Fabio Pavesi, Il Sole 24 Ore 15/11/2013, 15 novembre 2013
LA FABBRICA DELLE PENSIONI COSTA 5 MILIARDI
Sarà capitato a molti di chiamare l’Inps. E i meno fortunati avranno atteso minuti interminabili alla cornetta, prima di ottenere risposta. Efficiente o meno, quel servizio di call center nel 2013 sta costando 72 milioni di euro, secondo il bilancio preventivo dell’istituto di previdenza.
Più o meno come i medici deputati alle visite di controllo: la loro "parcella" di quest’anno è prevista di 70 milioni. Tanti? Pochi? Dipende dall’efficienza: se si stanano molti falsi malati, allora il prezzo è giustificato.
In ogni caso, l’Inps spende di più per convegni, pubblicità e consulenze: sono altri 110 milioni nel bilancio 2013. Quale sia poi l’esigenza di rendere visibile la propria presenza è controverso, per un ente che deve incassare contributi obbligatori e pagare (sempre obbligatoriamente) pensioni.
Arriviamo poi alle spese esterne: quest’anno, 220 milioni vengono utilizzati per pagare altri enti per erogare i trattamenti e 142 milioni per riscuotere contributi. Ma con 26mila dipendenti, che costano all’istituto di previdenza pubblica 2,5 miliardi l’anno (praticamente la metà dei 5,027 miliardi previsti come totale delle spese di funzionamento dal bilancio 2013) ci si chiede in quale misura sia effettivamente necessario esternalizzare il lavoro, se magari riqualificando parte del personale non si possa aumentare la quota di attività svolte all’interno.
Tutte queste cifre entrano nei flussi pensionistici e assistenziali governati dall’Inps, che valgono oltre 300 miliardi l’anno. I 5 miliardi di spese di funzionamento (stipendi e costi vari) hanno subìto una limatura di solo l’1,5% rispetto al 2012. È però vero che l’Inps sarà sottoposto a cura dimagrante: tra spending review e sinergie con Inpdap e Enpals sono attesi risparmi per più di 500 milioni. Il 10% sull’intero bilancio dell’ente.
L’Inps ha poi un patrimonio immobiliare da 1,8 miliardi bloccato, che secondo la Corte dei conti ha da anni rendimenti negativi.
Le mine contabili
Ma le mine vere per i bilanci dell’ente sono di altra natura. Dopo le perdite per 9 miliardi nel 2012 e quelle attese per altri 9 nel 2013, c’è il rischio, se le perdite non dovessero arrestarsi, di vedere azzerato il capitale dell’istituto entro il 2015. La forbice tra entrate e uscite dopo l’incorporazione con l’Inpdap si sta allargando a macchia d’olio. E accumulare deficit così copiosi ogni anno rischia di mandare in fumo il patrimonio.
Non c’è solo l’Inpdap ad aggravare i conti. Da sempre le gestioni speciali sono in profondo rosso. Il fondo degli ex dirigenti d’azienda, l’Inpdai (ritornato sotto le ali pubbliche, pena il fallimento) ha un disavanzo di ben 3,7 miliardi; l’ex fondo telefonici è in deficit per 1,2 miliardi; quello degli ex lavoratori elettrici è in rosso per 1,9 miliardi. Infine, l’ex fondo trasporti perde 1 miliardo. In totale, il deficit dei quattro fondi sfiora gli 8 miliardi. Sono in rosso anche le gestioni degli artigiani per 5,6 miliardi e quella dei coltivatori diretti per 5,5 miliardi. Tutti questi deficit escludendo quello dell’Inpdap, valgono 19 miliardi.
Lo sbilancio è quindi strutturale. Cosa succederà all’Inps? Ovvio, non fallirà: ci penserà lo Stato a ripianare il buco. Come? Con i trasferimenti diretti all’Inps. Sono stimati in 95 miliardi nel 2013. Erano di 89 miliardi nel 2012 e di 81 miliardi nel 2011. Quattordici miliardi in più in soli due anni e nelle stime c’è una progressione che porta la bolletta dei trasferimenti statali a superare i 100 e passa miliardi nel 2014 e 2015. Una partita di giro. L’Inps perde, lo Stato deve ripianare con somme sempre più consistenti.
Il conto è nell’aumento della spesa pubblica che finirà compensato da maggiore tassazione. Ecco in quei 100 miliardi il costo per la collettività dello sbilancio tra entrate e uscite per le pensioni.
Lo spettro dei residui
L’altra grana che è stata sollevata più volte dalla Corte dei conti è nella mole gigantesca dei residui nel bilancio Inps.
Quelli attivi, cioè gli incassi pregressi ancora da ricevere, ammontano a 134 miliardi, quelli passivi (pagamenti degli anni passati da effettuare) sono di 109 miliardi.
C’è uno sbilancio di 25 miliardi di entrate ancora da ricevere rispetto alle uscite da pagare. E, se si scoprisse che parte di quei soldi sono inesigibili perchè troppo vecchi, allora si aprirebbe un altro buco "vero" nei conti dell’istituto.
Altra preoccupazione è la continua svalutazione dei crediti contribuitivi. All’Inps mancano versamenti vecchi per 80 miliardi e di questi 33 miliardi sono stati svalutati. Un segno che la crisi pesa. Anche sui conti dell’istituto.