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 2013  novembre 15 Venerdì calendario

NON FACCIO PORCHERIE NEANCHE PER DUE MILIONI


Autoritratto: “Sono pigro, non molto ambizioso e dentro il corpo di un adulto, ho l’anima di un ragazzino. Io non ho la sindrome di Peter Pan, io sono Peter Pan. Mi manca il cappelletto con la piuma, ma mi butto nelle cose, dal teatro al bricolage, come se avessi 13 anni. Invece ne ho 58, mi stanco spesso, il fisico non mi segue più nelle follie di un tempo e decenni di motocicletta, incidenti e reumatismi hanno presentato il conto. Poi c’è la spalla. Me la lussò Piero Natoli sul set di Ferie d’Agosto di Virzì. Avrei dovuto dare un cazzotto a Silvio Orlando, ma Piero – che era un maniaco della palestra – per fermarmi mi afferrò troppo forte”. Mentre manda un affettuoso bacio verso il cielo con le mani (“Li mortacci tua Piè”) e racconta che ogni sera, al termine di “Beniamino” (il magnifico, inquietante monologo tratto da Spears per la regia di Sepe in scena fino a domenica all’Ambra Jovinelli di Roma) ha gli occhi inumiditi dalla fatica: “Sono sudato fradicio, mi potrebbero strizzare”, Ennio Fantastichini appare esattamente per quel che è. Un attore di straordinario, misterioso talento che messi in fila i premi e fatta una pernacchia alla sottovalutazione, alla tregua ha continuato a preferire la guerra permanente e all’ingaggio facile, la sperimentazione: “Perché i soldi sono importanti, ma visto che la mia esigenza di sempre è potermi guardare allo specchio e in generale nessuno tira fuori più una lira, il mio domani somiglierà a ieri. Io la merda non la faccio. Neanche per due milioni di euro”. Lo vedi sul palco, professore traviato dalla passione platonica – non senza conseguenze – per un suo allievo minorenne e tra piume di struzzo, foto di Mick Jagger, ambiguità, commedia, dramma e riprovazione collettiva, intuisci i confini di quella categoria che Fantastichini chiama “ferocia culturale”. Se hai conquistato la libertà con le tue gambe, puoi permetterti di scegliere. Se ti sei arrampicato da solo, non puoi consentirti di sbagliare. Ennio ha rischiato in proprio. Con la voce roca, i libri, gli occhi febbrili, le sfumature e più di 40 film. Infanzia a Fiuggi: “In una famiglia di matti”. Il padre militare: “Bello come Burt Lancaster” . Comandante della locale stazione dei Carabinieri: “Perché a quell’epoca la scelta era tra il seminario, la miniera belga o la divisa”. Il fratello artista, Piero, che inaugurò la sua prima ‘personale’ appendendo un manifesto di Ernesto Guevara alle pareti della camera: “Papà che era tornato a piedi dalla Russia e che certe cose le aveva viste di persona, glielò strappò al grido di ‘i bolscevichi in casa no!’ e Piero si chiuse nell’armadio 4 giorni. Il cibo glielo portava mamma, di nascosto”. In due ore, con il grigio di novembre a filtrare dalle serrande abbassate di un soggiorno con vista Vaticano, Fantastichini colora il passato, ride e si commuove. Cambia tono e recita in inglese. Si alza, fa smorfie, batte i pugni sul tavolo, fuma di gusto e ricorda. Cammina sui pezzi di vetro, lascia qualche traccia sulla prima regia di Claudio Amendola (La mossa del pinguino, presto al Festival di Torino: “Sono Ottavio, vigile zoppo con il baffetto alla Modugno) e giura di non avere paura: “Tutto quel che potevano, me l’hanno tolto. Ho pagato e continuo a pagare ogni giorno il prezzo delle mie scelte. Allora proseguo nel dire la verità e preparo il mio debutto da regista. Ho già il titolo. ‘Peccato per noi’. Una storia cattiva in cui un fratello tiene in stato di schiavitù il sangue del suo sangue. La natura è spietata, la famiglia un inferno e io non ho più bisogno né voglia di consolare o di essere consolato”.
Da giovane l’ha avuta?
I miei si sono amati perdutamente per tutta la vita. A casa osservavamo questo mostruoso modello di insuperabile armonia e al tempo stesso, manifestavamo per il divorzio. In anni in cui non c’erano né l’Aids né l’epatite C, ero reichiano convinto .
Per la liberazione sessuale?
Vivevamo solo per l’oggi. Univamo i letti, legavamo le lenzuola, allargavamo anche plasticamente lo spazio del piacere come nella città delle donne di Fellini e trombavamo come ricci. Una promiscuità totale con un unico dogma: “Quello che è mio è tuo e quello che è tuo, mio”.
Ed era vero?
Fu una breve fiamma, poi arrivò la violenza politica e ognuno prese la sua strada. Chi nelle Br, chi in Confindustria, chi in un hashram indiano. L’Italia è un paese di opportunisti. L’enclave descritta da Welles ne La ricotta: “La borghesia più ignorante d’Europa. Un popolo di analfabeti”.
Lei che strada prese?
Da Fiuggi ero scappato a 15 anni. A Roma, poi a Milano con Dario Fo. Dall’estremismo mi salvò l’etica. Optai per il palco, esordii al cinema nell’82 e tempo dopo incontrai Gianni Amelio e il mio maestro, Volonté.
Il film era “Porte aperte”, tratto da Sciascia.
Il Gian Maria di Petri, quello di Indagine su un cittadino, fu il lampo che mi destinò al mestiere. Sul set ovviamente cerco un dialogo. Però lui sfugge, non mi rivolge parola e non mi saluta mai. Poi, a film finito, ricevo una telefonata.
Era lui?
“Ho fatto il pollo con i peperoni. Ti aspetto”. Non sapevo neanche dove abitasse. Trovo l’indirizzo e arrivo a Velletri. Mi aspettava sull’aia. Mi abbraccia: “Adesso possiamo diventare amici, prima no. In Porte aperte eravamo antagonisti e i nemici non mangiano mai insieme”.
Una lezione?
Era fatto così. Amava provocare e custodiva un rigore da cui derogava solo per tornare bambino. A Venezia, per la proiezione di Una storia semplice di Greco, doveva sedersi accanto al Presidente del Senato. Sostituì il suo nome con il mio e a fianco di Spadolini, rimasi io. I miei colleghi erano terrorizzati dal suo carisma. Gian Maria, esattamente come aveva fatto con me, con loro non proferiva verbo o faceva domande surreali. A Ghini chiese a tradimento cosa pensasse della fine del comunismo.
E Ghini?
Gli venne una battuta straordinaria: “Mi dispiace”. Poi Gian Maria si superò in conferenza stampa: “Voglio elogiare gli altri attori e il più bravo di tutti, Alessandro Haber”. Nel cast, di Haber non c’era traccia.
Volonté. Il più politico dei nostri attori.
Era diverso. I parlamentari di oggi sono ignobili. Tutti responsabili della tragedia, senza distinzioni.
Anche il Pd?
Peggio mi sento. Qualche mese fa mi hanno chiamato: “Signor Fantastichini, voterà alle Primarie ?”. “E chi eleggete, il Papa?”. Aveva ragione Moretti, magari dicessero qualcosa di sinistra. Non ci spero più. Leggo che il signor Ignazio Marino ha un addetto stampa che supera i 100.000 euro di stipendio. Mio padre era partigiano e dalla Russia tornò a piedi. Se questi sono compagni, voglio emigrare altrove.
In “Ferie d’Agosto” interpretava un bottegaio qualunquista.
Ricordi bellissimi. Spaghettate notturne, canzoni, scherzi. Virzì, che non vedo da allora, è nel solco di Scarpelli, Germi e Monicelli, padri di una commedia in cui si ride, ma ogni tanto, inatteso, ti arriva un calcio nei coglioni. Paolo sa lavorare con gli attori. In Tutta la vita davanti, la sua Ferilli omicida è meravigliosa.
E malinconica.
Io l’ostacolo l’ho superato, so’ malinconico da sempre. E la ‘carrettella’, in scena, non la faccio. Non allungo il brodo per compiacere la platea. Come dico a mio figlio: “Rispetta il lavoro di tutti ed esigi che venga rispettato il tuo”. Per me questa è la democrazia.