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 2013  novembre 16 Sabato calendario

DALLA INEDITO


ROMA «Se non avessi incontrato Roversi, adesso farei l’idraulico » , esagerò in riconoscenza Lucio Dalla, due anni prima di lasciarci. Non era stato sempre di quest’idea. Il rapporto tra il cantante e il poeta fu anzi molto burrascoso, ancor più di quanto sia già noto, come testimoniano ora gli acidi scambi epistolari inediti che la Sony Music pubblicherà martedì nel cofanetto che ricostruisce la storia di uno dei connubi più alti tra musica e letteratura del pop italiano. Quattro cd, cioè la loro trilogia più uno di inediti (tra cui i cinque brani che la Rca censurò da
Automobili), e un volume curato da Antonio Bagnoli, nipote di Roberto Roversi, ricco di documenti dallo sterminato archivio ereditato dallo zio (in gran parte disponibile gratuitamente su
www.robertoroversi.it).
Se ne dissero affettuosamente di tutti i colori, il cantautore e l’intellettuale, nel periodo del loro grande freddo dal ’76 al ’90, quando Dalla tornò a interpretare qualche testo dello scrittore-eremita che Pasolini, Morante, Calvino, Moravia e Sciascia consideravano un punto di riferimento.
«I testi del sottoscritto — si sfoga Roversi, scomparso un anno fa, in un articolo mai pubblicato — per lo più al cantante erano graditi come olio di ricino. Mai li ha imparati a mente. Li ha sempre storpiati un poco, con la piccola rabbia dell’indifferenza. Quasi a dire: toh! il padrone sono io. Io sto davanti a questi duemila e servo il mio budino. Essi assaggiano me.
Tu non rompere». E ancora: «Tutto riusciva approssimativo e smozzicato. Senza amore. Tutte le canzoni composte le ha poi cantate come un dovere doloroso. Senza felicità, senza un piacere autentico, senza condividerne la verità».
La collaborazione tra i due era iniziata nel 1973 quando Dalla è in piena crisi di identità artistica, dopo i successi sanremesi di 4 marzo ‘43 e Piazza Grande, che definisce «un tentativo smaccato di ripetere Gesù Bambino; un’operazione di bassa lega». Il produttore Renzo Cremonini gli fa incontrare il concittadino Roversi, scrittore e libraio, sceneggiatore cinematografico e autore teatrale. Dalla s’innamora di un verso da La canzone di Orlando, «nevica sulla mia mano» (scelto oggi come titolo del cofanetto), e nel giro di pochi mesi vede la luce l’album Il giorno aveva cinque teste, che sancisce la metamorfosi stilistica di Dalla. La notte dopo aver completato l’incisione del disco, Lucio indirizza a Roversi una lettera grondante euforia e gratitudine: «Mi hai insegnato tutto: ad avere rispetto e paura nello stesso tempo e amore per il mio lavoro. Amore perché non venderei questo disco neanche per la vita di mia madre (forse ho esagerato), perché lo proteggerò anche a costo della mia vita, perché mi sento di cantarlo e di suonarlo davanti ai re (se ce ne sono ancora) e davanti agli straccioni, ai sindaci, ai matti e ai santi. (...) Non vedevo il momento che arrivasse la mattina per cominciare a lavorare e cantare a tradurti e a tradurre in suoni sentimenti grida e anche battiti ritmici di cuore le tue idee».
Nel ’74 esce Anidride Solforosa: «Posso mettere in musica anche l’elenco del telefono, se lo scrive Roversi» dichiara Dalla. E in effetti Roversi gli fa cantare le quotazioni azionarie ne
La Borsa Valori.
La coppia scoppia dopo Automobili, l’album del 1976 che nasce dallo spettacolo teatrale Il futuro dell’automobile, perché Roversi non si riconosce nella versione discografica, monca delle cinque canzoni più politiche e di due strofe di Intervista all’Avvocato.
Secondo il poeta, che polemicamente firma il lavoro con lo pseudonimo Norisso, Dalla non ha difeso il progetto. Il poeta si sente tradito nella battaglia ideologica e i due si dividono, anche pubblicamente, in una disputa sul ruolo dell’artista nella società. Dalla è stufo di vestire abiti non suoi («È indispensabile che io canti quel che ritengo giusto cantare») ed esplode tutta la sua insofferenza nei confronti di critici, soloni e pensatori snob, Roversi incluso. Sono solo canzonette, sbotta spogliandosi dell’eskimo: «La canzone è un oggetto che dura lo spazio di pochi mesi o giorni, viene mangiato e subito cagato, può venire sputato e calpestato».
Roversi scrive in un articolo che i giovani che riempiono gli stadi per i cantanti sono indifferenti a cosa ascoltano: partecipano per fare tutto tranne che «mettere in discussione l’ordine esistente». Dalla replica spedendogli una fotografia di un suo concerto dal messaggio velenoso: «La mia voglia di vederti è pari alla rabbia che mi prende ogni volta che ti leggo come articolante, saggista, interprete, traduttore, poeta. Vorrei che tu assistessi ai concerti dei quali tu parli e scrivi. Vorrei che una volta tanto la tua paura di vedere fosse sconfitta dal tuo desiderio di esserci». Nel 1982 Dalla arriverà a confessare: «Il periodo con Roversi per me non è stato bello, anzi, molto traumatico. Quelle erano canzoni un po’ intellettualoidi. E poi io non amo la musica epica, mi dà fastidio anche fisicamente». Solo nel ‘90 tornerà il sereno: Dalla, ormai emancipatosi e risoltosi, inserisce in un testo mandatogli da Roversi nel ‘78, Cambia la faccia di Dio, che intitola Comunista, e la relazione ricomincia, pur non raggiungendo più le passate vette creative e innovative. «Da lui ho imparato tutto — ammette il cantante —: a scrivere da solo le mie parole, ma sopra ogni altra cosa l’emozione pura». Dopo la morte improvvisa di Dalla, Roversi lo omaggia: «Mi ha insegnato molto, mi ha dato una lezione, forse sono cambiato io dopo l’incontro con lui». Si cambiarono entrambi, insomma, e soprattutto il loro incontro- scontro cambiò la musica italiana.