Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  novembre 15 Venerdì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - IL CASO CANCELLIERI E LA SCISSIONE DEL PDL METTONO A RISCHIO IL GOVERNO


ROMA - Sulla Cancellieri, pesava il silenzio di Renzi. Ai suoi, in serata, il sindaco di Firenze ha detto: "Non ho cambiato idea rispetto a quello che ho detto otto giorni fa da Santoro: ne ero convinto prima, resto convinto ancora oggi: al posto della Cancellieri me ne andrei". Parole che arrivano alla fine di una giornata convulsa, in cui il premier Letta ha riconfermato fiducia alla ministro della Giustizia. Il ministro oggi è stato ricevuto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per discutere del seguito che si sta dando al messaggio del capo dello Stato alle Camere sulla questione carceraria. Napolitano, riferisce un comunicato del Quirinale,"ha auspicato l’ulteriore pieno sviluppo dell’azione di governo avviata dal ministro della Giustizia".
Nuovi tabulati telefonici, rivelati da Repubblica, hanno scoperchiato una realtà ben diversa da quella che Annamaria Cancellieri ha raccontato ai pm e al Parlamento sui suoi rapporti con la famiglia Ligresti. Il ministro si difende con una lettera aperta: "Non ho mentito, né ai magistrati, né al Parlamento", si legge nel documento in cui il Guardasigilli fornisce chiarimenti sulle sue telefonate con Antonino Ligresti.
"Non c’è nessuna contraddizione e nessuna menzogna, tutto è limpido e sereno. Qui non si tratta di due, tre, cinque o dieci telefonate. Credo che sia stata montata una questione su questa telefonata, un fatto che è in ininfluente rispetto alla questione in sé", ha detto in serata il ministro, che sull’ipotesi dimissioni ha ribadito: "Dal primo giorno ho detto che se sono di peso al mio Paese, me ne vado".
La fiducia del governo nei confronti del ministro, però, non sembra essere in dubbio: il premier Enrico Letta ha incontrato stamattina Cancellieri e al termine del colloquio chiarificatore, fonti vicine al premier hanno dichiarato che sulla sorte del ministro non cambia nulla e valgono le parole e gli attestati di fiducia espressi dal presidente del consiglio durante l’intervento del ministro in Aula.
Intanto il Pd intensifica il pressing e riflette sull’opportunità di dimissioni del ministro della Giustizia. Se da un lato salgono le critiche personali sull’operato del Guardasigilli, dall’altro però si aspetta la riunione dei gruppi per fare il punto e assumere una posizione unitaria. Riunione che dovrà essere convocata prima del voto del 20 novembre sulla mozione di sfiducia contro il ministro presentata dal M5S.
I democratici escludono nella maniera più assoluta la possibilità di votare la mozione dei 5 Stelle. Alcuni chiedono a Renzi di uscire allo scoperto aldilà delle trasmissioni televisive. Ma tutti si aspettano che il ministro parli con il premier Enrico Letta e decida di farsi da parte, visto che la fiducia nei suoi confronti sembra ormai irrimediabilmente compromessa. Dimissioni spontanee, infatti, toglierebbero il Pd dall’imbarazzo.
Quest’ultima è anche la posizione di Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria del Pd, che invoca un chiarimento fra Cancellieri e Letta: "Io penso che, alla luce di quello che sta accadendo - spiega durante la trasmissione Coffee break su La7 - sia utile che il ministro stesso con il presidente del Consiglio verifichi se ci sono ancora le condizioni per andare avanti con serenità nel suo ruolo di Guardasigilli". E, come Pippo Civati, che pure si augura le dimissioni, oggi Cuperlo annuncia che il gruppo Pd voterà al suo interno la linea da seguire al suo interno. Anche per Gianni Pittella, l’altro candidato in corsa per la segreteria Pd, la Cancellieri deve dimettersi: "Sarebbe molto meglio che fosse lei a fare un passo indietro - spiega l’eurodeputato democratico - senza mettere i parlamentari di un partito che appoggiano il suo governo nell’imbarazzante situazione di dover votare una sfiducia a un proprio ministro". Mentre Massimo D’Alema dice: "Da quello che ho potuto capire il ministro Cancellieri non ha compiuto alcun illecito, mentre e’ illecita la diffusione dei tabulati delle telefonate private delle persone".
A Matteo Renzi, invece, che aveva detto di essere favorevole alle dimissioni giovedì scorso a Servizio Pubblico, si rivolge direttamente il cuperliano Stefano Esposito, che lo invita a fare una proposta concreta: "Avrei preferito un passo indietro da parte del ministro - spiega il senatore democratico - ma poi le parole del procuratore Capo di Torino Gian Carlo Caselli mi avevano tranquillizzato. Adesso le cose sono cambiate e la questione dovrà essere sottoposta a una seria discussione".
Su Twitter Paolo Gentiloni, deputato vicino a Matteo Renzi, ritiene poco difendibile la posizione della Cancellieri: "Come si fa a dire che chi chiede chiarezza vuole colpire il governo? La posizione del ministro è sempre meno sostenibile".
Anche per la senatrice Stefania Pezzopane, la Cancellieri "si sarebbe dovuta dimettere. Ma questa - chiarisce - è la mia opinione personale. Attendo la riunione del gruppo, nella quale bisognerà fare una disamina approfondita del caso e delle sue ripercussioni sull’opinione pubblica". Tra i primi a chiedere un passo indietro al ministro, il renziano Ernesto Carbone chiarisce sulla linea politica che il Pd dovrà prendere in sede di gruppo: "Martedì dovremo fare una discussione importante. Mi aspetto una proposta del segretario Epifani. Ma quel che si decide nel gruppo si dovrà poi fare in Aula".
Più cauto Danilo Leva, deputato e responsabile Giustizia del Pd: "Noi siamo una forza di governo, se arrivassimo a votare una mozionde si sfiducia dell’opposizione, saremmo già oltre".
La rivista Micromega ha lanciato un appello per chiedere ai parlamentari Pd di votare la sfiducia al ministro Cancellieri. Sul sito Change.org, è in corso una raccolta di firme online per le dimissioni del ministro.
Il Movimento Cinque Stelle, che già aveva sfiduciato il ministro in occasione del suo discorso alle Camere il 5 novembre, riparte all’attacco e ribadisce la sua posizione per bocca del capogruppo a Montecitorio, Alessio Villarosa: "Aspettiamo al varco gli altri partiti, adesso vedremo se le daranno ancora la fiducia oppure no". In serata il leader del Movimento, Beppe Grillo, torna sulla vicende: ’’Il dramma della Cancellieri non è lei, ma è il figlio, che è stato dove sono stati fatti i casini e poi ha preso una buonuscita di 3,6 milioni non per quello che ha fatto, ma per non dire quello che ha visto’’.
Pareri orientati verso le dimissioni anche nelle altre forze politiche. Renata Polverini del Pdl, parlando ad Agorà, dice che "tutto questo dibattito non renda così autorevole il ministro". Antonio Di Pietro, invece, non usa giri di parole: "Cancellieri deve dimettersi immediatamente - sostiene il leader di Idv - perchè ha mentito sia sotto giuramento che davanti alle Camere".
Sulla questione intervengono anche Riccardo Nencini, segretario del Psi e Marco Di Lello, presidente dei deputati socialisti: "Abbiamo creduto a quello che ilm inistro ha riferito alle Camere soltanto dieci giorni fa e rifletteremo sulla nostra posizione alla luce di fatti nuovi".

GIUSETTI-GRISETTI SU REP DI STAMATTINA
TORINO - Il velo di Maya cade a terra. I tabulati scoperchiano una realtà ben diversa da quella che Annamaria Cancellieri ha raccontato ai pm e al Parlamento. La frequenza e la tempistica delle telefonate tra il ministro, suo marito e i Ligresti, raccontano di un rapporto continuo, che dal giorno dell’arresto della famiglia di faccendieri milanesi si infittisce. Tra il 17 luglio e il 21 agosto per tre volte il ministro della Giustizia alza la cornetta e chiama i familiari degli amici sotto inchiesta. E tra il 17 luglio e la prima settimana di agosto, nella fase decisiva per decidere sulla permanenza in carcere di Giulia Ligresti, Sebastiano Peluso, il marito del ministro Cancellieri, chiama per ben sei volte lo zio di Giulia, Antonino.
Solo nei prossimi giorni, dall’analisi dei dati, si capirà se e in quante occasioni alle telefonate tra Sebastiano Peluso e Antonino Ligresti è seguita immediatamente una chiamata tra il marito del ministro e gli uffici della moglie. Quel che è chiaro è che la tesi della telefonata di solidarietà umana verso una famiglia di vecchi amici caduta in disgrazia, non regge più. La solidarietà si dà una volta, non nove in un mese, due alla settimana. E per continuare a sorreggerla è stato necessario ricorrere a mezze verità (che sono inevitabilmente anche mezze falsità) ora destinate ad essere smentite dai fatti.
Le telefonate del ministro
"Effettivamente ho ricevuto una telefonata da Antonino Ligresti che conosco da molti anni. Ligresti mi ha rappresentato la preoccupazione per lo stato di salute della nipote Giulia". Questa è la versione che Annamaria Cancellieri dà al pm Vittorio Nessi che la interroga il 22 agosto. Cancellieri si riferisce alla telefonata intercorsa tra lei e Antonino Ligresti il 19 agosto, tre giorni prima dell’interrogatorio. I tabulati telefonici (questi da tempo depositati e a disposizione delle parti) raccontano una storia diversa. Alle 13.33.20 del 19 agosto il numero chiamante è quello del ministro (il cellulare con il prefisso 366) e il numero chiamato è quello di Antonino Ligresti, che risponde da una località della Val d’Aosta. Dunque non è Cancellieri che viene chiamata ma è Cancellieri che chiama. Lo fa perché per due volte il giorno precedente Antonino l’ha cercata sul cellulare. E la seconda lascia un messaggio in segreteria. Poteva il ministro non rispondere a quella richiesta? Evidentemente no, non poteva. Anche se l’amico che chiamava era il fratello di un detenuto ai domiciliari, doveva rispondere. Poteva Annamaria Cancellieri dichiarare, tre giorni dopo, ai pm di Torino che era stata lei il 19 agosto a telefonare ad Antonino, per quanto sollecitata il giorno precedente? Poteva e non l’ha fatto. Rischiando. Perché rispondere qualcosa di diverso dalla verità in un interrogatorio da testimone, è un reato.
Le telefonate del marito del ministro
Dai tabulati delle chiamate di Antonino Ligresti non spunta solo il nome del ministro di Giustizia ma anche quello del marito della signora Cancellieri, Sebastiano Peluso. Per sei volte il cellulare di Peluso parla con quello del fratello del patriarca. E, particolare interessante, la maggior parte delle chiamate, della durata di 3-4 minuti, è tra la fine di luglio e la prima settimana di agosto. Sono giorni decisivi. Il primo tentativo di portare Giulia fuori dal carcere naufraga il 6 agosto di fronte al rifiuto del gip Silvia Salvadori. Ma qualcuno ha già pronto un piano B.
La strategia dei due tempi
Il filo mai interrotto, il combinato disposto si direbbe in tribunale, delle telefonate tra la famiglia Cancellieri e la famiglia Ligresti può spiegare finalmente il mistero che aleggia sulla scarcerazione di Giulia Maria. Dalla fine di luglio la figlia di don Salvatore si trova in carcere a Vercelli. In suo favore si muovono direttamente le assistenti sociali della casa circondariale il 13 agosto. Via fax medici e psicologi comunicano che la donna sta male e non regge psicologicamente l’adattamento al carcere.
Il documento arrivato in Procura a Torino a cavallo di Ferragosto desta lo stupore dei pubblici ministeri e in qualche modo fa sì che si rendano necessari tutti i successivi controlli che hanno svelato l’intreccio Cancellieri-Ligresti. Quella comunicazione, ritenuta tanto urgente da richiedere una procedura così inconsueta, ha obbligato i magistrati a disporre una perizia medico legale sulle condizioni di salute della donna e, dopo una serie di passaggi tecnici, a concedere finalmente alla Ligresti, il 28 agosto, di tornare a casa.
Che quella modalità fosse inconsueta non c’è dubbio (per quanti detenuti che rifiutano il cibo partono relazioni mediche alla Procura che indaga senza che vi sia stata alcuna sollecitazione?), ma dalla tabella dei tempi fornita dalle sole telefonate del ministro è impossibile stabilire un nesso causale tra la sua personale attivazione e l’effettivo intervento decisivo, quello del carcere. Se da Vercelli, infatti, parte la comunicazione alla procura il 13 agosto, Anna Maria Cancellieri dichiara di aver parlato con Antonino Ligresti preoccupato solamente il 19 agosto, quando cioè i giochi erano ormai fatti. Ora dai tabulati si scopre invece che il marito del ministro, Sebastiano Peluso, e Antonino Ligresti si sono parlati al telefono assiduamente proprio nei giorni a cavallo tra luglio e agosto. O marito Peluso e moglie Cancellieri hanno evitato di parlarsi per tutto quel periodo o è assai improbabile che il ministro abbia appreso dell’emergenza Giulia solamente il 19 di agosto.
"Giudicatemi dai fatti"
"Non giudicatemi da quella telefonata ma dai fatti che ne sono seguiti", aveva detto il ministro il 5 novembre scorso al Parlamento. Ed è proprio questo il nodo. Dopo la telefonata del 17 luglio alla compagna di Salvatore Ligresti, certamente la chiamata più compromettente ("non è giusto, non è giusto"), sono seguite sei chiamate del marito del ministro ad Antonino Ligresti e tre telefonate dello stesso ministro sempre al fratello del patriarca. Poi l’interrogatorio impreciso ai pm e infine, la comunicazione autoassolutoria alle Camere. Questi sono i fatti. E non sono pochi.

SALTA L’UFFICIO DI PRESIDENZA DEL PDL
ROMA - La guerra dei numeri va avanti fino all’ultimo minuto. E fino all’ultimo minuto vanno avanti pure gli incontri, i colloqui, i confronti e i faccia a faccia. Ma i tentativi di mediazione falliscono. E in serata, al termine di una giornata densa di incognite e di aspettative, i ’falchi’ convincono Silvio Berlusconi: niente accordi con le ’colombe’, si concretizza il redde rationem. La tensione resta alta, ma proseguono gli incontri: dopo aver visto il vicepremier Angelino Alfano e i ministri del Pdl, Berlusconi cena a Palazzo Gazioli con il capo dei lealisti, Raffaele Fitto. Dal canto loro i filo-governativi studiano le contromosse: riuniti nell’Hotel Santa Chiara alla presenza del ministro dell’Interno e degli altri ministri, discutono sulla rottura definitiva con Berlusconi, che passerà per l’annuncio di gruppi autonomi a Camera e Senato e la contestuale diserzione del consiglio nazionale.
Giornata ad alta tensione. Il sipario del consiglio nazionale che sancirà la fine del Pdl e la nascita della nuova Forza Italia sta per alzarsi. Ma i conteggi non si arrestano, perché i numeri questa volta contano. Di sicuro, però, c’è che non si terrà stasera l’ipotizzato ufficio di presidenza che avrebbe dovuto varare un nuovo documento da sottoporre domani al consiglio nazionale. Di fatto, si viaggia sempre più spediti verso la scissione. Il giro di consultazioni effettuato da Silvio Berlusconi dopo l’incontro con i ministri ’azzurri’ ha dato esito negativo. Da parte dell’ala lealista, infatti, sarebbe arrivata più di una indisponibilità a partecipare alla nuova riunione: un appuntamento che, se si fosse svolto, avrebbe dovuto modificare il documento da presentare domani al consiglio nazionale. L’ipotesi allo studio, infatti, era quella di scindere gli effetti della decadenza da senatore del Cavaliere dalla sopravvivenza del governo, vale a dire una delle due richieste avanzate da Angelino Alfano e dai ’governativi’ (l’altra era che nella nuova Fi vi fosse una struttura democratica: sì alla leadership del Cavaliere, ma primarie su tutto il resto). E ai falchi il senatore Pdl, Roberto Formigoni, attribuisce su Twitter la responsabilità della rottura.
La lettera ai parlamentari. È un Silvio Berlusconi perentorio, ma che a tratti sembra aprire al confronto quello che nel pomeriggio, in vista del consiglio nazionale di domani (peraltro, implicitamente confermato dallo stesso Cavaliere), invia una lunga lettera ai parlamentari pidiellini sul futuro del partito. Vi si legge: "È indispensabile restare uniti e lavorare insieme, non comprendo le divisioni. Chi non si riconosce nei nostri valori e chi non crede in Forza Italia è libero di andarsene. Domani sarà l’occasione per confrontarci e discutere. Come si fa in ogni famiglia. Ognuno porterà le proprie idee. Ognuno è chiamato a dare il proprio contributo al disegno comune. Con civiltà, senza pregiudizi, senza retropensieri. Domani dal palco del consiglio nazionale ripeterò quello che ho già detto più e più volte, fino allo sfinimento. Forza Italia è la casa di tutti, di coloro che hanno contribuito a fondarla, di coloro che si sono spesi per farla crescere, di quelli che vi hanno aderito o decideranno, spero, di aderirvi nel prossimo futuro".
Una lettera in cui non risparmia l’ennesimo attacco ai giudici quando dice che la missione di Forza Italia è "costruire un Paese dove non ci siano giudici che usino i loro poteri per eliminare gli avversari politici". Il messaggio, tuttavia, forse non a caso viene divulgato mentre a palazzo Grazioli il Cavaliere riceve ancora una volta i ministri Alfano e Maurizio Lupi alla vigilia dell’appuntamento clou.
La nuova Forza Italia - prosegue nel messaggio un Berlusconi secondo cui il ritorno alle ’origini’ rappresenta l’ultima chance prima che l’Italia sprofondi nel baratro della crisi - "è la casa di chi crede nella grande forza dei moderati italiani. È la casa di chi antepone l’amore all’odio, di chi non coltiva l’invidia e la maldicenza, di tutti coloro che all’egoismo e ai piccoli, talvolta meschini, interessi personali antepongono sempre il bene comune. Domani sarà il momento del confronto davanti ai nostri elettori, perché a loro, ricordiamolo sempre, dobbiamo la nostra lealtà e a loro dobbiamo garantire il nostro impegno. E dopo aver parlato e ascoltato decideremo insieme il nostro futuro. Domani dal palco ripeterò ancora una volta le ragioni per cui è indispensabile restare uniti e lottare insieme, noi moderati per unire i moderati". Per inciso: nelle stesse ore, a ridosso dell’assemblea di Scelta civica, in una sala del Senato a piazza Capranica, il ministro Mario Mauro ha presentato il progetto ’Popolari’.
Si va alla conta. Nel frattempo, i governativi verificano le adesioni alla Camera e al Senato. Se non si chiuderà l’intesa con i lealisti, le ’colombe’ sono pronte a costituirsi questa sera in gruppi autonomi. Le firme ci sono già (e la raccolta delle sottoscrizioni non si sarebbe fermata): gli innovatori sarebbero 25 alla Camera e 31 al Senato. Ma a palazzo Madama pare che i numeri siano anche destinati a salire.
Ma è su questa conta interna al Pdl che l’ex premier ribadisce: "Ho sentito parlare di raccolte di firme tra i nostri parlamentari: le uniche firme che a me interessano sono quelle di milioni di donne e di uomini che hanno creduto e credono in noi. E che nelle urne ci hanno concesso la loro fiducia". I primi a commentare la lettera del Cavaliere sono Altero Matteoli, Saverio Romano, Mariastella Gelmini e Maurizio Gasparri che, come in un coro, ribadiscono la necessità di recepire e condividere l’appello.
Cavaliere a convention esercito di Silvio. Silvio Berlusconi è atteso domani alla kermesse dell’esercito di Silvio che si tiene al teatro Orione di Roma. All’incontro, oltre al Cavaliere, saranno presenti diversi esponenti del Pdl: Anna Maria Bernini, Micaela Biancofiore, Mara Carfagna, Stefania Prestigiacomo, Daniela Santanchè, Sandro Bondi, Daniele Capezzone e Gianfranco Miccichè, oltre ad un video messaggio di Giancarlo Galan.

REP DI IERI
ROMA - Un faccia a faccia durato più di tre ore. Angelino Alfano è arrivato a Palazzo Grazioli alle 21.05, per un incontro difficilissimo a tre giorni dal Consiglio nazionale che potrebbe sancire lo strappo nel partito. All’uscita, nessuna dichiarazione. Secondo le prime indiscrezioni il confronto è stato teso e le proposte ’distensive’ di Alfano non avrebbero avuto facile asilo presso il Cavaliere e i due si sarebbero dati altre 48 ore per tirare le somme. Tre le condizioni poste da Alfano: fedeltà al leader, ma slegata a quella per il governo; battaglia sulla decadenza, ma senza strappi sul "progetto Italia" e Consiglio Nazionale da vivere senza scissioni, condizioni difficilmente accettabili da Berlusconi. Si sarebbe quindi arrivati all’impasse finale con rinvio.
Prima il vicepremier aveva visto gli esponenti della sua corrente: una riunione in cui molte colombe sono tornate a chiedere un rinvio del Consiglio nazionale se non si troverà prima un accordo che scongiuri la conta interna. Nell’incontro con il Cavaliere, Alfano - secondo indiscrezioni - ha provato a garantire un forte impegno per evitare il sì alla decadenza. Chiedendo in cambio un rinnovato sostegno al governo Letta e anche una trasformazione del partito, con la scelta democratica delle cariche. Ma Berlusconi sembra invece intenzionato ad assumere i pieni poteri, azzerando tutti gli incarichi. Questo mentre, sullo slittamento dei tempi della decadenza, è arrivato lo stop del Pd.
Decadenza, nessun rinvio. A complicare il riavvicinamento tentato da Alfano è il Partito democratico, che ha blindato la data fissata per votare a Palazzo Madama la decadenza da senatore di Berlusconi, già fissato per il prossimo 27 novembre (dunque prima delle primarie democratiche dell’8 dicembre): "Non è pensabile - dice Danilo Leva, responsabile Giustizia Pd - nessuna ipotesi di slittamento. Vanno rispettati il regolamento e le procedure".
La grazia non sarà richiesta. Intanto da Milano arriva la parola ’fine’ sulla richiesta di grazia per l’ex premier condannato in Cassazione per frode fiscale. A pronunciarla, l’avvocato Franco Coppi, uno dei difensori del Cavaliere che definisce "tramontata" l’ipotesi che egli possa inoltrare domanda. Un annuncio che si mescola al caos che già imperversa nel Pdl, dove in un ’tutti contro tutti’ Berlusconi continua a ripetere che se davvero dovesse decadere, finirà col ritrovarsi in balìa dei pm.
La riunione degli alfaniani. Nel vertice con i suoi, prima di andare a Palazzo Grazioli, Angelino Alfano, ha detto: "Se da settembre sulla decadenza siamo arrivati a novembre non è merito dei falchi. E noi continuiamo a sostenere che Berlusconi sia vittima di un’ingiustizia". Un concetto che era già stato espresso, in mattinata, da Fabrizio Cicchitto. "Non vogliamo rovinare la festa di sabato, perché Berlusconi la merita", ha detto ancora Alfano provando a disinnescare i rischi legati al Consiglio nazionale. E ancora: "Ogni volta che il presidente Berlusconi butta il ponte levatoio nel tentativo di costruire una nuova unità, ricevo un fuoco di dichiarazioni offensive.
Falchi ancora all’attacco. Dichiarazioni che non piacciono al ’falco’ Raffaele Fitto, secondo cui ’il tempo delle ipocrisie, delle parole dolci verso Silvio Berlusconi ma degli atti ostili nei suoi confronti, deve finire, altrimenti il rischio non è che si voglia guastare la festa’ al presidente Berlusconi, ma che si voglia fargli la festa". Parole al vetriolo, accompagnate da un fuoco di fila dei falchi, per rafforzare il concetto. Proprio Fitto - insieme ad altri falchi come Daniela Santanché, Sandro Bondi e Denis Verdini - è stato ricevuto da Berlusconi a pranzo, per molte ore. Prima del rush finale della trattativa con Alfano.
Grillo. Sul nodo della decadenza, è Beppe Grillo sul blog, in un articolo intitolato ’La memoria corta degli italiani’, ad attaccare l’ex premier (ma senza risparmiare il capo dello Stato Giorgio Napolitano): "Si dibatte in questi giorni di Berlusconi, della sua decadenza da senatore, della sua incandidabilità, come se fosse in corso un normale confronto politico. Nessuno si ricorda che Berlusconi è un condannato in via definitiva per truffa fiscale, in sostanza un delinquente acclarato che non può in alcun modo sedere in Parlamento".