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 2013  novembre 15 Venerdì calendario

CAVALIERE BARBARA BERLUSCONI

Adriano Galliani rideva, come il cinico Franti del libro "Cuore", nella sua Audi di rappresentanza all’uscita di Arcore sabato scorso. Inquadrato in campo lunghissimo, Silvio Berlusconi salutava i cronisti appostati ai cancelli di Villa San Martino. Ma, in effetti, congedava l’amministratore delegato del Milan. Silvio e Adriano, che questo mese hanno festeggiato mestamente 34 anni di affari comuni, trionfi calcistici e amicizia sterilizzata dal lei. Silvio e Adriano, entrambi in attesa di decadenza. Il presidente, "il mio presidente" come lo chiama Galliani, decadrà per primo. Il presieduto farà i bagagli a fine campionato, in primavera. Il verdetto sulla successione rossonera risale al fine settimana del 2 e del 3 novembre. Per due giorni, Arcore è tornata ai bei tempi quando nella conversazione tenevano banco Marco Van Basten e Ruud Gullit, invece di Angelino Alfano e Fabrizio Cicchitto.
l merito del salto nel passato va alla più giovane tra i presenti, Barbara, 29 anni compiuti a luglio, terza figlia del fondatore della Fininvest e primogenita di Veronica Lario. Il suo attacco al manager con maggiore anzianità del calcio italiano (27 anni) è stato frontale.
Su Galliani sono piovute accuse di tipo sportivo, per i risultati penosi della squadra, di tipo finanziario, per i rapporti troppo stretti con procuratori come Mino Raiola, e di tipo personale, dopo la rissa nel consiglio di amministrazione di fine ottobre fra l’amministratore delegato e la consigliera ai progetti speciali Barbara che contestava la firma di un accordo di sponsorizzazione troppo lungo con Adidas (fino al 2023) e che si è sentita rinfacciare il disastro Pato, sedotto e abbandonato come un’olgettina qualunque.
Il cuore paterno si è lasciato travolgere dalla passionalità dell’erede che, fra i cinque, è la più simile per carattere a lui e che, molto meglio dell’introversa Marina, potrebbe un domani - un dopodomani - scendere in altri campi che non siano quelli in erba.
Certo, al capo di Forza Italia non bisogna chiedere sforzi di memoria o di coerenza. Nella sua critica della ragion gallianica, il presidente ha dimenticato che, se Alessandro Matri è stato pagato un po’ troppo per quanto rende, bastava tenersi il centravanti più forte del mondo a nome Zlatan Ibrahimovic oppure il regista italiano più dominante dopo Gianni Rivera a nome Andrea Pirlo o magari quello stesso Clarence Seedorf che Barbara vuole sulla panchina milanista la prossima stagione e che, nelle sue chiacchierate pre-elettorali al mercato della frutta, Silvio bollava con la frase: «Ma lo sa quanto mi costa quello? 12 miliardi all’anno netti!», con cifra espressa nella vecchia valuta per incidere meglio sul voto dei coetanei.
Succedeva a gennaio, non un secolo fa. Oltre all’obiettivo della remuntada elettorale, il Milan pagava l’onda lunga del tentato, e grosso modo riuscito, risanamento del club dopo qualche tentativo per nulla riuscito di vendere la società a cifre impresentabili in un mercato dove il Football Club Internazionale passa agli indonesiani a costo zero.
L’ombra della dissipazione nello stile di Massimo Moratti (1,2 miliardi di euro bruciati dal 1995) terrorizza Piersilvio e soprattutto Marina, che aveva perfino tentato il taglio dei 50 appartamenti che Milan Real Estate affitta come benefit a calciatori e allenatori. La divisione del patrimonio paterno ha smorzato le polemiche benché sia ancora una spartizione virtuale. A oggi il Milan è una società controllata quasi integralmente dalla Fininvest, quindi dal fondatore e da tutti i figli. Un altro elemento da non trascurare nella presa di possesso da parte di Barbara è l’aspetto finanziario.
L’operazione pulizia rossonera, fin da quando si è capito che la squadra andava all’unica erede davvero interessata a seguirla, ha puntato a rimettere in equilibrio un bilancio che, senza avere i profondi rossi dei cugini nerazzurri, ha scarsa familiarità con la parola profitto. Risanare non significa che non ci siano stati casi di dissipazione, di investimenti sbagliati e di quello che Barbara ha definito: «Non spendere poco, ma spendere male».
In particolare, Barbara ha messo nel mirino il rapporto preferenziale fra Galliani e l’entourage dell’agente Mino Raiola o dell’astro nascente Giuseppe Riso, trentenne ex cameriere del ristorante Giannino, il locale preferito dall’ad milanista, diventato procuratore sportivo.
Più che l’ex juventino Matri, disistimato da Silvio, tra gli acquisti criticati ci sono quelli del catalano Didac Vilà e del brasiliano Felipe Mattioni, rappresentati da Raiola. Mattioni, in particolare, è arrivato a Milanello dal Maga Esporte Indaial, oscurissimo club della terza serie statale di Santa Catarina gestito dall’agente di origine napoletana con residenza a Montecarlo e dal suo avvocato brasiliano Rafaela Pimenta.
Riso, invece, ha molta presa sui giovani del vivaio (Bryan Cristante, Andrea Petagna e Kingsley Boateng). Nel nuovo corso, proprio le squadre giovanili dovrebbero essere rilanciate, insieme alla rete degli osservatori, in modo da abbassare i costi del calciomercato.
Questo perché, vada come vada, i figli di Berlusconi in blocco non sono più disposti a tornare alle spese folli che fecero grande il Milan di Arrigo Sacchi e Fabio Capello in piena espansione imprenditoriale e politica del Cavaliere.
Ad analizzare le proprietà della giovane consigliera, sulle quali vigilano alcuni anziani del Biscione come Salvatore Sciascia, senatore, Giuseppe Spinelli, ragioniere, ed Ennio Doris, mister Mediolanum, la sua partecipazione nel Milan dipende da quel 21 per cento di Fininvest intestato alla Holding Quattordicesima. Nella holding, però, tutto va diviso in tre parti uguali con gli altri figli di Veronica: Eleonora, piuttosto defilata nella Fondazione Milan, e Luigi.
Barbara e i due fratelli minori possono disporre di 60 milioni di euro in titoli, di 59 milioni liquidi e di 200 milioni di altre riserve accumulate quando Fininvest, e la controllata Mediaset soprattutto, producevano guadagni ben più consistenti del margine netto di 2,8 milioni di euro che è toccato alla Holding Quattordicesima nel 2012. A parte la casa in via Mario Pagano comprata da papà, gli averi visibili di Barbara superano di poco i 100 milioni di euro, che è quanto il Real Madrid ha speso per il solo acquisto di Gareth Bale. E l’intera partecipazione di Barbara, Eleonora e Luigi in Fininvest vale 39 milioni di euro, soltanto due in più del centravanti napoletano "el Pipita" Higuaín.
Fra le illusioni giovanili è anche possibile coltivare la speranza di vincere e al contempo guadagnare con il club più titolato del mondo, come Galliani ha fatto scrivere sulla fiancata del pullman sociale. La scommessa di Barbara è, al momento, creare una completa rottura generazionale in stile Matteo Renzi. Il nome di punta per la direzione sportiva è Paolo Maldini, certamente bellissimo e certamente campionissimo, ma finora usato più che altro come muleta rossa per fare infuriare Galliani. Poi c’è il dirigente romanista Claudio Fenucci, contattato già l’anno scorso. Come nuovo ad, sembra avere più chanche lui, magari dopo un anno trionfale con la Roma, che il suo amico Michele Uva, eminenza grigia di Giovanni Malagò al Coni.
Per quanto riguarda il business, la strategia della rifondazione rossonera è imperniata su tre elementi: la nuova sede, il nuovo marchio, il nuovo stadio. Quanto alla sede, il trasloco dalla centrale via Turati alla periferia nord-ovest del Portello è in corso in questi giorni. Il nuovo Milan Palace, assistito da una fermata della nuova metro 5 e dalla vicinanza con San Siro, prevede negozi, ristoranti e le varie attività commerciali di cui Barbara B. ama occuparsi.
Il nuovo marchio è stato affidato a Fabio Novembre, designer salentino emergente che si è occupato anche degli arredi della nuova sede. Sul nuovo stadio la prospettiva è meno chiara. Barbara è un’ammiratrice del nuovo impianto della Juventus, oltre che socia in Belfin Uno dei fratelli Ginatta, giovani rampolli di una famiglia imprenditoriale vicinissima ad Andrea Agnelli. Anche in questo c’è disaccordo con la vecchia guardia, che si terrebbe San Siro. L’affitto versato al Comune è il più caro d’Italia (4,5 milioni di euro all’anno) ma, fino a prova contraria, la Juve non chiude in attivo nemmeno con la stadio di proprietà.
Se il futuro è incerto, il presente sportivo promette di lasciare un’eredità misera che avrà ripercussioni sulla stagione 2014-2015, la prima dell’era BB. Forse per questo sabato scorso ai cancelli di Arcore Galliani ripeteva la sua professione di fede berlusconiana e, cinicamente, rideva. Come i tangueros argentini (anche se lui preferisce comprare in Brasile), sa che "nadie va a quitarse lo bailado", nessuno ci toglierà quello che abbiamo ballato. Insomma nessuno gli toglierà la firma sotto titoli e coppe conquistate in un’epoca sportiva totalmente diversa, quando i club italiani compravano i migliori nel mondo senza limiti di spesa e senza la concorrenza sleale di emiri e oligarchi post-sovietici. Un’epoca finita per sempre. Fare meglio, per Barbara, sarà quasi impossibile. Fare pari, durissimo. E gli esigenti tifosi del Milan non perdonano niente.