Marco Zatterin, La Stampa 16/11/2013, 16 novembre 2013
LA UE BOCCIA LA LEGGE DI STABILITÀ
Un giudizio duro, netto e tecnico. La Commissione Ue denuncia il rischio che la Legge di Stabilità 2014 «non sia in regola» con gli impegni europei presi dal governo e avverte che, «in particolare, l’obiettivo di riduzione del debito non è rispettato». Ne conseguono, inevitabili sulla base delle carte sinora inviate da Roma, l’invito a «prendere le necessarie misure» di rettifica, e l’inattesa sospensione della possibilità di non considerare 4,5 miliardi di investimenti produttivi nel calcolo della correzione. Decisione dolorosa, questa. Era spesa buona in tempi di crisi, ora va coperta o eleminata. Una minaccia politica per il Bel Paese? Olli Rehn alza le spalle: «Noi abbiamo fatto il nostro lavoro».
Di certo non ci hanno fatto regali e inutile è stato lo sforzo con cui si è cercato di ammorbidire in extremis il tono del verdetto. Le raccomandazioni macroeconomiche e fiscali proposte dalla Commissione come previsto dal «semestre europeo» - la fase di coordinamento e indirizzo della governance Ue - hanno puntato il dito su malesseri italici che, per dirla col ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, «non richiedevano Sherlock Holmes per essere visti». A Roma, Bruxelles rinfaccia troppo debito e poca competitività, oltre che una manovra con qualche incertezza di troppo. Nei corridoi si lamenta anche uno sfortunato errore tattico: «Sarebbe stato meglio non annunciare i benefici della clausola di investimento prima di essere certi di averli».
Già, la clausola di investimento. Il primo ministro Enrico Letta l’aveva data per acquisita. Visto che l’Italia veniva giudicata virtuosa sul fronte del deficit, Palazzi Chigi aveva annunciato che si poteva incassare uno sconto contabile per un pacchetto di investimenti procicilici, quantificato in 0,3% di pil, ovvero oltre 4,5 miliardi. I servizi di Rehn, responsabile Ue per l’economia, hanno però trovato che sul fronte del debito le cose non andassero bene come pareva. Così hanno detto «no».
E’ un giudizio tecnico, va ribadito. Essendo uscita dalla procedura di deficit eccessivo, l’Italia deve adeguarsi alle nuove regole di governance del Fiscal Compact. Deve dunque mantenere il deficit sotto il 3% del pil e, al contempo, deve realizzare «almeno mezzo punto l’anno di pil di aggiustamento strutturale» del debito. La Commissione si aspettava che, per il 2014, il governo arrivasse allo 0,66%. A conti fatti, si è ritrovata lo 0,12. Mezzo punto di rettifica in medo, almeno 6 miliardi di euro: 0,2% per colpa della crescita sui Bruxelles è meno ottimista dell’Italia (+0,7% contro 1,1 nel 2014) e 0,3 proprio per gli investimenti della clausola in cui si sperava.Il risultato è che un impegno della Legge di Stabilità dovrà trovare differente copertura. Saccomanni giura che non è un problema, perché una serie di iniziative già in cantiere - la spending review o il ritorno dei capitali dall’estero - risolveranno la questione. Rehn è pronto a valutarle. Non lo ha fatto sinora perché si tratta di manovre non contenute nei fascicoli recapitati a Bruxelles in ottobre: «Come dicono gli inglesi - ha spiegato in un’intervista a Sky Tg 24 - il buono del pudding è quando lo si mangia: dobbiamo vedere misure concrete per tenerle in considerazione nel giudizio; non si lavora sulle promesse».
E’ un modo per dire che la Commissione lascia la porta aperta se il governo manterrà la promesse. La clausola degli investimento potrà essere ripristinata a debito corretto con coraggio, come tutto il resto che occorre. Ad esempio, nota l’esecutivo Ue, «la nuova tassa sui servizi locali che rimpiazzerà l’Imu e la tassa sui rifiuti comporterà meno entrate restringendo così lo spazio per uno spostamento più evidente del carico fiscale». Ancora: i ricavi delle privatizzazioni «non sono sufficientemente dettagliati», sebbene Rehn sostenga siano «misure importanti».
Bisogna lavorare è ovvio, perché il quadro nazionale è complesso. Il commissario finlandese lo ammette quando gli si chiede se l’Ue non rischi di destabilizzare ulteriormente la maggioranza romana. «Ogni giorno di quest’anno è stato delicato», ammette. Alla politica non vuole pensare. Tecnico, in questa fase, è un aggettivo che trova sia più consono al suo giudizio.