puntando a un ruolo di vertice solo nelle competizioni nazionali (obiettivo che, peraltro, in questo momento appare lontano), non dovesse tornare ad avere un ruolo di primo piano nelle competizioni europee, la forbice con i top club europei potrebbe allargarsi ulteriormente anche dal punto di vista commerciale.
Se davvero a primavera ci sarà la rivoluzione al vertice del Milan, la nuova dirigenza rossonera guidata da Barbara Berlusconi si troverà dunque ad affrontare una missione ben più complicata di quella di azzeccare una campagna acquisti. Tornare a primeggiare in Italia e in Europa senza chiedere altri soldi all’azionista rappresenta una sfida importante. E Marina Berlusconi, che di Fininvest è il presidente, lo sa bene.