Ariel Doreman, Corriere della Sera 16/11/2013, 16 novembre 2013
VOTO IN CILE, I FANTASMI DEI PADRI
Il generale Fernando Matthei, ex comandante in capo dell’Aeronautica cilena, si sveglierà la mattina di domenica 17 novembre pregustando questo felice giorno in cui si recherà al seggio ed esprimerà un voto per sua figlia Evelyn come presidente del Cile, un giorno che egli spera non sarà pieno di fantasmi e ricordi sgraditi.
Evelyn Matthei, rappresentante dell’Alleanza di destra che attualmente governa il Paese, ha un disperato bisogno del voto di suo padre. Non solo appare certo che sarà sonoramente sconfitta da Michelle Bachelet, che si candida per Nuova Maggioranza. Infatti, è possibile che l’aggressiva e offuscata Matthei non arrivi neppure a piazzarsi al secondo posto, una disastrosa proiezione che scatenerebbe una crisi mortale tra i conservatori cileni riusciti, solo quattro anni fa, ad eleggere Sebastián Piñera come capo di Stato.
Mi chiedo cosa penserà il generale Matthei, per tredici anni membro della giunta militare che ha mal governato il Cile, quando vedrà la scheda elettorale con il nome Bachelet accanto al proprio cognome. In quel momento ricorderà che c’è un altro generale dell’Aeronautica cilena, suo caro amico e compagno di lunga data, che non sarà in grado di esprimere un voto in queste elezioni? A Fernando Matthei tornerà in mente Alberto Bachelet, padre di Michelle, che non avrà mai l’occasione unica di marcare una scheda per la propria figlia, perché nel marzo del 1974 il generale Bachelet morì di arresto cardiaco indotto dalle torture a cui i suoi colleghi militari l’avevano sottoposto durante i sei mesi successivi al golpe di settembre che spodestò il presidente democraticamente eletto Salvador Allende?
Fernando Matthei era un addetto militare presso l’ambasciata di Londra l’11 settembre 1973 e pertanto non poté fare nulla per aiutare l’amico con cui soleva scambiare dischi di musica classica e parlare nella notte di sport, politica e letteratura. Il mancato intervento di Matthei non poté più essere giustificato, tuttavia, quando egli tornò a Santiago alla fine del 1973 e fu nominato direttore dell’Accademia di guerra dell’Aviazione, precisamente l’edificio dove l’uomo che sua figlia Evelyn chiamava Tío Beto fu imprigionato e morì due mesi più tardi. Sebbene diversi processi e revisioni giudiziarie abbiano stabilito che l’allora colonnello Matthei non avesse alcuna colpevolezza nella morte del generale Alberto Bachelet — l’accesso ai sotterranei in cui il suo compagno d’armi era stato seviziato era vietato a chiunque non eseguisse gli interrogatori — ciò non lo assolve della responsabilità morale.
La figlia di Alberto sarebbe diventata decenni più tardi ministro della Salute e segretario della Difesa nel governo di centrosinistra di Ricardo Lagos, mentre la figlia di Fernando divenne senatrice e poi ministro del Lavoro nell’amministrazione di destra di Sebastián Piñera. Uno studio dei contrasti: la socialista che è diventata presidente del Cile e la conservatrice che aspira a quella presidenza.
Ed è qui che la storia cilena ci offre una svolta del destino ancora più sorprendente. Perché il generale Matthei, scorrendo la scheda con l’elenco dei candidati presidenti il 17 novembre, sicuramente riconoscerà un altro cognome di un altro candidato ancora, Marco Enríquez, il cui padre non sarà a sua volta in grado di votare a queste elezioni perché fu ucciso dalla dittatura.
Marco è figlio di Miguel Enríquez, il leggendario leader del Mir (Movimiento de izquierda revolucionaria) che è stato crivellato di colpi in una strada di Santiago nell’ottobre 1974. Lasciando un figlio dell’età di un anno e mezzo che ora, quasi quarant’anni più tardi, sta recuperando su Evelyn Matthei nei sondaggi. Se Marco può, in effetti, replicare i 20 punti percentuali che ottenne nelle elezioni presidenziali del 2009, riuscirà a spostare la figlia del generale Matthei e confrontarsi con Michelle Bachelet in un potenziale ballottaggio, consentendo al popolo cileno di scegliere tra due candidati progressisti e la loro visione del futuro. È uno scenario improbabile ma non impossibile.
Mi permetto questo perché, di tutti i protagonisti di questa storia, Miguel è quello che conoscevo meglio. Mia moglie Angélica e io eravamo suoi amici, al punto che, anche se non eravamo d’accordo sulla sua teoria della lotta armata come cammino verso la libertà, abbiamo rischiato le nostre vite allo scopo di dare rifugio a lui e ad altri militanti del Mir nella nostra piccola casa di Santiago nel 1970 quando si erano dati alla clandestinità durante l’amministrazione del democristiano Eduardo Frei Montalva.
Cosa direbbe Miguel se potesse vedere suo figlio sostenere la necessità di trasformare e modernizzare il Cile utilizzando strumenti pacifici, se potesse guardare suo figlio rifiutare la violenza nella quale egli stesso credeva fervidamente?
Tanti altri rivoluzionari latinoamericani sopravvissuti alle dittature del passato sono giunti alla conclusione che la democrazia, piuttosto che la camicia di forza dei poveri in cerca della liberazione, è il presupposto essenziale per qualsiasi cambiamento profondo, qualsiasi giustizia permanente.
Mi sarebbe piaciuto aver discusso di queste e di altre questioni, come abbiamo fatto tanto tempo fa quando dormiva a casa nostra a Santiago.
È una conversazione che non avremo mai.
Il regime che Fernando Matthei ha servito con tale cieca fedeltà ha giustiziato Miguel Enríquez a sangue freddo, l’ha ucciso come ha ucciso e fatto sparire migliaia di altri connazionali.
Se c’è, quindi, un pizzico di giustizia divina nella sconfitta che Evelyn sta per soffrire per mano di Michelle, se è meravigliosamente simbolico che la figlia del generale Bachelet dovrebbe trionfare sulla figlia dell’uomo che ha abbandonato suo padre, non sarebbe più che divino e giusto se il figlio del guerrigliero insurrezionale Miguel Enríquez lasciasse fuori gara l’unica candidata a difendere Pinochet? Se il figlio di una delle vittime battesse la bellicosa figlia di uno dei complici di quella politica di sterminio, ciò non suggerirebbe che il Cile ha decisamente voltato le spalle all’eredità di Augusto Pinochet e alla sua dittatura?
Tuttavia, in questa inverosimile storia di fantasmi e di padri, di figli e di colpa, c’è ancora un altro giro di vite storico.
Perché fu quello stesso pavido generale Matthei a far sì che il Cile potesse oggi indire libere elezioni, che sua figlia e la figlia del suo amico Alberto e il figlio del suo nemico Miguel potessero contendersi la presidenza, che fosse il popolo cileno e non le forze armate a decidere il destino del Paese.
La redenzione di Matthei è avvenuta la notte del plebiscito del 1988 che doveva decidere se Pinochet avrebbe mantenuto il potere a tempo indeterminato. Quando Pinochet cercò di negare la sconfitta alle urne e tentò di fare un altro golpe, fu il generale Matthei a bloccare quella manovra.
Mi piacerebbe credere che Fernando Matthei, quella notte del plebiscito, stesse pagando un debito che doveva al suo vecchio amico Alberto, affrontando Pinochet con il valore di cui non aveva dato prova quattordici anni prima, quando non aveva nemmeno osato visitare, per non parlare di consolare, il compagno che veniva torturato a pochi metri di distanza dal suo ufficio presso l’Accademia di guerra.
Ciò nonostante, è un debito che non è ancora stato del tutto regolato. Per il generale Matthei, ora 88enne, c’è ancora un altro gesto di redenzione con cui sarebbe in grado di segnalare silenziosamente il suo vero pentimento e dissipare, forse per sempre, i fantasmi che non lo lasceranno solo.
Sarebbe un gesto semplice, anche se non senza rischi.
Tutto ciò che occorrerebbe è che il generale, quando entrerà nel seggio il prossimo 17 novembre e guarderà la lista dei candidati alla presidenza, tutto ciò che servirebbe — dicevo — sarebbe che il generale Fernando Matthei decidesse chiaramente, intenzionalmente e categoricamente di scegliere il nome di Michelle Bachelet. Forse lui sa che significherebbe il mondo per lei, che il suo Tío Fernando ha dato quel voto, lo ha espresso, perché suo padre Alberto sfortunatamente non può farlo.
(Traduzione italiana di Raffaella Camatel )