Sergio Romano, Corriere della Sera 15/11/2013, 15 novembre 2013
LUNGA STORIA DEL VOTO SEGRETO BUONE INTENZIONI E CATTIVO USO
In merito al voto sulla decadenza di Berlusconi dal Senato, in queste settimane si fa un gran parlare di voto palese o voto segreto. Io ritengo che il voto dovrebbe essere sempre palese (che ognuno si assuma le proprie responsabilità!), ma ora mi sorge qualche dubbio. Mi piacerebbe conoscere da lei i pro e i contro dell’uno e dell’altro metodo in una normale democrazia.
Lucio Molinari
molilu@msn.com
Caro Molinari,
Ne abbiamo già discusso in altre occasioni, ma credo che valga la pena di tornare sull’argomento. Nelle monarchie costituzionali dell’Ottocento il voto segreto è fortemente richiesto dai partiti democratici e liberali. I poteri del sovrano sono ancora molto forti e si vuole evitare che il timore di spiacergli induca alcuni parlamentari a votare secondo i suoi desideri o a disertare l’Aula nel momento del voto. Per molto tempo, quindi, il voto segreto contribuisce a rafforzare il potere del Parlamento.
La situazione tende a cambiare quando una democrazia più robusta può maggiormente difendersi dalle pressioni della Corte. Là dove il candidato è eletto in un collegio uninominale con il sistema maggioritario, il rapporto personale fra l’eletto e i suoi rappresentati richiede una maggiore trasparenza. I grandi partiti, d’altro canto, vogliono il voto palese, soprattutto quando si vota con lo scrutinio di lista, perché garantisce una maggiore disciplina del gruppo parlamentare. Lo vogliono in particolare i partiti unici delle democrazie totalitarie, dall’Italia di Mussolini alla Germania di Hitler, dall’Unione Sovietica ai Paesi socialisti del blocco di Varsavia. Diventa così molto più facile, per un regime autoritario, intimidire gli elettori nei seggi e imporre ai parlamentari la disciplina di partito. Ma vi sono anche circostanze in cui il voto segreto permette ai «franchi tiratori» di boicottare proposte governative che l’esecutivo si era impegnato a realizzare e per cui aveva ottenuto dalle Camere un voto di fiducia. È accaduto frequentemente nella cosiddetta Prima Repubblica italiana ed è questa la ragione per cui, alla fine degli anni Ottanta, i maggiori partiti hanno deciso di limitare il voto segreto ai casi in cui occorre decidere su problemi di persone o questioni di coscienza.
Come vede, caro Molinari, il voto segreto può essere usato diversamente da un caso all’altro. Può offrire al parlamentare il modo di opporsi al suo partito per ragioni inconfessabili senza essere costretto a rivelare la propria identità. Ma può anche garantirgli una libertà che il suo partito vorrebbe negargli. È normale quindi che sul singolo voto segreto, quando viene in discussione alle Camere, possano esservi opinioni diverse. È meno normale invece che i pareri cambino, volta per volta, a seconda delle convenienze e dello scopo che si vuole raggiungere. Ed è questo, per l’appunto, che sta accadendo in questi giorni nel Parlamento italiano.