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 2013  novembre 16 Sabato calendario

UN INGEGNERE CONTADINO ALLA GUIDA DI COLDIRETTI


Non li vedo come conquistadores, anzi: chi investe in Italia e non delocalizza, non porta via i marchi ma crea lavoro e reddito è il benvenuto. Devo dire che gli imprenditori stranieri che hanno comprato la nostra terra hanno capito prima della politica e di tante istituzioni il valore e il futuro produttivo dell’agricoltura italiana».
Roberto Moncalvo, 33 anni, una laurea in Ingegneria dell’autoveicolo e un breve passato nel mondo della fabbrica, è tornato sette anni fa a fare il contadino e da ieri è il nuovo presidente di Coldiretti. Il potente sindacato imprenditoriale con 1,6 milioni di associati che per decenni è stato presidio nelle campagne del moderatismo cattolico e della Dc, è diventato il simbolo del rinnovamento – senza proclami di rottamazione - della classe dirigente, con un’età media di 46 anni.
Moncalvo vive a lavora a Settimo, periferia ex industriale di Torino sulla via per Milano. Dalla sua azienda si vede la collina di Superga e quel pezzo di Pianura padana che si è salvato dalla cementificazione del secolo scorso: fabbriche, infrastrutture, case e palazzi. «Ho scelto di studiare per fare un mestiere diverso da quello di mia madre e dei miei nonni perché in agricoltura non vedevo spazio per il mio futuro: c’era da fare una fatica nera e non si guadagnava niente».
La madre, però, lo manda a un campo dei giovani della Coldiretti («Unico modo per fare una vacanza») e lo tiene ancorato alla terra e a un mondo associativo che insegna solidarietà: nell’azienda di famiglia lavorano un rifugiato somalo e durante l’estate anche persone disabili che seguono un percorso di ortoterapia.
Ma il problema non è solo il reddito. Allora, come nel 2013, mancavano anche i terreni: «In quegli anni era una corsa a costruire capannoni, fabbriche, interi quartieri». E la terra buona per coltivare spariva. La sua azienda – che manda avanti con la sorella e alcuni familiari - coltiva 15 ettari, frammentati nella bassa che da Settimo va verso il Po. La crisi ha cambiato tutto: «I progetti di trasformazione urbanistica si sono ridimensionati, è aumentata la sensibilità e l’attenzione per il consumo di suolo, soprattutto quello buono».
Ma la crisi ha anche fatto aumentare il numero di chi ha deciso di tornare a fare il contadino: «Lo prova – spiega – il numero di giovani che si iscrivono all’istituto agrario e quelli che scelgono di laurearsi in Agraria. Tanti, troppi, purtroppo restano alla finestra perché non sanno come avere accesso alla terra e al credito».
La terra che fa nascere il made in Italy agroalimentare può produrre reddito, basta metterla a disposizione: «Questo – ragiona il neo-presidente – è il terzo governo che prova a mettere in vendita i terreni demaniali. Ma io cercherò con ogni mezzo di trovare gli strumenti perché quelle terre vengano date in affitto a un prezzo ragionevole per i giovani che vogliono fare impresa e creare lavoro». E una mano, poi, potrebbe darla anche l’Europa: «Ma ci saranno meno soldi, è importante che quelle risorse vadano solo a chi vive davvero di agricoltura».