F.I., Il Messaggero 14/11/2013, 14 novembre 2013
UNA FALSA GIOCONDA PER INGANNARE I PREDATORI NAZISTI
LA STORIA
Una falsa «Gioconda» per ingannare i nazisti: lo racconta Noah Charney, storico dell’arte americano (del 1947) ed ex presidente di Arca, l’Associazione per la ricerca contro i crimini nell’arte. Una vicenda che si basa su indizi seri e anche di moda, dopo la scoperta, a Monaco di Baviera, di 1.406 quadri in parte già confiscati dai nazisti. Eccola. Nel 1939, Monna Lisa è impachettata in un contenitore del tutto speciale, fabbricato un anno prima, e nascosta nel Castello di Chambord, nella Loira. Nel 1940, è trasferita, con un ambulanza per destare meno sospetti, a Chauvigny. Poi altri due spostamenti: al Museo Ingres, di Montauban, e, infine, nel 1942 a quello di Montal nei Pirenei, uno dei capolavori del Rinascimento. Ma sembra che una Monna Lisa fosse anche tra le opere predate dai nazisti: tra quelle salvate dalla miniera di sale di Altaussee nel 1945, alla caduta del Reich. Del resto parrebbe improbabile che Hitler non considerasse il Leonardo più celebre tra le prede maggiormente bramate.
LA RAZZIA
I nazisti predisposero perfino una speciale unità, per raggiungere gli scopi che la Grande Razzia si prefiggeva: l’Einsaztab Reichsleiter Rosenberg, che operò anche nel nostro Paese. E Hitler, a Linz, voleva costituire il “suo” museo: aveva già ammassato oltre seimila opere d’arte. E la Gioconda? Charney ha rinvenuto due documenti. In uno, si parla dell’attività di «doppi agenti» per mettere al sicuro la miniera, e si spiega che «sono stati salvati oggetti dal valore inestimabile, come la Monna Lisa del Louvre»: era in uno «degli 80 vagoni di arte provenienti da tutt’Europa», e destinati ad Altaussee. Mancano però i documenti ufficiali, anche se il Louvre dapprima non ha commentato, poi «avrebbe ammesso che il dipinto era stato trovato nella miniera». Ma un altro documento, stavolta del museo francese, spiega che l’opera è tornata a Parigi il 16 giugno 1945: lo stesso giorno dell’irruzione degli alleati nella miniera di sale. Poi, dal 1942 non si sa più che fine abbia fatto il quadro: anche il Louvre ammette che non era tra le opere nascoste nel Castello di Pau, ai piedi dei Pirenei. Sempre il museo, continua Charney, ha detto in seguito che l’esemplare della «Gioconda» tornato da Altaussee era «una copia eccellente». Di copie della Monna Lisa ce ne sono a bizzeffe, la più bella è forse al Prado; ma questa coinvolta nel conflitto e nelle razzie naziste, quale è?
Il Louvre afferma che questa recuperata, e indicata con il numero MNR 265, non essendo stata reclamata da nessuno, è stata trattenuta dal museo. Dal 1950 «fino a poco tempo fa», era appesa fuori dall’ufficio del suo direttore. Da qui le conclusioni dello studioso. La «Gioconda» era certamente un obiettivo dei nazisti, che la volevano portare via. Per questo, il museo sistemò in uno speciale contenitore di legno, con il nome di «Monna Lisa» sull’etichetta, una copia. In segreto, e celando l’originale. Il dipinto fu prelevato dai tedeschi a Parigi, e spedito in Germania. «È l’unica maniera», spiega Charney, di mettere d’accordo tutti i tasselli della storia: la restituzione e il numero che portava; la mancanza di documenti ufficiali, perché di tutta la vicenda alcuni funzionari alleati avevano capito trattarsi di una copia. Che ora si trova negli uffici amministrativi del Louvre.