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 2013  novembre 14 Giovedì calendario

GENTILE SI RACCONTA

Il figlio di Nando, ok. Perché se il tuo papà è stato uno dei più forti giocatori italiani ammirati sul parquet, è praticamente scontato crescere con l’etichetta di "figlio di" appiccicata addosso. Poi però Alessandro Gentile, 21 anni festeggiati qualche giorno fa, ci ha messo tanto del suo per diventare un giocatore vero, perché se non hai le spalle larghe e le idee chiare e soprattutto non hai mezzi tecnici e fisici per importi a certi livelli, non diventi quello che sei oggi. Vale a dire il capitano dell’Olimpia Milano (il più giovane di sempre nella storia del club, ndr) e uno dei prospetti più interessanti degli ultimi anni, già finito sui taccuini di parecchi scout Nba.
Alessandro, quando è iniziato tutto?
"A 11-12 anni con la mia famiglia siamo tornati a casa da Atene e lì è cominciato tutto. Ho provato, mi sono appassionato, non ho più smesso. Prima avevo provato con altri sport ma non era scattato nulla".
C’è un momento in cui hai smesso di essere il ’figlio di Nando’ per diventare ’solo’ Alessandro Gentile?
"Non mi sono mai sentito nient’altro che Alessandro Gentile. Capisco il paragone, viene naturale, lo considero un onore ma io sono io, con la mia carriera, le mie caratteristiche, il mio carattere. Mio padre lo ammiro ma è stato un giocatore diverso, di un’altra epoca. Io mi sono sempre sentito Ale Gentile".
Che oggi, a 21 anni, è capitano
dell’Armani Milano, la squadra più titolata d’Italia.
"Quando mi hanno detto che sarei stato il nuovo capitano ho provato orgoglio, mi sono sentito onorato. Sinceramente non me l’aspettavo e mi ha fatto piacere. Voglio onorare al meglio questo ruolo".
Che giocatore è Gentile?
"Sento tante definizioni, etichette, non voglio aggiungerne un’altra. Io gioco, gli altri mi giudicano".
Fuori dal campo invece?
"Sono un ragazzo semplice, un po’ introverso, non mi piace mostrarmi troppo, ma mi apro con le persone che conosco meglio, che mi vogliono bene, e allora non ho problemi a scherzare, uscire, divertirmi. Faccio quello che fanno tutti i ragazzi della mia età. Ho la faccia da duro? Forse, ma l’espressione non è quello che sono. Chi mi conosce veramente ne è cosciente".
A tuo fratello Stefano (giocatore di Cantù, ndr) cosa ruberesti?
"Non ho dubbi, gli occhi azzurri’’.
Dall’album dei ricordi qual è la prima partita importante che tiri fuori?
"Il debutto in Serie A, a Cantù, con la maglia di Treviso. Quello è un ricordo che porterò sempre con me, un’emozione. Ma di ricordi ne ho tanti, di partite importanti anche".
Il giocatore più forte affrontato sul parquet?
"In Eurolega Vasilis Spanoulis e Dimitris Diamantidis. Fortissimi. Tra i compagni escludo quelli di ora e dico Gary Neal a Treviso. Uno che poi è andato a giocare a San Antonio".
Cos’è l’ultimo tiro per un giocatore?
"E’ adrenalina, è una sensazione fortissima ma è anche un pizzico di paura perché se da quel tiro dipende la vittoria o meno sai che il tuo gesto deciderà gli umori di tante persone. Magari anche il loro futuro. Se non hai un po’ di paura sei incosciente. Importante è che non ti condizioni".
Meglio stella in Europa o giocatore qualunque nella Nba?
"Stella in Europa. Come Dejan Bodiroga, il mio primo idolo. Come Spanoulis e Diamantidis".
Quale personaggio inviteresti a cena?
"Per una sera? Ma sì diciamolo... Mario Balotelli".
Che Milano è quella di quest’anno?
"Molto diversa da quella dell’anno scorso, una formazione ancora in fase di crescita che sta cercando la sua identità, lavorando duramente ogni giorno. Il nostro impegno è diventare una squadra vera, quindi affidandosi a tanti giocatori che a turno possono essere protagonisti. Questo alla lunga deve diventare la nostra forza, la nostra identità".
Come combatte la pressione una squadra condannata a vincere?
"Abbiamo un vantaggio: siamo abituati a questa situazione e sappiamo cosa aspettarci. E’ il prezzo da pagare al privilegio di giocare a Milano per un grande club come l’Olimpia. La chiave è concentrarsi su noi stessi e non prestare attenzione a quello che succede attorno a noi o addirittura a quello che si dice".
Cosa ha detto il campionato finora?
"E’ presto per trarre conclusioni. I valori reali si vedranno solo tra qualche mese. Per ora vedo tante buone squadre, potenzialmente pericolose, ma non me la sento di identificarne una migliore di altre o una peggiore. Aspettiamo che tutti si sistemino".
Dal campionato all’Eurolega. La Final Four a Milano cosa le fa venire in mente?
"La Final Four è un grande sogno. Più avanti vedremo cosa succederà perché nessuno è imbattibile in questo sport. Ma ora siamo all’inizio e dobbiamo essere realisti accettando che in questo momento giocare le Final Four non può essere nulla più di un sogno".
Perché i giocatori italiani continuano a trovare poco spazio?
"Si dovrebbe puntare di più sugli italiani perché se hanno fiducia giocano e rendono anche. La Nazionale ha dimostrato che ci sono giocatori buoni anche in Italia e non solo tra quelli che sono nella Nba. Invece vedo squadre con 8 stranieri e non capisco".
All’ultimo europeo la nazionale è tornata ad emozionare. Cosa significa vestire l’azzurro?
"La Nazionale è un onore, è una responsabilità, è orgoglio, io ho giocato incluse le giovanili cinque europei. L’ultimo mi ha dato la possibilità di misurarmi subito contro i migliori, ai massimi livelli, per capire dove sono. Posso dire che è stata una grande esperienza e che mi ha arricchito molto in campo e fuori".