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 2013  novembre 15 Venerdì calendario

TOGLIATTI HA TRADITO GRAMSCI ECCO LE CARTE CHE LO PROVANO


Antonio Gramsci fu ar­restato la notte dell’8 novembre 1926 a Ro­ma dove viveva, in af­fitto, nella casa di due anziani coniugi, Giorgio e Clara Passar­ge, legati da rapporti di amicizia con Carmine Senise, già allora alto funzionario del ministero dell’Interno. Iniziò, così, il lun­go calvario dell’esponente co­munista tra confino e carcere. A quell’epoca i suoi rapporti con Palmiro Togliatti si erano già de­teriorati. Sullo sfondo c’era lo scontro di potere all’interno del gruppo dirigente bolscevico do­po la morte di Lenin: Stalin e Bu­charin, da una parte, Trockij, Zi­noviev e Kamenev, dall’altra. Gramsci aveva inviato a Togliat­ti, rappresentante del Pcd’I nel­la III internazionale, un docu­mento per i dirigenti sovietici nel quale lasciava trapelare il suo dissenso per il comporta­mento della maggioranza stali­niana del Comitato Centrale del Pcus nei confronti dell’op­posizione e auspicava un riavvi­cinamento ideologico con per­son­alità che godevano di presti­gio mondiale e andavano anno­verate fra i «nostri maestri».
Togliatti, già folgorato dalla stella di Stalin, non consegnò il documento ritenendolo inop­portuno ed ebbe con Gramsci un duro scambio di lettere. Fu il primo tradimento nei confronti di Gramsci. Non fu, però, il solo, come documenta un importan­te l­avoro di Mauro Canali intito­lato Il tradimento. Gramsci, To­gliatti e la verità negata (Marsi­lio, pagg. 256, Euro 19,50) e frut­to di una capillare e puntigliosa ricerca archivistica.
Subentrato a Gramsci nella guida del Pcd’I,Togliatti fece im­boccare al partito la strada della subordinazione allo stalinismo e di un sostanziale disinteresse per la sorte del leader comuni­sta, il quale cominciò a nutrire dubbi e sospetti su di lui. Nel feb­braio del 1928, a istruttoria an­cora aperta, Gramsci, detenuto a San Vittore in attesa di giudi­zio, ricevette da Ruggero Grieco una lettera che lasciava intende­re com’egli foss­e il capo del par­tito e avvalorava di fatto le accu­se. Il giudice istruttore la com­mentò così: «onorevole, lei ha degli amici che certamente desi­derano che lei rimanga un pez­zo in galera ». Quella lettera non fu un gesto di leggerezza o di stu­pidità, ma, per usare le parole di Gramsci, un «atto scellerato», dietro il quale si poteva suppor­re una subdola mano ispiratri­ce. Che fosse quella di Togliatti, Gramsci lo sospettò subito e lo fece notare alla cognata Tatiana sostenendo che la lettera non era «tutta farina del sacco di Grieco». Anni dopo, egli avreb­be ribadito all’economista Pie­ro Sraffa i suoi sospetti sulla re­sponsabilità di Togliatti sia nel­la vicenda della lettera che ave­va aggravato la sua situazione processuale sia nel boicottag­gio alle trattative per la sua libe­razione avviate dal governo so­vietico con l’intermediazione di padre Tacchi Venturi.
Poi giunsero la «svolta» del 1930 decisa da Togliatti, Longo e Secchia in ossequio alle diretti­ve della III Internazionale, l’espulsione di Bordiga, Tresso, Leonetti e Ravazzoli dal partito e la campagna contro il «social­fascismo ». Dal carcere Gramsci lanciò la proposta di una Costi­tuente antifascista per una mo­bilitazione congiunta di comu­nisti e socialisti. Le strade di To­gliatti e di Gramsci erano ormai divaricate. Del resto poco aveva fatto il partito per il detenuto se non mandargli qualche finan­ziamento che la cognata Tatia­na otteneva tramite un misterio­so personaggio, «linge», che Ca­nali ha identificato in Riccardo Lombardi, il futuro esponente del Partito d’Azione e, poi, nel­l’Italia repubblicana, del Psi.
Il dissenso di Gramsci nei con­fronti del partito trovò riscontro nel suo isolamento. I compagni incarcerati lo evitavano e lo guardavano con ostilità. Su que­sto punto c’è una testimonian­za di Sandro Pertini che ricordò un episodio avvenuto in una fredda giornata invernale quan­do, dopo una nevicata, i carcera­ti si misero a tirare palle di neve.
Racconta Pertini: «una palla s’infranse sul muro al quale Gramsci si appoggiava, e ne uscì fuori un sasso. Io gli ero ac­canto e lo udii dire: “Avevano messo un sasso nella palla di ne­ve per colpire me”». È un episo­di­o più che eloquente sull’isola­mento di Gramsci. Eppure, gli studiosi comuni­sti continuarono a ribadire, nel dopoguerra, l’esistenza di un rapporto organico fra Gramsci e il partito, fino al punto da soste­nere che egli inoltrò la doman­da di libertà condizionale se­guendo le direttive dei vertici del partito. Canali dimostra, car­te alla mano, che le cose andaro­no diversamente: non fu Gram­sci a «rispettare le norme indica­te dal partito », ma, fu, viceversa, «il partito a rincorrere l’iniziati­va di Gramsci, per non farsi tro­vare spiazzato» da una decisio­ne «presa in assoluta autono­mia ».
C’era una logica nella nega­zione della verità. Era necessa­rio occultare e rimuovere l’ete­rodossia di Gramsci per poter af­fermare, nell’Italia postfasci­sta, l’esistenza di una linea di continuità Gramsci-Togliatti che consolidasse la rappresen­tazione mitica e unitaria della storia del Pci. Il regista di questa operazione fu lo stesso Togliatti che fece un uso strumentale, certo funzionale ai suoi disegni politici, degli scritti gramsciani, i Quaderni del carcere e le Lette­re dal carcere , gestendone la pubblicazione destrutturata e mutilata.
Fu, in sostanza, come dimo­stra il libro di Canali, proprio Palmiro Togliatti, scaltro e intel­ligente, a operare il «tradimen­to » di Antonio Gramsci e del suo pensiero.