Ilaria Maria Sala, La Stampa 16/11/2013, 16 novembre 2013
PECHINO, CADE IL TABÙ DEL FIGLIO UNICO
Anche il tabù del figlio unico è stato infranto. Nella Cina di Xi Jinping che dichiara chiusa l’esperienza dei campi di Rieducazione attraverso il lavoro è la mannaia che cala sulla legge che nel 1980 impose alle coppie di fermarsi a un unico erede, a segnare una netta inversione di rotta. Almeno in apparenza. Si badi bene infatti: il Terzo Plenum – concluso tre giorni fa e di cui ieri sono state anticipate le decisioni chiave – ha decretato che la norma sarà rivista, non abrogata. Ora saranno ammesse ad avere più di un figlio quelle coppie dove almeno un genitore è figlio unico. Finora, per dare un fratellino/sorellina al primogenito era necessario che entrambi i genitori fossero figli unici – o che appartenessero ad alcuni dei gruppi etnici minoritari esclusi dalla restrizione, o che fossero contadini il cui unico erede fosse femmina. Insomma, un graduale smantellamento di una delle politiche più odiate del Paese che ha prestato il fianco ad abusi atroci. A spingere il Terzo Plenum del Partito comunista a smussare le spigolature della legge sono ragioni molto concrete: come l’aumento dei timori nei confronti di un rapido invecchiamento della popolazione, ma anche l’idea di contrastare il crescente divario di genere, che vede diversi milioni di maschi in più, dato che milioni di feti di sesso femminile sono stati vittime di aborti selettivi (diffusi, per quanto illegali).
Quella del figlio unico è solo una delle decisioni varate dal Plenum e di cui ieri l’agenzia ufficiale «Xinhua» ha cominciato a far trapelare indicazioni e temi chiave. Il testo completo sarà disponibile martedì prossimo, ma già ora, appare evidente che quelle varate dal presidente Xi Jinping appaiono come le riforme più coraggiose degli ultimi decenni: a partire dalla politica. Oltre alla revisione della politica del figlio unico viene confermata l’eliminazione dei campi di «Rieducazione tramite il lavoro»: se ne parla da un anno e mezzo, ma finora questo era avvenuto solo nella regione del Guangdong. Ora, è legge per tutti – ma non è ancora chiaro che cosa li sostituirà. Diminuirà anche il numero di crimini punibili con la pena di morte, che comincia ad avere oppositori anche in Cina.
Il Plenum ha rivisto anche la questione dell’«hukou», ovvero, il sistema di doppia residenza rurale/urbana che fino ad oggi ha limitato la mobilità nel Paese: con le nuove riforme le città piccole e medie potranno cominciare in via sperimentale a lasciare che alcuni dei migranti che vi abitano, ufficialmente come «contadini», diventino «cittadini» a pieno titolo. Rompe un tabù un’altra norma: ai contadini sarà concesso di vendere le terre sulle quali vivono (se non sono coltivate), potenzialmente interrompendo una delle più gravi cause di tensione sociale, dopo anni di esproprio terriero senza sufficiente compensazione da parte delle autorità locali. Su questo punto sarà cruciale vedere fino a che punto la nuova direttiva sarà davvero applicata.
Vi sono infine maggiori riforme per la convertibilità dello yuan, la moneta cinese, mentre si prospetta all’orizzonte una tassa sugli immobili. Viste nel loro complesso, queste riforme mettono la Cina al passo con alcune delle più forti aspettative nazionali, e si rivolgono a uno dei problemi più scottanti della società cinese: il deficit di fiducia nelle autorità, in particolare locali. Ora, resta da vedere se è legittima la fiducia nell’applicazione delle riforme annunciate.