Grazia Longo, La Stampa 15/11/2013, 15 novembre 2013
VANESSA SI CONFESSA “HO INIZIATO PER GIOCO MA NON È UN BEL GIOCO”
Non solo dettagli sull’orrore del supermercato di sesso e droga ai Parioli e sulla perversione dei maturi clienti. Dalle 155 pagine dell’interrogatorio della baby squillo più grande - Vanessa, 15 anni all’epoca dei fatti, indagata per aver indotto alla prostituzione l’amica quattordicenne - emerge una fotografia drammatica e spietata del suo modo di concepire la vita. Della sua falsa sicurezza e delle sue debolezze. Un po’ strafottente, «Non sono una vittima», «La scuola non mi piace, frequento ogni tanto, ma oggi ci dovevo andare». Un po’ impaurita «non sono responsabile io di aver preso lei (l’amica, ndr) e averla costretta a mettersi a fare ’ste cose. Di sicuro non è colpa mia». Ma anche capace di non crollare: «Non voglio dire chi mi ha fatto usare la cocaina la prima volta. Non voglio dire chi era l’uomo che ci doveva portare a barca a Ponza».
«E’ iniziato come un gioco. No, non è un bel gioco. Sì, lo so non è normale» dirà a metà interrogatorio Vanessa. Ma è solo con la pazienza del procuratore aggiunto Maria Monteleone, con l’assistenza della psicologa Vera Cuzzocrea, che la ragazzina ammette quello che succedeva in via Parioli 190, in un hotel e a casa di un cliente in piazza Fiume. All’inizio è reticente. «Con la mia amica usciamo insieme, facciamo tutto». Andate in qualche posto particolare? «Corso Trieste, piazza Caprera, Piazza Euclide, viale Parioli. Nei bar». Ma alla domanda specifica su viale Parioli Vanessa risponde: «A casa di un amico, Mimmi». Nega di conoscere il suo vero nome - che poi invece dimostrerà di conoscere - e spiega che gli danno «10 euro quando ci dà la casa» che definisce «scialla, normale».
E alla domanda se in quella casa vengono uomini, risponde: «Un paio di volte». Non vuole dire cosa faceva con quegli uomini «le sappiamo queste cose e mo non le devo dire esplicitamente».
La studentessa è convinta che a tradirla sia stato Michael De Quattro (ai domiciliari per estorsione oltre che per essere stato un cliente delle baby prostitute) che le aveva chiesto 1.500 euro per non divulgare video compromettenti girati nella casa. E quando le viene chiesto perché lei era in quella casa dice «Per il lavoro di incontrare le persone, per soldi». Facevate sesso in cambio di soldi? «Sì... Dai 100 ai 400 euro al giorno. Dipende dai giorni, da come andava...».
«E’ partito da me... a giugno... che all’inizio era per gioco che avevo cercato su Internet... come guadagnare un po’ di soldi, così è uscito il nome di Nunzio». Si tratta di Pizzacalla, in carcere per induzione della prostituzione. «Non l’ho mai visto. Lui voleva i soldi, ma io non avevo capito che dovevo dargli la percentuale. Io non gli volevo dare niente, e l’ho accannato». Prova anche a negare ciò che ha fatto: «Non avevo capito che erano prestazioni sessuali», dice. Poi però fornisce particolari sulle «diverse prestazioni».
Vanessa respinge l’accusa di aver favorito la prostituzione dell’amica quattordicenne. E a questo punto, durante l’interrogatorio, essendo lei indagata è presente anche l’avvocato Tamburro. «E’ la mia migliore amica, ma certo non era una santa, io non l’ho costretta. Non è colpa mia». Vanessa ha un rapporto «burrascoso con la mamma». Dove lavora? «In banca» e agita la mano in segno di disprezzo. «Non mi vuole mandare alla scuola privata che voglio io. Dice che è per deficienti. Io qualche volta dormo a casa, se no dormo a casa della mia amica. Ma sua madre è diversa. Loro due parlano». Le domande sono quindi rivolte ad accertare se l’altra mamma (arrestata insieme agli altri sfruttatori) sapesse della prostituzione. Vanessa all’inizio dichiara «No, no, non lo sapeva... avevamo detto che spacciavamo». Ma poi aggiunge che «lo sospettava, come lo sospettava mia madre perché giravamo con troppi soldi».
Altre ragazzine sapevano? Davanti al procuratore aggiunto e al sostituto Cristiana Macchiusi, la ragazzina racconta di altre «due amiche. In quattro eravamo tutte amiche stavamo sempre insieme. Poi abbiamo litigato, ci siamo sciolte e alla fine io e Aurora siamo... cioè... abbiamo legato tanto. Forse una delle altre due sapeva quello che io avevo iniziato a fare...».
Inoltre ribadisce più volte che Mimmi, Mirko Ieni (uno dei tre uomini arrestati), non l’ha costretta a vendersi, né sapeva della sua minore età. «Quando mi trucco sembro più grande». E ancora: «Secondo me non è reato perché lui non mi ha costretto a prostituirmi, cioè è stata una cosa mia. Io non sono qui come vittima, cioè non è che sono la sua vittima». Ma quando le fanno notare che la sua amica ha affermato che Mimmi sapeva della loro età perché non gli avevano voluto mostrare i documenti, Vanessa ammette: «Ci ha chiesto età e documenti solo all’inizio, un po’ di volte, non me lo ricordo».
Vanessa è spesso reticente di fronte alle domande, sfodera una certa tracotanza. In un caso addirittura chiede qual è il nome di uno degli sfruttatori. «Ce lo devi dire tu» le replicano. Non basta. È convinta che la sua amica non abbia raccontato nulla di quello che facevano nell’appartamento. Tanto che chi la interroga glielo fa notare: «Ho l’impressione che ti credi troppo furba, troppo sicura, troppo intelligente...». Ma di fronte a fatti circostanziati conferma la versione dell’altra ragazza. Sia a proposito del rifiuto di alcuni clienti che hanno spiegato «no guarda, non siete proprio quello che ci aspettavamo». Sia per quanto concerne quelli che invece le cercavano proprio perché minorenni. Vanesse annuisce: «Non so i nomi di quelli che hanno detto “oh, ma tue sei minorenne” e poi abbiamo consumato comunque».
Su due punti Vanessa si mostra inflessibile: la cocaina e il nome dell’uomo che voleva portare lei ed Aurora in barca a Ponza. «No, non voglio rispondere alla domanda su chi per primo mi ha dato la cocaina» afferma quando racconta dello spaccio da parte di Mimmi e di Marco Galuzzo (l’ultimo ad essere finito nel carcere di Regina Coeli e che oggi sarà sottoposto all’interrogatorio di garanzia). Nutrito l’elenco dei locali di Roma dove si consuma cocaina, «noi lo facevamo ogni sabato». La studentessa indagata si avvale poi della facoltà di non rispondere anche quando le chiedono il nome dell’amico di Riccardo Sbarra (il commercialista arrestato la cui posizione è stata derubricata a quello di cliente. Sulla coca sostiene inoltre che a Ponza l’ha usata prevalentemente Aurora «perché io non la tenevo, ero stata fermata dai carabinieri perché ero scappata da casa».
Oltre ai Parioli Vanessa individua anche il quartiere periferico di San Basilio e piazza Fiume dove, «all’inizio io e Aurora andavamo a casa dei clienti che ci prendevano con la macchina o con il taxi. La prima volta Aurora, nuda, guardava me e un cliente».
Dettagli che fanno rabbrividire. E come un pugno nello stomaco sono le parole con cui Vanessa difende l’unica relazione sessuale non a pagamento. Con un ragazzo, «un pischello, non l’avevo riconosciuto dalla foto perché adesso è meno ciccione. Lui non c’entra niente, non sa neppure quello che facevo. Sì, mi ha dato da fumare hashish, ma l’abbiamo fumata insieme. Per me lui non era niente di che. Così l’ho accannato, cioè l’ho lasciato». E perché «Accollava troppo addosso». Che dire? Povera Vanessa e, in fondo, poveri noi.