varie, 18 novembre 2013
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI DEL 18 NOVEMBRE 2013
La settimana scorsa la Commissione europea ha aggiunto un nome nella solita lista dei Paesi cattivi da tenere sotto esame. La Germania. Il motivo: troppo export e troppo risparmio. È la prima volta di uno Stato in surplus [1].
Zatterin: «È l’altra faccia della sorveglianza economica che i Trattati affidano all’esecutivo comunitario. Ci sono gli squilibri di ha i conti fuori controllo e mette gli altri in pericolo, come quelli di chi va troppo bene e ottiene lo stesso risultato. Nel caso della Germania è l’enorme surplus commerciale a essere oggetto di contestazione. Dal 2007 è stabilmente oltre il 7% del prodotto interno lordo» [2].
In settembre il surplus commerciale corrente tedesco (ovvero di quanto le esportazioni hanno superato le importazioni) è salito a venti miliardi, oltre l’8% del Pil 2012 e ben oltre la soglia del 6% sulla media dei tre anni oltre la quale, secondo Bruxelles, il saldo diviene eccessivo [2].
In pratica Berlino viene accusata di esportare prodotti senza consumarne abbastanza, cioè di vendere ai partner più di quanto compra, nonostante la congiuntura favorevole e la ricchezza nazionale diffusa, contribuendo così alla crisi economica del Mediterraneo [1].
«Nonostante il tasso di risparmio delle famiglie sia tra i più alti nell’Eurozona», ha scritto la Commissione nella relazione sul meccanismo di allerta, «e Berlino abbia anche condizioni favorevoli sul credito, il settore privato ha continuato a ridurre l’indebitamento. Così facendo, non ha sostenuto la domanda» [3].
Stesse accuse mosse dieci giorni prima dal governo americano e a ruota dal Fondo Monetario Internazionale. Ha cominciato il Tesoro Usa affermando che «la scarsa crescita della domanda tedesca e l’eccessiva dipendenza dalle esportazioni della Germania hanno impedito il riequilibrio degli altri Paesi dell’eurozona, Il risultato netto è stato quello di indurre una pressione verso la deflazione in tutta l’area euro e anche nell’economia mondiale» [4].
Il premio Nobel Paul Krugman, dalle colonne del New York Times: «La Germania non danneggia solo l’eurozona, ma la crescita globale. E il miglioramento della sua economia è avvenuto a scapito del resto del mondo, Stati Uniti inclusi, perché punta troppo sull’export e non sulla domanda interna, realizzando surplus della bilancia dei pagamenti superiori a qualsiasi altro Stato europeo, senza alcun meccanismo di redistribuzione grazie a un euro tedesco sottovalutato rispetto ai fondamentali dell’economia nazionale, che consente alla Germania di drogare la propria competitività sul mercato esterno» [5].
Persino il commissario europeo Olli Rehn, spesso individuato come fedele interprete del rigorismo tedesco, ha ricordato che gli accordi dell’Unione scoraggiano tutti gli squilibri, di qualsiasi tipo, troppi debiti come pure troppo surplus commerciale [4].
La reazione di Berlino ai moniti della Commissione e del governo americano oscilla tra indignazione e incomprensione: «Essere competitivi può mai essere una colpa?», è il commento più diffuso [6].
Per il segretario generale della Csu, Alexander Dobrindt, «non si può costruire alcuna politica economica comune se i più deboli continuano a puntare il dito contro i più forti». Jens Weidmann, numero uno della Bundesbank: «La Germania viene invitata ripetutamente ad allentare le proprie politiche fiscali così da strozzare il proprio surplus, però non credo che questo argomento sia valido e gli eventuali effetti sugli altri Paesi sarebbero minimi» [3].
La relazione sul meccanismo di allerta sarà discussa a dicembre dai ministri delle Finanze e dai leader Ue, che concorderanno gli aspetti principali su cui procedere. Nel frattempo la Commissione esaminerà a fondo i 16 Stati sotto osservazione e i risultati saranno pubblicati nella primavera 2014.
Che cosa succederà? Claudio Antonelli: «Nella pratica probabilmente solo scartoffie. L’esecutivo comunitario raccomanderà la correzione degli squilibri macroeconomici: partite correnti con un surplus o un deficit superiore al 6% del Pil. Nella realtà, però, stiamo assistendo a un posizionamento di armate sul territorio di Eurolandia. Quando l’anno prossimo arriverà la grossa batosta della deflazione. Ovvero, come sostengono gli economisti, “eccesso di indebitamento, contrazione economica e riduzione del livello generale dei prezzi» [1].
Mastrobuoni: «La Germania si sente un po’ come il suo campione di Formula 1, Sebastian Vettel: è la più brava, ma tutti la fischiano. E in queste settimane si sta assistendo, nel dibattito pubblico e nella politica, ad una preoccupante tendenza del Paese di Angela Merkel a isolarsi dal resto del mondo» [6].
«Sbaglierebbe, però, chi sottovalutasse questo isolazionismo tedesco. In passato si è sempre rivelato un guaio. Thomas Mann lo aveva capito già tra le due guerre, quando aveva descritto la difficoltà dei tedeschi a entrare in sintonia con “la civiltà, la società, il diritto di voto, la letteratura», in una sola parola, con l’Occidente. E negli stessi anni un altro intellettuale, John Maynard Keynes, si scagliava contro le pesantissime riparazioni imposte dal Trattato di Versailles al Paese che aveva tentato una prima, catastrofica avventura imperialista e che qualche anno dopo avrebbe tentato la seconda, molto più devastante della prima. Paragoni che testimoniano – con le dovute, immense differenze tra i due momenti storici – un dato inconfutabile: se il più grande gigante nel cuore dell’Europa si sente solo, è meglio fermarsi a riflettere» [6].
Anche Barbara Spinelli, su Repubblica, ha tracciato un parallelo tra l’attuale momento storico e quello subito precedente all’avvento di Hitler in Germania: «Alla crisi del ’29, gli ultimi governi di Weimar sfiniti dal trauma inflazionistico e dalle riparazioni, risposero con una pesante deflazione che impoverì ancor più la popolazione. Esattamente come accade oggi, i dottrinari dell’austerità puntarono tutto sull’esportazione, trascurando i consumi interni. Stremato, il paese che aveva dato a Hitler il 18,3 per cento nel 1930 gliene diede il 33 nel ’32 e il 43,9 nel ’33» [7].
Alla sconfitta del nazismo, seguì la lungimiranza dei vincitori: «Nel ’53, ben 65 Stati consentirono al taglio dei debiti di guerra tedeschi (fra essi Italia e Grecia, paese-cavia delle odierne politiche di compressione dei redditi), permettendo ai tedeschi lo straordinario miracolo dei decenni successivi. Sulla genesi di quel miracolo è caduto l’oblio, e lo stesso oblio spiega il perché di una leadership tedesca che oggi di fatto esiste, ma non viene assunta con lungimirante solidarietà» [7].
«Uscire dall’impasse è possibile se la memoria si rimette in moto. Se ancora una volta i paesi vinti – schiacciati dal debito – vengono sorretti da una cooperazione internazionale che si attivi durante, non dopo, i “compiti a casa”. Come allora, l’Europa ha bisogno di un piano Marshall (lo propongono i sindacati in Germania) e di una conferenza sul debito delle periferie Sud, simile a quella che nel ’53 cancellò generosamente i debiti tedeschi» [7].
Note: [1] Claudio Antonelli, Libero 14/11/2013; [2] Marco Zatterin, La Stampa 12/11/2013; [3] Francesco Ninfole, Milano Finanza 14/11/2013; [4] Francesco Daveri, Corriere della Sera 13/11/2013; [5] Renato Brunetta, il Giornale 11/11/2013; [6] Tonia Mastrobuoni, La Stampa 16/11/2013; [7] Barbara Spinelli, la Repubblica 15/11/2013.