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 2013  novembre 14 Giovedì calendario

LA TV INTELLIGENTE CHE FACEVA RIDERE


In fondo erano tutti uomini di cultura, tutti figli di La­can. Figli della categoria del simbolico, e padri del Dottor Ver­milione «psicanalista santone», Antonio Ricci e la sua ciurma di corsari conoscevano benissimo le teorie situazioniste di Guy De­bord e le regole bon ton dei mass media. Per questo le infransero così bene. E così nacque, dentro la società dello spettacolo , lo spet­tacolo più bello del weekend, tut­ti le domeniche sere, su Italia 1, dal 1983 al 1988, per sei stagioni e un’intera epoca: Drive In , tra­smissione che Ricci battè i piedi per fare come voleva lui, tutta di­versa da quella che pensava Ber­lusconi, nata con le seconde scel­te della tv di allora diventate star di quella di oggi, un varietà co­struito come specchio iper- reali­sta degli anni Ottanta, diventato di culto già nei Novanta, e trasfor­mata strumentalmente nel Due­mila nell’origine di tutti i mali della televisione, la brutta faccia catodica del berlusconismo e la cattiva maestra dell’Italia igno­rante e volgare di oggi. Cronaca stop, novella express... più che no­tizie, spetteguless .
«Io e gli altri che scrivevamo la trasmissione avevamo studiato il situazionismo e i filosofi di sini­stra, eravamo antiamericani, fi­lopalestinesi, pacifisti ed ecolo­gisti ante litteram ... E ora dobbia­mo difenderci dall’accusa di aver aperto la strada al berlusco­nismo e aver rovinato l’Italia... Negli ultimi anni in molti hanno attaccato la trasmissione. Chi in buonafede, confondendola con Colpo grosso e senza averla mai vista, chi in malafede, i massme­diologi del “copia-incolla” co­me Massimiliano Panarari, che hanno manipolato i fatti in chia­ve politica», ha detto Antonio Ricci, presentando ieri mattina, dalla cattedra dello studio di Stri­scia , le celebrazioni dei trent’an­ni di Drive In . «Contro di noi c’è stato un tentativo di usare il me­todo Boffo, che in realtà è diven­tato un metodo buffo al limite del ridicolo». Il buffo destino di un varietà comico-satirico tra­sformato, molti anni dopo - per strani scherzi della memoria o volute distorsioni ideologiche ­nella sentina di tutti i vizi di (For­za) Italia e nella culla del Bunga Bunga. Per colpa di due tette maggiorate in prima serata...
Che poi, le tette e i culi e i nudi, come racconta il documentario di Luca Martera che affianca il «best of» della trasmissione, ben prima del 1983 strabordavano dai nostri schermi (senza vergo­gna e senza scandali) soprattut­to sulla socialista Rai2 e sulla mondadoriana, e pre-berlusco­niana, Retequattro. Al confron­to del voyeurismo peloso di Ci­pria e de Il cappello sulle ventitré , il culo fast-food di Tinì Cansino aveva la leggerezza delle battute di Gianfranco D’Angelo. E oggi tutti ad abbaiare contro la ma­dre di tutte le olgettine. Has Fi­danken .
E sì che Gianfranco D’Angelo era un gigante della commedia dell’arte, il Tenerone era una bomba della satira politica, Ezio Greggio un maestro della paro­dia, Faletti un genio della satira sociale e Enzo Braschi un feno­menologo del costume. Wild boys . Senza contare che non ci fu,e forse non c’è mai stato dopo
Drive In , uno show che abbia da­to così tanto spazio e «diritto» di parola alle co-protagoniste fem­minili. Alla faccia del machismo berlusconiano e della sottomis­sione del «corpo delle donne», è impressionante rivedere, nel­l’antologia in sei video curata da Fabio Freddi, quante comiche si­ano passate da lì. E persino le ra­gazze Fast food e le Bomber ave­vano i loro tormentoni. È oggi, semmai, che le veline sono mu­te. Senza contare, come scrisse Norma Rangeri sul manifesto , che non c’era nulla di più dirom­pente che affidare battute a ra­gazze seminude, «per ridicoliz­zare le consolidate abitudini di una politica in giacca e cravatta, qui spogliata di ogni sacralità e affidata ai profani corpi delle maggiorate».
E così, in reggiseno, giacche di scena e paillettes , puntata dopo puntata, di stagione in stagione, Ricci e i suoi intellos hanno co­struito una trasmissione che fu l’essenza degli anni Ottanta,e di cui si sentì l’assenza in quelli suc­cessivi. E tutto questo con toni leggeri e tratti profetici.
Trent’anni fa, 1983-1988: in un unico irripetibile format l’al­legra brigata di Drive In previde tutte le disgrazie dell’Italia di og­gi. O forse è l’Italia di oggi che non è così diversa da quella di al­lora. C’è lo sketch sulle tessere di partito, la battuta premonitrice sui leader politici in cerca di cari­sma, quella sui sindacati «che so­no come il violino: li tiene la sini­stra, ma li suona la destra», c’è il monologo«qualunquista»sul fi­nanziamento ai partiti (1983!), la gag Greggio-D’Angelo sulle tangenti e il ponte di Messina che ancora non parte (febbraio 1986!!), la scenetta con Beruschi che per lanciare il concorso Miss Italia (Uno) chiede a Greggio di trovargli «una copertura intellet­tuale », per «elevare il livello cul­turale della trasmissione » (!!!)- e Ghini era ancora sconosciuto - , c’è l’imitazione di Ciriaco De Mi­ta ambientato nella antica Gre­cia che è tutto un Magna Ma­gna ...
C’è Mario Zucca,«il Bastar­do di Quarto Oggiaro», che de­nuncia la violenza della perife­ria milanese, ci sono i lazzi di Ser­gio Vastano sui «bocconiani» che parlano e non combinano niente,e c’è persino la moglie di Gianfranco Fini, che si lamenta che lui le ruba sempre il mattarel­lo... Forse hanno ragione i critici in malafede. Drive In era davve­ro pieno di brutta gente.