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 2013  novembre 09 Sabato calendario

TUTTI CONTRO FERGUSON SCRITTORE INGRATO


Il trucco editoriale per lanciare le autobiografie dei grandi personaggi è scoperto: diffondere le anticipazioni più pepate per stimolare le reazioni degli interessati, creando un battage che pubblicizzi il libro. Di rado, però, un’opera del genere è stata accolta da un fuoco di sbarramento così fitto come quello dedicato a My Autobiography, il racconto che Alex Ferguson, allenatore del Manchester United dal 1986 alla fine della scorsa stagione, ha fatto della sua vita nel calcio (in Italia uscirà a primavera da Einaudi).
Non parlo soltanto delle repliche di chi è stato toccato, tipo Roy Keane – «Parla di lealtà, ed è una parola della quale non conosce il significato» – ma anche delle critiche di chi per mestiere giudica i libri e chi li scrive. Se si è arrivati a leggere sul Times che nella sua autobiografia Ferguson “si rivela moralmente un pigmeo”, vuol dire che stavolta sono stati toccati i fili dell’alta tensione.
Considerato che quello di manager di un club come il Manchester United è fatalmente un lavoro per gente tostissima, Sir Alex ha sempre comunicato sensazioni complessivamente buone. «In squadra voglio solo cattivi perdenti», la sua frase simbolo, «gente che non riesce ad accettare la sconfitta e che quindi, la volta successiva, farà di tutto per non riprovare quella frustrazione». Un duro disposto a quasi tutto per vincere, abituato a trattare con uno spogliatoio di divi, ma senza mai dimenticare la sua estrazione da working class.
John Carlin, il grande giornalista inglese autore di Playing the enemy, il libro su Mandela dal quale venne tratto il film Invictus, scrive oggi sul Pais. Nella sua rubrica si è scagliato contro Ferguson in un modo che definire violento è poco, accusandolo di aver gettato palate di fango sui campioni che gli hanno dato tante vittorie e di aver taciuto sui rapporti intrattenuti con i vari azionisti del club, non sempre animati da finalità sportive. L’apice della polemica di Carlin – il cui parere non può essere considerato uno dei tanti – arriva quando si parla di David Beckham, dell’infelice frase usata dal manager del Manchester per descrivere la loro rottura (“un giorno pensò di essere più importante di Alex Ferguson” scritto proprio così, in terza persona, alla Maradona) e della reale dimensione dello Spice Boy. “Ho una notizia per lei, Sir Alex”, scrive beffardo Carlin. “Se Beckham pensava di essere più importante di lei, non sbagliava. Più generoso, più elegante, più rispettoso, più leale, più famoso, più bello, più ricco e più giocatore di lei, dimenticabile centravanti del campionato scozzese”. Insomma, botte da orbi tra pesi massimi del pallone, introdotte da una massima di La Rochefoucauld, “l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù”. Tradotto: Sir Alex, non sarebbe stato meglio lasciare nell’ombra certe storie?