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 2013  novembre 15 Venerdì calendario

BIBLIOTECHE CHE CI PARLANO DI LORO

Sarà vero che una biblioteca privata è l’autobiografia di chi negli anni, raccogliendo libro dopo libro, l’ha costruita? Un libro di recente uscita, celebrativo della biblioteca che fu di Indro Montanelli, oltre excursus vari sulla vita d’uno dei grandi giornalisti e polemisti del Novecento, pone questo tema. Cioè fin a qual punto la radiografia di una biblioteca possa mostrare il profilo del proprietario. La casistica è necessariamente costretta a circoscriversi. Muta inevitabilmente in una indagine elitaria. Certo, perché la quantità e la qualità dei libri adunati a biblioteca devono anche presupporre che il signore che ad essi rassomiglia – o viceversa – abbia lasciato di sé una personale traccia significativa che consenta d’avere di lui un profilo riconoscibile. Nel ristretto girone finiscono inevitabilmente con l’essere censiti, quali custodi di biblioteche rimarchevoli, uomini di lettere e giornalisti d’alto lignaggio. Il tiro mancino dei tempi nostri, portatori di immagini e libri elettronici, sembrerebbe non consentire più la costruzione di una biblioteca personale che abbia anche significato per i posteri. D’obbligo è perciò la rivisitazione di un passato. Anche non troppo remoto.
Tra i libri di Indro, Percorsi in cerca di una biblioteca d’autore, a cura di Federica Depaolis, con introduzione di Marcello Staglieno (Edizioni Bibliografia e Informazione, pp. 243, euro 20), è formalmente il catalogo dei libri raccolti da Montanelli – oggi nella Fondazione a lui dedicata a Fucecchio, sua città natale – ma anche occasione per tracciare il profilo intellettuale del giornalista in rapporto ai volumi da lui lasciati. E di porre inoltre l’accento sui giornalisti e sui colti d’oggi: se siano occasionali lettori, dediti alla conservazione dei libri, magari anche bibliofili. E di come, prendendo ad esempio il caso di Montanelli, in quale personale maniera si possano amare i libri. Se siano oggetto di culto per il loro contenuto oppure icona venerabile per le caratteristiche esterne. Se siano cimelio conservabile perché «prima edizione», o rechino peculiari caratteristiche tipo dediche storicizzanti, traccia di occasioni memorabili, ecc. ecc.. Con il prosieguo di tutta la casistica che trasforma il libro in un feticcio, al di là del suo essenziale fine, quello d’essere letto.
Bisogna averlo conosciuto un poco Indro Montanelli per aver compreso come per lui i libri esistessero soltanto come pagine di lettura e per nulla fosse infettato dal morbo che pervade i bibliofili. Tipi verso i quali aveva un certo qual ironico sospetto. In genere i bibliofili sono soltanto collezionisti di oggetti in forma di libro, che probabilmente non aprono mai.
L’inventario della biblioteca di Montanelli diventa allora un autentico exemplum di come si possa considerare una biblioteca d’autore. Scorrendo i titoli si percepisce la formazione intellettuale e letteraria del giornalista. Le predilezioni verso certi scrittori. Quando autori, anche noti, sono assenti già si sottintenderebbe un giudizio. Non esistono nella sua raccolta perché probabilmente non lo interessavano. Non valeva proprio la pena conservarli. Dai libri come traccia si può intendere la biblioteca come autobiografia. Di libri Montanelli ne riceveva montagne, in omaggio. Nella speranzosa illusione di certi autori ch’egli posasse il suo autorevole sguardo sulle loro pagine. Chi ha un minimo di confidenza con le redazioni dei giornali sa benissimo quali carrettate di libri si slavinino ogni giorno sui tavoli. Montanelli era un ostinato selettivo. Più volte aveva confessato d’aver perduto certi libri in vari spostamenti, e si rammaricava non averli più ritrovati. Che avrebbe voluto rileggere. Per magari rivivere memorie e pulsioni del tempo in cui si era appassionato a determinato libro.
Passabilmente in gioventù o nel tempo della sua formazione di lettore e di giornalista. Non credo però si dispiacesse più di tanto. Nella perdita senza rimpianto dei libri, si può leggere in trama l’antibibliofilo qual era. L’uomo che considerava il libro per quello che veramente è: un sublime oggetto d’uso. Se non è letto non esiste. àˆ un morto. Soltanto un partecipe lettore ha il potere taumaturgico di resuscitarlo, riportandolo alla vita.
Nonostante il personale atteggiamento di non mutarsi nel bibliotecario di se stesso, Montanelli apprezzava le biblioteche altrui. Quelle vere. Frutto di accumuli, anche insensati. Ve ne sono alcune che visitò con piacere. Certamente quella di Giovanni Spadolini, un vero debordante accumulatore. La sua biblioteca è ancora adunata nella villa di Pian de’ Giullari e Firenze, rimasta tal quale come la lasciò, morendo. Per lui qualunque libro doveva entrare in biblioteca. Al «grande» Giovanni interessava il numero, la quantità . La biblioteca e Spadolini si somigliavano. Lei e lui levitavano come un soufflé, senza afflosciarsi mai. Spadolini si vantava sovente dei suoi libri. Si racconta che un giorno, nell’emiciclo del Senato fu però visto affranto. Mentre con la consueta facondia esibiva ad alcuni venerandi colleghi il numero dei suoi volumi, sessantamila, un dispettoso Carlo Bo, dopo aver ascoltato, fintamente assorto, flautò d’averne centomila. Facezia di un parlamento che non esiste più.
Montanelli nel suo scetticismo formale per i libri aveva avuto maniera di apprezzare la biblioteca di Ugo Ojetti diligentemente classificata per «schede mobili». Pur con ammirata sfottitura, un po’ toscana, Montanelli doveva aver guardato con cupidigia alla biblioteca del genovese Giovanni Ansaldo, altro grande uomo da giornali del Novecento. Biblioteca la sua come vera fucina di storie, rivisitate in migliaia di affascinanti articoli. Per Ansaldo, oltre che orgoglio familiare, la biblioteca antica – gli era arrivata tramite gli avi – era un vero strumento di lavoro. I suoi articoli si avviavano spesso con una colta citazione, una spigolatura tratta da un libro inconsueto. Comunque eccentrico. Ansaldo faceva sgusciare dalle pagine dei libri della sua biblioteca personaggi fuori dei ranghi. Tipi incatalogabili. Come appunto sarebbero quegli strani giornalisti e colti dell’altro secolo che erano avidamente curiosi del mondo. Un mondo che pretendevano smontare per scoprirvi e spiegarne i meccanismi più occulti. Pur nelle individuali diversità , una cosa li accomunava. Erano formidabili lettori. Lo testimoniano le biblioteche che hanno lasciato. Alcune disperse. Altre ancora conservate, donate a enti, diventate pubbliche. Certe sprofondate in qualche periodica alluvione. Quella di Montale, ad esempio, finita nel pack fangoso dell’esondazione dell’Arno a Firenze. Stessa sorte della maggior parte dei libri di Henry Furst che aveva scelto La Spezia come ultimo rifugio. Quella di Furst era una biblioteca raffinatissima: possedeva l’opera omnia di Goethe nell’edizione waimariana del 1808, vi stavano le prime edizioni di Henry James e di Joseph Conrad… opere fortunatamente donate per tempo alla Biblioteca dell’Istituto Britannico a Firenze. Ma il grosso, sistemato in un piano interrato, andò a bagno durante una delle eterne fuoruscite del torrente Magra. Dalla biblioteca di Furst risulta superstite un solo libro. Riconoscibile perché di lui vi è l’ex-libris. Si tratta di una inconsueta edizione di Die Kultur der Renaissance in Italian, di Jacob Burckhardt. Si è salvata perché Furst l’aveva prestata a persona che non gliela restituì mai.
Non è dato sapere se Montanelli abbia avuto occasione di apprezzare la biblioteca di Giorgio Zampa, il germanista raffinato, il colto giornalista. Un vero ammalato di carta stampata. Si vagheggiò sempre della sua biblioteca privata adunata in un palazzetto a San Severino Marche, luogo natio di Zampa. Dei propri libri non parlava. Pare siano oltre 170 mila. Un universo dove non entrava nessuno. Soltanto lui vi si ammetteva. Fatti i conti, a spanne, in rapporto agli anni vissuti e alla quantità dei volumi, Zampa doveva aver fatto entrare in biblioteca non meno di cinque-sei libri al giorno. Dal giorno della nascita a quello della morte, comprese le domeniche, Natale, Pasqua e tutte le feste comandate. Una ineffabile autobiografia.