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 2013  novembre 14 Giovedì calendario

PERCHÉ VOLA IL MERCATO DELL’ARTE


Il mercato dell’arte, e in particolar modo le aste di arte moderna è contemporanea, sembrano un Gran Premio di F1. Ogni giro c’è chi dice «al prossimo la macchina si rompe». Invece ogni giro che passa la macchina va sempre più forte.

Mercoledì sera a New York nella prima delle vendite della settimana calda delle aste autunnali a New York , Christie’s ha battuto opere d’arte per 691,5 milioni di dollari polverizzando il record, sempre di Christie’s, di 495 milioni di dollari venduti solo la primavera scorsa. Per contribuire a questo tanto incredibile quanto assurdo e surreale successo, in un mondo non certo sanissimo da un punto di vista economico, hanno fatto offerte collezionisti arrivati da ogni continente, dall’Asia all’America all’Europa, al Brasile e sicuramente dal mondo arabo.
Il botto lo ha fatto un trittico di Francis Bacon del 1969 comprato per 142,4 milioni di dollari da un anonimo collezionista e venduto da un altrettanto anonimo collezionista del quale si conosce solo la nazionalità, italiana. Il signore lo aveva a casa propria da quasi trent’anni, ma visto il risultato è difficile che si sia pentito di averlo fatto uscire. Anche il prezzo del Bacon è stato un record che ha frantumato quello, del maggio del 2012, di 119,9 milioni pagati per una versione del ben più famoso «Urlo» di Munch da Sotheby’s. Se Bacon è stato la star indiscussa della serata per il quale si sono azzuffati almeno sette potenziali compratori, non sono mancate altre incredibili e quasi scandalose sorprese, come il record per un artista vivente di 58 milioni di dollari pagati per il «Baloon Dog arancione» di Koons o i 26,4 milioni pagati per un’opera del 1988 di Christopher Wool intitolato «Apocalypse Now» e che consiste in una scritta nera su fondo bianco che dice «Sell the House Sell the Car Sell the Kids», «Vendi la casa vendi la macchina vendi i bambini».
Speriamo che non siano stati venduti bambini per una follia del genere, ma sicuramente almeno un pezzo di anima il compratore deve averla impegnata per avere il coraggio di pagare una cifra che possiamo definire, senza paura di sbagliare, «idiota» per un’opera sì importante, ma non certo unica o favolosa di un’artista a metà della sua carriera con molta strada davanti da fare. Detto tutto questo la vera domanda è: c’è un criterio in questa follia? Proviamo a rispondere senza cadere in oziosi moralismi. Sì, un criterio c’è, anche se fuori controllo. Il criterio è la riconoscibilità e la qualità delle opere. Gli artisti che nel corso della loro carriera riescono a creare opere «logo», inconfondibili, sono quelli che più probabilmente raggiungeranno prezzi molto alti.
I tre esempi che abbiamo fatto prima: Bacon, Koons e Wool rientrano in questo criterio. E anche Basquiat, che ha fatto pure prezzi da capogiro. Di questi artisti però sono solo le opere iconiche che possono raggiungere prezzi astronomici. Altre opere più mediocri hanno invece un destino ben diverso. Ad esempio due lavori, mediocri, di Koons nella stessa asta non hanno trovato nessun acquirente. Questo per dire che non necessariamente chi ha un Koons in casa o un Bacon o un Wool ha virtualmente decine di milioni in banca, dovesse decidere di venderli. Il che conferma che sono le opere a fare il mercato e non i nomi degli artisti.
Emblematico il caso del nostro Cattelan. Delle due opere in asta, «Il bambino sul triciclo» e «I due poliziotti a testa in giù», una non è stata venduta e l’altra è stata venduta per un prezzo decisamente inferiore alla stima minima. Perché? Cattelan che era una delle punte di diamante del mercato fino a pochi mesi fa non lo è più? Assolutamente no. Se in asta ci fossero state opere iconiche come una delle sculture autoritratto, cifra inconfondibile dell’artista italiano, credo avrebbe raggiunto un prezzo molto alto. Questo perché Cattelan, come la fotografa americana Cindy Sherman, un’altra artista le cui opere sono andate a prezzi stellari, è l’icona di se stesso. Il valore aggiunto del suo lavoro è la sua maschera, il suo volto. Quando questo viene a mancare anche l’interesse per le sue opere s’indebolisce. L’arte, quella più famosa e ora quella più cara, da che mondo è mondo, è quella che si riconosce al primo colpo d’occhio senza dover andare a leggere l’etichetta. Anche perché oggi è purtroppo diventato quasi più interessante andare a leggere il cartellino con il prezzo, possibilmente quello pagato e non quello immaginato.