Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 15/11/2013, 15 novembre 2013
NON ACCETTO SOSPETTI SU DI ME NINO È UN AMICO E IL MIO MEDICO
Si sente in trappola, Annamaria Cancellieri. Stretta fra un rapporto di amicizia ultratrentennale e un distillato di intercettazioni e tabulati telefonici che fanno riemergere i sospetti di interventi quantomeno inopportuni sulla vicenda giudiziaria della famiglia Ligresti. Ma soprattutto le rovesciano addosso l’accusa di aver mentito ai magistrati e al Parlamento, quando affermò di aver avuto solo due conversazioni - a suo dire del tutto innocenti - con i parenti degli arrestati. Ora ne spunta almeno una terza con il fratello di Salvatore Ligresti (Antonino, non inquisito, l’amico di una vita) e chissà quante altre, sue e del marito Sebastiano Peluso. Accusa che il ministro della Giustizia respinge quasi con sdegno. «Io non ho mentito — ripete ai suoi collaboratori più stretti, nella grande stanza al primo piano del palazzo di via Arenula —, quella conversazione del 21 agosto non me la ricordavo e non me la ricordo. Io con Nino Ligresti ci parlo spessissimo è un mio amico ed è il mio medico di fiducia. Ai magistrati e al Parlamento ho detto la verità: a parte il colloquio con Gabriella (la compagna di Ligresti, con cui parlò il 17 luglio all’indomani degli arresti, ndr ) e quello con Nino che mi segnalava i rischi per l’incolumità della nipote Giulia, non me ne sono più occupata».
Niente di male, insomma, secondo la Guardasigilli che reclama il diritto di essere amica di chi crede: «Nino Ligresti per me è una brava persona, e rivendico il mio rapporto con lui; se invece è un problema, basta che me lo dicano. Non ho chiesto io di venire in questo ministero, né ho intenzione di restarci a dispetto di qualcuno o qualcosa». Il prefetto in pensione Cancellieri è al governo da due anni, all’Interno con Mario Monti e alla Giustizia con Enrico Letta; per spirito di servizio nei confronti delle istituzioni e rispetto dei suoi rappresentanti - ha sempre tenuto a sottolineare - primo fra tutti il presidente della Repubblica con il quale ha un particolare rapporto di stima e collaborazione. Ma in questo periodo qualche regola non scritta della politica l’ha imparata, e adesso si rende conto che al di là della questione giudiziaria c’è un caso politico che porta il suo nome. «Questo lo capisco - ammette nel chiuso del suo ufficio -, anche se non ne condivido le ragioni. Dunque se sono d’intralcio sono pronta a trarne le conseguenze».
Glielo devono dire, però. A cominciare dal presidente del Consiglio. Ieri mattina, incontrandolo al Quirinale per la visita di papa Francesco, ha chiesto a Letta di potergli parlare per mettere a punto una linea comune. Il capo del governo le ha risposto che l’avrebbe chiamata quanto prima, poi è partito per Lipsia ed è rientrato a notte alta. Probabilmente si vedranno oggi, e dovranno tener conto anche della posizione del partito Democratico, ancora incerta tra richieste di assemblea dei deputati e un Matteo Renzi che voleva un passo indietro del Guardasigilli prima ancora che uscisse la nuova telefonata. Così Annamaria Cancellieri resta in attesa, continuando a lavorare sul «pacchetto carceri» che vorrebbe presentare al Consiglio dei ministri anche prima che alla Camera si discuta la mozione di sfiducia nei suoi confronti presentata dai «grillini», mercoledì prossimo. Consapevole, però, che a quell’appuntamento potrebbe persino non arrivare, se le venissero chieste le dimissioni per evitare ulteriori problemi e frizioni che metterebbero a rischio la tenuta del governo.
«Il vero obiettivo di questo accanimento non sono io ma il governo - si sfoga -, per questo se vogliono me ne vado. Ma non accetto, né accetterò mai, il sospetto che io abbia brigato in favore di qualcuno. Questo no». La telefonata del 21 agosto con Antonino Ligresti, però, alla vigilia dell’interrogatorio fissato con un pubblico ministero di Torino, qualche dubbio potrebbe farlo nascere. E se il telefono del suo interlocutore non era intercettato, come sembra, del colloquio si conoscono orario e data, ma non il contenuto. Difficile, in ogni caso, far credere che a due giorni dalla segnalazione ricevuta proprio da Nino sullo stato di salute di Giulia, non ne abbiano riparlato. E c’è pure chi ipotizza che abbiano discusso, oltre che delle condizione della nipote detenuta, dell’incontro con i magistrati fissato per l’indomani. Ma anche su questo, l’autodifesa del ministro è categorica: «Neanche per sogno! Io non sapevo che dovevano interrogarmi, e tantomeno a proposito dei Ligresti. Il procuratore Caselli mi telefonò il giorno prima, dicendomi che dovevano parlarmi con urgenza, che lui non stava bene e dunque si scusava di non poter venire, e sarebbe venuto un suo aggiunto. Non mi ha detto di che cosa si trattava , tanto che io ho immaginato che ci fosse qualche problema con la questione dei No Tav, che da tempo tiene occupata quella Procura».
E’ una versione che trova conferma negli ambienti giudiziari torinesi: la Guardasigilli non era stata avvertita dell’argomento, per la semplice ragione che di norma i testimoni non vengono informati del motivo per il quale devono essere ascoltati. Ma Cancellieri, ai collaboratori che stigmatizzano le fughe di notizie in violazione del segreto investigativo e fanno notare ipotetiche anomalie di accertamenti sui contatti della Guardasigilli che non spetterebbero alla magistratura ordinaria bensì al tribunale dei ministri, ribadisce che proprio il verbale sottoscritto davanti al procuratore aggiunto Vittorio Nesi dimostrerebbe la sua buona fede: «Sono stata io a rivelare la telefonata in cui Nino Ligresti mi parlò allarmato della situazione di Giulia, e che la sera prima avevo ricevuto un suo messaggio telefonico al quale avevo risposto dicendogli che avevo interessato chi di dovere e che la situazione era sotto controllo. Questa conversazione di sette minuti non la ricordavo e non la ricordo, sennò perché avrei dovuto nasconderla? Tutto quello che avevo da dire l’ho detto. Mi si può credere o non credere, ma insinuazioni e sospetti non posso accettarli». Chissà se basterà a divincolarsi dalla trappola.
Giovanni Bianconi