Marco Lillo, Il Fatto Quotidiano 14/11/2013, 14 novembre 2013
TUTELA IL PAPA, MA NON VIDE IL RICICLAGGIO DI SCARANO
Chi sono gli uomini che vegliano sulla sicurezza di papa Francesco? E sono all’altezza del compito in un momento così delicato?
All’interno del Vaticano la protezione del pontefice è compito della Gendarmeria Vaticana, diretta dall’ex finanziere di Arezzo, poi passato ai servizi segreti civili italiani e dal 1999 alle dipendenze del papa, il generale Domenico Giani, detto anche “Napoleone”, per la sua alta considerazione di sé. A difendere il papa dalle minacce, anche quelle della ’ndrangheta paventate dal pm Nicola Gratteri, è questo strano comandante che ama farsi fotografare in divisa con tante medaglie e nastri da sembrare un albero di Natale: grande ufficiale al merito della Repubblica italiana, commendatore dell’Ordine di San Gregorio Magno, cavaliere di gran croce dell’Ordine di San Silvestro Papa, commendatore di merito con placca del sacro militare Ordine costantiniano di San Giorgio.
A PARTE le placche il suo è un ruolo di potere effettivo, da un lato per le informazioni delicate che la Gendarmeria raccoglie grazie anche alle intercettazioni e ai pedinamenti, dall’altro perché è in grado di presentare raccomandazioni, come quella al segretario del papa don George Ganswein in favore del suo amico prefetto Salvatore Festa pubblicata sul libro Sua Santità. Il Corpo della Gendarmeria opera anche al-l’estero in collaborazione con le polizie locali, con esiti talvolta grotteschi. Come è accaduto in Brasile a luglio quando il papa era imbottigliato nel traffico a Rio e Giani si sbracciava come un vigile urbano per tenere a bada la folla. In Italia la Gendarmeria si avvale della collaborazione dell’Ispettorato di pubblica sicurezza vaticano e della Polizia di Stato italiana, per curare l’incolumità del pontefice.
Se l’acume e il fiuto sono quelli testati nel caso di monsignor Nunzio Scarano, non c’è da stare tranquilli. In molti danno per imminente il passaggio di Giani a un alto incarico internazionale dopo la nomina di Bergoglio che ha poco a che fare con gli ambienti che lo apprezzano, da Gianni Letta in giù. Nella telefonata intercettata dopo l’incontro con Giani, Scarano dice a un suo amico che il comandante si vantò di essere amico del prefetto La Motta, poi arrestato per lo scandalo del Fondo Edifici di Culto. Con il suo fiuto, Giani tuttora siede nel Comitato di sicurezza finanziaria, creato ad agosto da papa Bergoglio, per “coordinare le Autorità competenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano in materia di prevenzione e di contrasto del riciclaggio, del finanziamento del terrorismo e della proliferazione di armi di distruzione di massa”.
Eppure Giani non ha fiutato alcun pericolo nel trattare con monsignor Scarano e, stando a quanto emerge dagli atti del-l’inchiesta dei pm Stefano Fava, Stefano Pesci e Nello Rossi, non ha giocato contro il monsignore ma in suo favore. La Gendarmeria vaticana non ha segnalato a nessuna autorità interna il rischio rappresentato da un prelato che parlava tranquillamente con Giani dei traffici orditi dallo 007 Giovanni Zito e dal broker Giovanni Carenzio per far rientare 20 milioni di dubbia provenienza dalla Svizzera. Quando il piano fallisce, Zito pretende e ottiene dal monsignore un assegno di 400 mila euro a copertura delle spese affrontate. Il comandante della Gendarmeria prende per buona la versione di Scarano e usa il suo potere per aiutarlo a riavere i 400 mila euro sfruttando l’azione della Polizia italiana. Il 21 novembre del 2012 Giani scrive su carta intestata della Gendarmeria una lettera con sopra impresso il timbro “Riservata” a Enrico Avola, Dirigente Generale del-l’Ispettorato vaticano: “Vengo ad informarLa, per opportuna conoscenza e per gli eventuali provvedimenti da adottare, di uno spiacevole fatto di cui si è reso protagonista il Dr. Giovanni Zito, presunto funzionario dell’Aisi (l’Agenzia d’informazione per la sicurezza interna) della Repubblica italiana”.
SIN DALL’INCIPIT Giani, nella lite tra Scarano e Zito, si schiera con il primo e non comprende il vero punto della questione: l’operazione di rimpatrio dei capitali che i due ex amici hanno condiviso a monte della lite. Nella lettera alla Polizia riporta così il racconto ricevuto da Scarano: “Carenzio aveva prospettato la problematica di far rientrare una grossa somma di denaro dalla Svizzera. Zito si offre di aiutarlo sottolineando la sua disponibilità di un aereo dei servizi, facendogli intendere che per un’operazione del genere occorrevano 4 o 5 milioni di euro (...) ma il prelato non conosce l’esito dei quattro incontri che i due nel frattempo avevano avuto, come pure le telefonate intercorse tra loro”. Scarano è quindi incolpevole, anzi è una vittima. Secondo Giani, Zito “con minacce fisiche e le pupille dilatate, chiede ed ottiene dal prelato, oltre ai 400 mila euro, anche un assegno in bianco per altre fantomatiche spese affrontate in precedenza”. Basta ascoltare le telefonate intercettate per capire che Giani non mira a sgominare il traffico dalla Svizzera all’Italia, né immagina che passi per lo Ior e per Scarano. Il 16 ottobre parla con Scarano e al telefono si schiera subito con lui. Pochi giorni prima di scrivere alla Polizia italiana lo incontra. Così Scarano il 12 novembre racconta a un amico: “[Giani] è stato veramente gentile e ha detto: che cosa lei vuole che io faccia, perché per me innanzitutto è un onore riceverla (...) questo è molto grave, (Zito ndr) va licenziato!”.