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 2013  novembre 14 Giovedì calendario

I TIC DEGLI ARTISTI LI HO SCRITTI SUI PIZZINI


[Massimo Minini]

Ma che cosa hai fatto a Maurizio Cattelan?, mi chiede un amico. Casco dalle nuvole. In effetti non so rispondere, io non ho nulla contro Maurizio. Lui ha capito qual è il ruolo del denaro nello stabilire i rapporti sociali. Il mio contributo a Maurizio è stata la mostra con gli spermini, 600 autoritratti in gomma. Poi le maschere sono andate “in pappa” essendo di gomma, e alla mia richiesta di aiuto Maurizio rispose con una laconica email: “Mai sentito parlare di Piero Manzoni? Ciao M.”. Quello fu l’ultimo messaggio di Cattelan Maurizio. Quando un artista fa una carriera così strepitosa, questo può accadere. Adesso se m’intravede da lontano cambia strada. Devo dire che anche Clemente lo abbiamo perso per troppa fama, però se ci incontriamo abbiamo rapporti normali. L’ultima volta abbiamo giocato a ping pong». Ancora: «Potrei forse affermare che Francesco Vezzoli è nato come artista perché a Brescia c’ero io con la mia galleria? Dovrei aggiungere per esattezza che, quando è venuto a chiedermi consiglio, dopo il liceo, ho tentato tutte le vie per dissuaderlo dal divenire artista. Ma non c’è stato niente da fare». E poi: «Ghada Amer, nata al Cairo, studia a Nizza, alla Villa Arson. Tenta la fortuna in Francia, ma è come al solito l’America che consacra o distrugge. Lei ha la consacrazione, scala tappe fulminanti, fino ad arrivare a Gagosian, quindi al top del possibile. Da Gagosian resterà delusa. Una grande macchina, come la Chiesa cattolica dopo il Concilio di Trento»...
Si prestano a una lettura bulimica, uno dopo l’altro come le ciliegie, i Pizzini: così il gallerista di lungo corso Massimo Minini ha chiamato la raccolta di miniritratti, più di un centinaio, di artisti conosciuti durante la sua carriera. Quarant’anni sono passati da quando il bresciano Minini, studente di giurisprudenza ma vocato all’arte, apre Banco, la sua prima galleria, nel 1973 a Milano, in Porta Venezia. Per l’occasione la Triennale, dal 19 novembre al 21 febbraio, dedica una mostra all’attività di mercante, collezionista e archivista di Minini. «In realtà è nato prima il catalogo Quarant’anni (A+mbookstore, 480 pagine, 50 euro, ndr), che racchiude quasi tutto il mio archivio: foto di opere e di allestimenti, scambi epistolari, una marea di materiale da cui prende vita la mostra in Triennale.
E i pizzini?
Il nome è proprio rubato a Totò Riina, perché sono piccoli scritti, inizialmente vergati su foglietti. Li ho preparati tutti in una notte, nel 2009, perché non avevo voglia di compilare le solite noiose didascalie con i dati tecnici che accompagnano le opere. Di getto, ho cominciato a scrivere dell’artista più che dell’opera, del mio rapporto con lui più che del prezzo del suo lavoro. Questi 30 pizzini sono finiti sotto le opere durante la fiera torinese Artissima e il successo è stato tale che un amico mi ha convinto a editarli, aggiungendone altri.
Però Riina con i suoi pizzini ha metaforicamente lanciato qualche proiettile...
Anch’io mi sono tolto qualche sassolino dalle scarpe, ma in fondo sono stato buono e democratico, avrei potuto dire di peggio.
Per esempio su Cattelan?
Sì, e non solo.
Qual è il tipo di artista che umanamente preferisce?
Mi piacciono i tipi come Anish Kapoor, Daniel Buren e soprattutto Giulio Paolini: siedono nell’olimpo ma non si sentono dei. Anzi, Paolini vuole addirittura non apparire. Come scrivo nel pizzino a lui dedicato, «la sua pratica del mancato protagonismo muscolare mi ha letteralmente preso». Ogni tanto si fa vivo lui, magari spedendomi delle cartoline.
Una città come Milano che cosa dovrebbe fare per operare in maniera sistemica sulla cultura?
Più che allestire mostre sugli impressionisti e le nuvole, gli espressionisti e la torta di ricotta, dovrebbe creare spazi per ricoverare gli archivi di artisti, architetti, sarti, fotografi. L’archivio di Gillo Dorfles, per esempio, andrà a Berlino, il mio o troverà una corretta collocazione a Brescia oppure andrà al Getty center di Los Angeles.
Com’è ora il mercato dell’arte?
È un supermercato, l’ultimo dei mercanti gentiluomini è stato Leo Castelli. La mutazione avviene con Larry Gagosian e Jay Joplin. Per non parlare di François-Henri Pinault, che ha musei, gallerie e una casa d’aste.
Quanto «nero» c’è in Italia nel mercato dell’arte?
Oggi è praticamente impossibile. Un tempo Italia e Belgio detenevano il primato, tutto finito. E il mercato da noi è il 50 per cento in meno.
L’artista più sopravvalutato?
Jeff Koons, direi.
È vero che ha chiesto lei la mostra in Triennale?
Sì, senza parlare. Sono o no potente?