Maria Simonetti, l’Espresso 15/11/2013, 15 novembre 2013
ROTTAMIAMO
l’ITALIA CON UN PIF–
Alla Convention di Matteo Renzi a Firenze, una settimana fa, il suo intervento è stato il più applaudito. «Il vero rottamatore della Leopolda è Pif», ha strillato il "Giornale" il giorno dopo. È successo che Pierfrancesco Diliberto in arte Pif, lo stralunato videointervistatore e ideatore del programma "Il testimone"di Mtv, è salito sul palco e ha tuonato contro il Pd. Due volte. Prima per aver candidato come presidente della commissione antimafia Rosy Bindi («Persona onestissima ma incompetente sul tema per sua stessa ammissione», dice) e poi per la nomina a segretario Pd a Enna dell’ex senatore Vladimiro Crisafulli («Beccato dai carabinieri a parlare di appalti con un mafioso»). Solo uno sfogo momentaneo, l’attacco di Pif, o una plateale dichiarazione di scesa in campo a favore di Renzi? Adesso il 40enne palermitano sta aspettando con ansia l’uscita, il 28 novembre, del suo primo film,"La mafia uccide solo d’estate", prodotto da Wildside e Rai Cinema, educazione sentimentale di un bambino, lui stesso, che cresce e s’innamora nella Palermo degli anni Settanta e Ottanta, sconvolta dalla seconda sanguinosissima guerra di mafia. Un film scoppiettante, è il caso di dire, già selezionato per l’imminente Film Festival di Torino, tenero e perfino comico, ma con valori forti e precisi: e infatti è dedicato a tutti gli agenti di scorta trucidati in quegli anni e ai ragazzi dell’associazione antimafia Addio pizzo. Che sia venuto anche per il "fanciullino" scapestrato Pif il momento dell’impegno e del metterci la faccia? Glielo abbiamo chiesto.
L’ha invitata Matteo Renzi alla convention?
«No. Ho conosciuto Renzi due anni fa quando feci con lui una puntata de "Il testimone", l’avrò visto quattro volte. Poi un mese fa ho incontrato a Palermo il deputato Davide Faraone, che mi ha invitato a parlare alla Leopolda. L’idea di poter dire al Pd cosa penso del Pd mi attirava troppo, e sono andato».
Si era preparato l’intervento?
«Solo quello su Rosy Bindi. Poi, mentre stavo salendo sul palco, Renzi tira fuori che proprio quel giorno era stato eletto segretario a Enna Vladimiro Crisafulli. Lui mi ha dato l’imbeccata, e io ho proseguito».
Ma un giovane arrabbiato come lei, che ha fatto il punk a Londra, la "jena" in tv e girato tutto il mondo con la telecamera in spalla, cosa ha trovato nelle parole di Renzi «fatte al 40 per cento di niente, al 30 per cento di Baricco, un velo di sinistra e un cuore morbido di cioccolata», come ha sintetizzato Maurizio Crozza?
«Io vado a istinto. Quando sento Renzi parlare in tv penso "è vero, ha ragione, anch’io la penso così". Quello che mi ha colpito di più è la sua operazione rottamazione. Facile farla da outsider, come Grillo, dal di fuori: molto più difficile condurla dentro un partito, come fa Renzi. Certo, quando dice slogan come "Diamo del tu al futuro" fa ridere. Però al momento è il politico che esprime al meglio i bisogni e le esigenze della sinistra e miei personali. È per questo che ho deciso di smettere di stare alla finestra e andare a parlare alla Convention».
Che reazioni ha provocato il suo intervento?
«Il giorno dopo mi hanno cercato per invitarmi tutti i talk show possibili. Si sono mossi perfino dal "Porta a Porta" di Bruno Vespa. Io ho risposto sempre di no, ma non perché me la voglio tirare. Non è il mio mestiere, la politica.Anche se il mio parlamento ideale ce l’ho: Renzi presidente del Consiglio e il Movimento 5 Stelle all’opposizione, a fargli da sentinella».
Tra poco uscirà il suo film sulla mafia. Un tema di cui i politici parlano sempre meno, perché?
«In questo momento la mafia ha meno potere di una volta. Tutti i mafiosi di cui parlo nel film, da Riina a Provenzano, Brusca, Lo Piccolo sono in galera, o morti: è la dimostrazione che lo Stato, quando vuole, è più forte. Il problema è sfondare la cultura della rassegnazione, quella della generazione dei nostri genitori che dice "la mafia c’è e bisogna tenersela". Io ho girato quattro settimane a Palermo e non ho pagato il pizzo, grazie anche ai ragazzi di Addio pizzo. È una piccola vittoria: alcuni pentiti hanno raccontato che, quando vedono l’adesivo dell’associazione appiccicato sulla vetrina di un negozio, rinunciano a taglieggiarlo. Troppe rogne».
Il film parte con dieci minuti di telecamera a mano e la sua consueta domanda retorica "La vedete questa...?". Cos’è, un mantra?
«Mi piace la voce didascalica, ma non troppo, che coinvolge e porta per mano nella storia. E ho voluto stabilire una linea continua con "Il testimone": la puntata su "Gli orfani di mafia", con Sonia Alfano figlia di Beppe e altri figli di morti ammazzati, l’ho fatta pensando al film».
Che è praticamente la sua biografia...
«Mentre io giocavo ai cowboy i corleonesi di Totò Riina decidevano di conquistare Palermo aprendo la mattanza contro i clan rivali. La casa dei miei genitori era a Viale Lazio, dove il 10 dicembre 1969 avvenne una strage. Di fronte abitava il boss democristiano Vito Ciancimino. I fatti sono tutti drammaticamente veri, con dati precisi».
L’idea è raccontare quegli anni di guerra attraverso gli occhi di un bambino di due anni.
«Sì, Arturo che s’invaghisce della coetanea Flora, ma ogni volta che sta per dichiararsi avviene un ammazzamento o esplode una macchina piena di tritolo. E poiché gli adulti, di cui lui si fida ciecamente, quando qualcuno muore per mafia gli raccontano che gli hanno sparato perché era un "femminaro", si convince che le femmine sono pericolosissime».
Il giornalista Mario Francese, il capo della squadra Mobile Boris Giuliano, il comunista Pio La Torre, il giudice Rocco Chinnici e moltissimi altri. Come si riusciva a essere ragazzini, in mezzo a tanti omicidi?
«I palermitani giravano la testa, facevano finta di non vedere. I genitori per tranquillizzarci negavano che esistesse la mafia. Eravamo rinchiusi in una bolla protettiva, che ci ha evitato traumi forse, ma ci ha impedito di capire e di stare in prima fila quando morivano i Cassarà, i Falcone, i Borsellino. E tutti gli altri che sono stati lasciati soli».
Arturo cresce dunque, inconsapevole, in una città piena di insidie. L’unica al mondo però che sforna le mitiche "Iris"... cosa sono, ciambelle?
«Brioches con ricotta e pezzi di cioccolato, la mia passione. Io sono un drogato di Iris cotte al forno, non fritte. Ma le ho messe nel film anche per evitare i soliti cliché di cannoli, cassate e mafiosi con la coppola. Specie al Nord la gente pensa ai mafiosi come contadini rozzi e malvestiti: io faccio vedere la mafia della Palermo bene, quella degli Stefano Bontate che studiavano dai Gesuiti e parlavano inglese e francese».
La scena finale del film, anch’essa comica solo a metà, mostra lei adulto che porta il figlio neonato davanti a tutte le lapidi dei morti di mafia, e gli racconta la storia di ognuno per filo e per segno.
«Cosa che farò davvero appena avrò un figlio. E che farò quanto prima con l’adorata nipotina che si chiama, guarda caso, Flora. Bisogna farlo subito, perché poi si dimentica. O arriva qualcuno a sostenere che non è vero niente. Come è successo con l’Olocausto».