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 2013  novembre 15 Venerdì calendario

IN GERMANIA CADE IL TABÙ DELL’EURO: USCIRE È POSSIBILE


È caduto un tabù: sul (lentissimo) tavolo di formazione del governo più potente d’Europa è arrivata l’ipotesi innominabile: l’uscita dall’euro. La proposta che al momento resta tale è arrivata, secondo un articolo pubblicato ieri sullo Spiegel, dalla Csu, cioè il partito bavarese alleato della Merkel con la quale si appresta assieme ai socialisti a formare il prossimo esecutivo.
Cosa dice la Csu? Lo Spiegel parla di un documento di dodici pagine in cui, tra i punti posti come decisivi per l’intesa di governo, appare una condizione clamorosa: «La Csu si impegna affinché gli Stati membri che in un tempo prevedibile non si dovessero dimostrare in condizione di rispettare i parametri di Maastricht possano avere la possibilità di uscire temporaneamente dall’euro». La fattibilità di questa ipotesi è tutta da verificare, ma il fatto stesso che venga formulata come materiale di discussione è a dir poco impressionante. Tra l’altro, come ha mostrato la recente procedura d’infrazione contro la Germania per l’eccessivo surplus, in teoria sarebbe la stessa Berlino a poter essere «cacciata» dalla moneta unica. Di sicuro l’Italia col suo debito pubblico sarebbe interessata da una «minaccia» simile (per qualcuno può essere considerata un’opportunità per svalutare e tornare competitivi). Resta un fatto al di là delle elucubrazioni: se è vera la ricostruzione dello Spiegel, l’innominabile opzione che qualunque autorità politica si affretta a zittire a colpi di «inevitabile», «irreversibile», eccetera è nero su bianco su un documento degli alleati più fedeli della regina politica del continente.
A suo modo, la dice lunga sul rischio di sostenibilità della moneta unica che si pone in modo drammatico per il nostro Paese. Non solo: c’è un motivo squisitamente politico dietro l’uscita esplosiva della Csu. Il sistema dei partiti tedesco si sta scannando per definire equilibri e programmi della nuova coalizione, ma gli occhi di tutti sono (anche) alle prossime elezioni Europee, non esattamente al centro del dibattito in Italia. È a fine maggio che si andrà a definire il destino di un continente e che si aprirà la battaglia per la Commissione e, più in generale, sull’assetto di un continente in bilico. Non a caso è proprio sui punti «europei» che stanno uscendo più indiscrezioni sui colloqui tedeschi. La Faz ieri riferiva che «nella bozza finale della possibile intesa Cdu/Spd è passata l’idea che ogni Stato dell’eurozona sia garante e responsabile del proprio debito». Tradotto: no, l’ennesimo, agli eurobond. Insomma, tutti hanno interesse ad apparire come i difensori più credibili del risparmiatore tedesco (e di una popolazione in rapido invecchiamento che apre immensi problemi demografici), anche a colpi di demagogia che mal si concilia con la retorica dell’egemone dell’integrazione del continente. È in questa chiave che va letta l’ipotesi condivisa da Cdu e Spddi istituire referendum per qualunque decisione targata Ue che comporti in futuro obblighi di spesa per Berlino. Ed è in questa chiave che acquisisce importanza drammatica la decisione slittata di qualche mese della Corte di Karlsruhe sulla legittimità del programma della Bce di Draghi.
Le previsioni di un allentamento della posizione tedesca dopo le elezioni di settembre trovano comunque un muro contro cui sbattere. L’ottimo risultato di Alternative für Deutschland, il movimento anti-euro che ha sfiorato l’ingresso al Bundestag, ha fatto capire che i temi aperti dal problema della stagnazione europea sono spalancati anche nel Paese «padrone» del continente. E così anche la Csu corre a presidiare lo spazio politico aperto da AfD soprattutto in vista delle Europee, rompendo come detto il tabù della fuoriuscita dalla moneta unica. Dopo la notizia uscita ieri, diventa problematico appiccicare la consueta etichetta «populista» a chi prende di petto il problema della sostenibilità dell’area euro e di una moneta il cui cambio rimane a livelli non sopportabili dalla nostra struttura produttiva. Non sono grillini, non sono estremisti, non sono tribuni più o meno presentabili: sono i signori che siederanno per altri cinque anni ai posti di comando del Paese più forte d’Europa a teorizzare un’«exit strategy ». Lo fanno per ragioni tattiche (la Csu a breve va a congresso) e in chiave ancora di proposta, ma lo fanno.