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 2013  novembre 15 Venerdì calendario

EINAUDI 80 ANNI DI LIBRI CHE DURANO


Prima ancora che libri, nel 1933, quando comincia la sua attività d’editore, Giulio Einaudi pubblica una rivista, La Cultura, fondata da Cesare De Lollis. Lì, intorno al mensile, si forma il gruppo che si trova in via dell’Arcivescovado, a Torino, al numero 7, nello stesso palazzo dove aveva avuto sede Ordine Nuovo di Antonio Gramsci.
Ci sono Leone Ginzburg, Cesare Pavese e Massimo Mila, tutti usciti dal liceo D’Azeglio. L’anno seguente il giovane Giulio prende a carico la rivista del padre, La riforma sociale. Da questo nucleo di collaboratori, amici, studiosi nasce la casa editrice che porta il suo nome, un aspetto spesso sottovalutato nella genesi della più importante casa editrice italiana del secondo dopoguerra, di certo la più prestigiosa e carica di cultura.
Essere un editore di riviste vuol dire privilegiare due aspetti: l’interventismo culturale e il gruppo. Che Einaudi sia stato ben presto un editore «militante» è evidente all’occhiuta censura fascista. Nonostante l’ampia recensione di Benito Mussolini a Che cosa vuole l’America? di Henry A. Wallace, primo libro dell’Einaudi, apparsa sul Popolo d’Italia il 17 agosto 1934, il gruppo di sovversivi torinesi viene arrestato e La Cultura chiusa. Sarà un arresto di gruppo, perché l’Einaudi senza questo gruppo non sarebbe neppure concepibile. Se il laboratorio torinese è durato così a lungo, attraversando ottant’anni di storia italiana, lo si deve prima di tutto a questo. In Italia ci sono stati editori importanti, da Mondadori a Rizzoli, ma nessuno di loro era un gruppo intellettuale, una realtà plurima e complessa. Questa è stata la fortuna dell’Einaudi fin che Giulio Einaudi ne è stato a capo.
Elegante, ruvido, bizzoso, scostante, imprevedibile, Re Giulio ha creato intorno a sé una realtà collettiva. All’inizio
primus inter pares
, perché Pavese e Ginzburg erano figure di fratelli, a volte persino maggiori, cui aggiungere Giaime Pintor e Carlo Muscetta a Roma. Poi, dopo la morte di Leone, in seguito alle torture dei nazifascisti, e il suicidio di Cesare, è rimasto solo lui, con altre figure importanti quali Franco Venturi, Norberto Bobbio, Felice Balbo, Mila; poi Vittorini, Calvino e Natalia Ginzburg. Ma non più i fratelli degli inizi. Pur regnando incontrastato, Einaudi ha sempre avuto vicino a sé queste figure di collaboratori, cui s’aggiunge, a partire dalla fine degli Anni Cinquanta, Roberto Cerati, mente commerciale. Insomma, come ha scritto Gian Carlo Ferretti in una delle sue storie dell’editoria italiana, un cervello collettivo, in cui la progettazione, la ricerca e la decisione erano il risultato di un dibattito interno, tra il formale e l’informale, legato a un luogo mitico, i famosi «mercoledì» dove, intorno a un tavolo, si discuteva di libri e di autori, spesso in modo polemico e feroce. L’arrivo di Giulio Bollati, viceré, darà alla corte di Re Giulio la sua forma più perfetta mantenuta fino alla crisi degli Anni Ottanta.
Insieme alla militanza (che spingerà Einaudi a pensare l’unione con Giangiacomo Feltrinelli negli Anni Settanta, considerato un erede) e al gruppo, ci sono altri due elementi: l’idea di voler raggiungere un vasto pubblico e la grafica. È stata questa ambizione, e non un calcolo d’opportunismo commerciale, a spingere Einaudi vicino al Partito comunista, individuato ben presto come il riferimento culturale e politico nell’Italia postbellica. Far crescere il numero dei lettori, dare loro libri che non siano solo destinati alle «piccole chiesuole di marca fiorentina», consolidare la democrazia della lettura, è stato un compito che Re Giulio ha indicato ben presto al suo gruppo. Vittorini e Calvino hanno incarnato questo progetto per vari decenni. E senza Albe Steiner, Bruno Munari e Max Huber, non ci sarebbe l’eleganza di Einaudi, più volte ripresa e aggiornata anche dai grafici più giovani. Lo scopo è di far durare i libri, di trasformarli in manifesti visivi, sin dalle copertine. L’identità data dal marchio grafico, che dura ancora.
Poi arriva la crisi, negli Anni Ottanta. Se ne va Bollati; c’è la crisi finanziaria, ma è anche la società italiana a mutare pelle. Il progetto, culmine del fare einaudiano, lascia il posto al non-progetto, o all’antiprogetto, come lo definisce Ferretti. Viene l’epoca delle concentrazioni editoriali. In modo molecolare nascono piccole case editrici; è l’ora di Adelphi, nata da una costola dell’Einaudi. Niente è più come prima. Resta la grande eredità culturale, di titoli, idee, persone. Giulio abdica. L’Einaudi continuerà senza di lui, una navigazione diversa. Fa sempre bei libri, ma si concentra via via sulla narrativa. Nasce «Stile libero» di Paolo Repetti e Severino Cesari. Il nome è tutto: liberi tutti. Editore in un universo multimediale e multiculturale. Torino non è più il centro del mondo. Arriva la Mondadori, e Silvio Berlusconi, nuovo proprietario. Sono gli Anni Novanta. La nave va, lasciala andare.