Alessandro Rivali, Libero 15/11/2013, 15 novembre 2013
GLI SNOB EINAUDI: «FENOGLIO INCOLTO MECCANICO»
«Caro Sig. Vicari... soltanto Lei però (e sono lieto di dargliene atto) ha capito, e cercato di far capire, che la mia incolta prosa era frutto e risultato di cultura». È un Beppe Fenoglio (fino a oggi inedito) pienamente consapevole della sua bravura quello che emerge dalla lettera a Giambattista Vicari del 3 dicembre 1952, pronto a difendere a spada tratta i suoi Ventitre giorni della città di Alba (uscito nel giugno per i “Gettoni”di Vittorini) senza risparmiare frecciate al suo editore ancora incerto sulle possibilità del suo esordio: «Persino i Consulenti della Casa Einaudi, erano convinti, almeno nei primi tempi, che io altro non fossi che un meccanico dotato di forte istinto narrativo, mentre io ho alle spalle un bel pò [sic] di studi classici e traduco a prima vista Shakespeare ed Hopkins...».
La lettera a Giambattista Vicari (1909-1978), l’inesauribile animatore del Caffè con uno sguardo più lungimirante di altri critici del tempo (per esempio dello stroncatore Davide Lajolo), fa parte di un tesoretto di quattro inediti ritrovati da Laura Aldorisio, giovane studiosa dell’Università Cattolica. Si tratta di una scoperta estremamente interessante, data l’esiguità dell’epistolario pubblicato nel 2002 a cura di Luca Bufano, che nella sua introduzione spiegava: «Fenoglio non è stato un assiduo corrispondente; pochissime erano le sue amicizie al di fuori di Alba, e rare sono state le occasioni epistolari per eccellenza, cioè i viaggi, che nella sua breve vita lo hanno portato via dalla sua città. Eppure... l’epistolario sarebbe stato molto più ricco, e di almeno doppie dimensioni, se a questi fattori oggettivi... non si fossero aggiunti altri fattori esterni; in particolare l’incuria dei destinatari e l’iniziale disattenzione verso un autore, come egli si definì, “appartato e amateur like”».
L’autrice del ritrovamento stava lavorando a una tesi su Fenoglio dal titolo «La resistenza con gli occhi del bambino» (immagine che ricorda L’uomo che verrà, il bel film di Giorgio Diritti su Marzabotto) quando è rimasta conquistata dal suo epistolario. Tra i destinatari, quel Vicari il cui archivio è una miniera per la storia del nostro Novecento (basta visitare il sito www.ilcaffeletterario.it e dare una sbirciata ai carteggi conservati: tra i tanti, i nomi di Anceschi, Bacchelli, Bo, Bompiani, Buzzati, Calvino, Gentile, Luzi, Montale, Montanelli, Pasolini, Pavese, Sereni, Silone, Solmi, Vittorini e Zolla).
Nel riordinare la carte custodite a Montecalvo in Foglia (Pesaro-Urbino), Anna Vicari, figlia di Giambattista, ha mostrato alla studiosa quattro lettere di cui non si sapeva nulla. Si aggiungono così a quelle già note indirizzate a Vicari il 13 dicembre 1958 («Mi perdoni l’enorme ritardo, ma a cavallo di novembre e dicembre una bruttissima pleurite mi ha messo K.D. se non K.O») e il 17 giugno 1959, quando Fenoglio promise un altro contributo per il Caffè («Se ancora gradito, io avrei finalmente pronto il pezzo in questione e potrei inoltrarGlielo fra brevissimi giorni. Il brano è stralciato da un capitolo del mio nuovo romanzo»). Si trattava del racconto Il padrone paga male, poi divenuto il capitolo 10 dell’Imboscata.
Nel dicembre del 1954, sempre per il Caffè, Fenoglio aveva invece scritto l’intenso Il Gorgo: piccola grande storia di un bambino che intuisce l’imminente suicidio del padre tra i «gorghi» del fiume e cerca in ogni modo di dissuaderlo (riuscendoci).
Laura Aldorisio ha sottolineato come i ritrovamenti delle carte fenogliane sottostiano sempre al demone di una misteriosa imprevedibilità (del resto, Gli appunti partigiani furono ritrovati nel luglio del ’68 sulle fangose sponde del Tanaro dopo un incauto svuotamento di una soffitta...). Ha anche anticipato che negli altri testi da lei studiati si trovi un Fenoglio intento a spiegare la sua passione per la letteratura inglese, i suoi affetti più cari e, soprattutto, vòlto a considerare la cultura non come qualcosa di accademico, ma di profondamente intrecciato alla vita. Lettere in cui lascia trapelare la ricerca della verità sull’uomo, in tutto l’arco delle sue possibilità: l’amore, la fragilità, ma anche la violenza. Come se la guerra attraversata gli avesse dato la possibilità di vivere molte vite.
Il Fenoglio “ritrovato” sarà uno dei momenti essenziali de «La forza dell’attesa», il convegno organizzato dalla Fondazione Ferrero e dal Centro Studi Beppe Fenoglio nel cinquantennale della morte dello scrittore che aprirà oggi i suoi lavori ad Alba. Il suo ideatore, Valter Boggione (all’attivo il suggestivo La sfortuna in favore. Saggi su Fenoglio per Marsilio), ha spiegato così l’intelaiatura dell’evento: «Il cinquantenario è un’occasione importante e ingombrante. Per questo abbiamo pensato a una prima giornata "di bilancio", con relazioni su aspetti e questioni fondamentali dell’opera fenogliana (la natura, la resistenza, i finali delle opere), affidati a critici già affermati; e una seconda "in prospettiva", con interventi di giovani studiosi di Fenoglio su testi non necessariamente minori, ma certo meno frequentati (la prima edizione di Primavera di bellezza, l’Ur-Partigiano Johnny), importanti per aprire nuove prospettive».
Decisamente controcorrente anche il ritratto presentato da Boggione del rapporto tra Calvino e Fenoglio: «Nonostante le innumerevoli citazioni che si fanno della prefazione al Sentiero dei nidi di ragno, credo che Calvino non abbia capito molto di Fenoglio. Il suo ridurre Una questione privata a un romanzo generazionale (seppure il miglior romanzo di quella generazione, quello che tutti avrebbero voluto scrivere), e il paragonarlo all’Orlando Furioso, il poema del gioco combinatorio e dell’invenzione fantastica, lo dimostrano. Calvino, parlando di Fenoglio, parla di sé. E Fenoglio, per parte sua, mi pare abbia sempre pensato a Calvino come a un funzionario dell’Einaudi, non come a uno scrittore. Troppo diversi i linguaggi che parlano, per capirsi ». Come a dire, su Fenoglio molto è stato scritto, ma mai abbastanza. E chissà che un giorno non venga considerato l’Omero, in prosa, del nostro Novecento...