Michele Brambilla, La Stampa 16/11/2013, 16 novembre 2013
PROVE TECNICHE DI MAGGIORANZE TRASVERSALI
Non ci crederete ma per due giorni una settantina di parlamentari di Pd e Pdl, alla presenza del presidente del Consiglio, hanno convissuto in clausura e discusso senza mai nominare, neppure di striscio, la decadenza di Berlusconi e il congresso dei democratici. Al contrario hanno dibattuto - e con spirito costruttivo, senza litigare - delle cose di cui parlano gli italiani: la crisi, la disoccupazione, le tasse, l’euro, la ripresa. È successo a Subiaco, paese natale di Lucrezia Borgia, Gina Lollobrigida e Ciccio Graziani: ma soprattutto luogo in cui san Benedetto cominciò la sua vita da eremita destinata a dare una nuova civiltà all’Europa. Forse per questo è accaduto il miracolo che getta sui nostri politici una luce meno fosca di quella che siamo soliti proiettare.
Chi scrive ha potuto partecipare, da osservatore, alla due giorni, che si è svolta a porte chiuse. Eravamo nel monastero di Santa Scolastica, la sorella di san Benedetto. Lo stesso monastero in cui, il giorno prima della morte di papa Wojtyla, il cardinal Ratzinger tenne un profetico discorso sul futuro della Chiesa, della quale avrebbe poi preso la guida proprio con il nome di Benedetto. Una location, come si usa dire, molto sobria, spartana. Abbiamo dormito nelle celle dei monaci, uno dei quali ha concesso anche un momento di comicità non si sa quanto involontaria quando ha detto che si poteva fare a meno di chiudere a chiave: «Tanto qui non ruba niente nessuno, ci sono solo i parlamentari».
A organizzare tutto è stato l’Intergruppo della Sussidiarietà, nato nel 2003 - quando il bipolarismo era duro e puro - su iniziativa bipartisan di Enrico Letta e Maurizio Lupi: diciamo che fu l’embrione delle larghe intese. Lupi, giovedì sera, l’ha spiegata così: «Eravamo e siamo convinti che si può lavorare per il bene comune anche arrivando da esperienze diverse; e senza fondare un nuovo partito, anzi restando ciascuno orgogliosamente di centrodestra o di centrosinistra». Un’idea che ha il plauso di Giorgio Napolitano, il quale ha inviato un messaggio di buon lavoro.
Il tema di quest’anno era «L’Europa che verrà - protagonisti nel semestre di presidenza italiana». L’altro ieri sera alle nove e mezza Enrico Letta (il quale non si sa dove vada a trovare le energie, visto che alle sei del pomeriggio stava parlando a Lipsia e alle 9 della mattina dopo avrebbe avuto un consiglio dei ministri a Roma) ha aperto i lavori con un discorso che, raffrontato a quelli che siamo abituati ad ascoltare nei talk show, è davvero di ben altro livello. L’Europa, ha detto in sostanza il premier, gode di pessima fama, e i suoi problemi in sintesi sono tre. Primo, non c’è una narrativa sulle cose buone che l’Europa ha fatto, che pure ci sono. Secondo, le procedure operative dell’Unione sono ancora troppo lente rispetto a quelle, ad esempio, degli Stati Uniti d’America. Terzo, manca l’ambizione di un progetto. Abbiamo via via avuto i progetti dell’Unione Europea, di un parlamento comune, dell’euro, della riunificazione di Est e Ovest: ma adesso? «Oggi non sappiamo immaginare che cosa sarà l’Europa tra dieci anni», ha detto Letta, che teme, alle prossime elezioni continentali, il boom dei partiti anti-europeisti. Vannino Chiti, presidente della 14esima commissione al Senato, ha detto che il fronte anti-Europa, o almeno anti-euro, è oggi attorno al 40 per cento, con punte del 70 per cento in Gran Bretagna. Preoccupazioni condivise dal ministro Enzo Moavero Milanesi, intervenuto ieri mattina: «Uscire dall’euro comporterebbe un impoverimento del Paese». Giorgio Squinzi, pure lui in monastero, ha ricordato che secondo gli studi di Confindustria «in caso di uscita dall’euro, nel giro di due anni il nostro Pil subirebbe una decrescita del 25 per cento».
Ma non basta guardare ai conti: «Non si fa nulla senza un ideale», ha detto Giorgio Vittadini presidente della Fondazione della Sussidiarietà, che ha ricordato gli ideali di chi credette nell’Europa quando erano passati solo pochi anni dalla guerra, e le ferite fra i popoli erano ancora profonde. Eppure l’ideale mosse uomini come Adenauer, Schumann, De Gasperi, che seppero dare il la a un miracolo che dura tuttora: un’Europa senza più guerre. «Oggi», ha detto Vittadini, che è un professore universitario, «incontro molti ragazzi che non solo non sanno chi furono Adenauer, Schumann e De Gasperi: ma non sanno neppure che cosa è successo nel 1989, altro miracolo di transizione pacifica da un’Europa a un’altra. Il nostro primo investimento dovrebbe essere l’educazione di questi ragazzi: e invece l’istruzione è considerata un costo da tagliare».
Forse già da oggi torneremo a parlare delle tessere di Renzi e Cuperlo e dell’agibilità politica di Berlusconi. Ma a Subiaco, dove c’erano il Pd e le colombe del Pdl (nessun falco), si è volato un po’ più alto. E forse si sono fatte prove tecniche della nuova maggioranza.