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 2013  novembre 15 Venerdì calendario

BIMBO DI UN ANNO E MEZZO TOLTO AI GENITORI DAL GIUDICE “NATO CON L’UTERO IN AFFITTO”


Madre certa ma in affitto, padre incerto, incerti anche i documenti. Le uniche cose sicure, in questa storia surreale, sono due (forse): la prima, i biglietti aerei per Kiev; la seconda, un bambino sottratto ai genitori. Genitori legali. Perché credevano di esserlo diventati.
Siccome però il codice di diritto ucraino non è il codice di diritto italiano, e siccome Ricengo, 1.700 abitanti in provincia di Cremona, non è una metropoli e la gente mormora, la storia è venuta fuori. Poi è sprofondata nella palude di un pasticcio legislativo. Risultato: non solo i genitori sono rimasti senza il bambino — per decisione del Tribunale dei minori di Brescia — ma sono anche imputati per “alterazione di stato”.
Premessa: la pratica dell’utero in affitto in Italia è vietata. È il motivo che spinge ogni anno centinaia di coppie ad andare all’estero per sottoporsi alla fecondazione eterologa. La coppia di Crema — mezza età, «persone normalissime e per bene», li descrive Cecilia Rizzica, uno dei legali — opta per questa soluzione. È dicembre del 2010. La maternità surrogata in Ucraina, come in altri Paesi divenuti mete del “turismo procreativo”, è riconosciuta. La speranza della coppia cremasca si chiama BioTexCom - Center for reproductive medicine di Kiev. I medici mettono a disposizione la madre surrogata, che sarà fecondata con lo sperma dell’aspirante padre. Costo dell’operazione: 30 mila euro.
A gennaio 2011, il primo viaggio a Kiev, dove viene prelevato lo sperma dell’uomo. Ma attenzione: il BioTexCom center spiega adesso sul suo sito che «il kit con il seme congelato è stato spedito dall’Italia. E tutta la documentazione, contratto compreso, trasmessa via mail». Passi la documentazione: ma lo sperma spedito dall’Italia all’Ucraina? Possibile? «E nel caso come, con una raccomandata...?!», butta lì l’avvocato Rizzica, secondo il quale si tratta di affermazioni «curiose».
Andiamo avanti. Passano due mesi. A marzo di due anni fa la coppia viene avvertita che l’impianto ha attecchito. La madre in affitto aspetta due gemelli. Altro volo a Kiev. Per conoscere la ragazza e saldare quanto pattuito. Il parto, previsto per novembre, viene anticipato di un mese. Terzo volo a Kiev. Nel parto uno dei due gemelli non ce la fa, l’altro viene al mondo. Arriva, a questo punto, il timbro della legge ucraina. Alla coppia viene rilasciato un certificato di paternità e maternità. Tutto in regola visto che in Ucraina la legge permette di iscrivere come proprio il figlio nato da una madre surrogata.
I problemi iniziano in Italia, quando i genitori si presentano all’anagrafe di Ricengo per trascrivere i documenti ucraini e iscrivere il figlio. L’ufficiale non ricorda di avere mai visto in giro la donna col pancione. La voce arriva in tribunale, e da Crema, dove è stato accorpato a Cremona, rimbalza al tribunale dei minori di Brescia. In Italia il certificato ucraino è illegale. Se ti scoprono, per la legge sei colpevole. Quando il bambino ha un anno e mezzo Brescia stabilisce che papà e mamma hanno falsificato i documenti, e il piccolo viene affidato a una casa famiglia. Ultimo colpo di scena. Il test del Dna conferma che l’aspirante padre non è in realtà il padre del bambino. «Sembra incredibile — ragiona Cecilia Rizzica — . Tutto ruota intorno a una carenza legislativa del nostro sistema giuridico. Il 14 gennaio, prossima udienza, chiederemo l’assoluzione della coppia. Per quanto riguarda il processo civile, il provvedimento del tribunale di Brescia non è definitivo. Mi auguro che si decida di riunire la famiglia».