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 2013  novembre 14 Giovedì calendario

BREVI INCONTRI DAL SECOLO BREVE


«Un’idea di intervista come profilo, come ritratto, come tentativo di offrire ai lettori — complici lo sfondo, le reazioni del volto, i tic, le mani, la prossemica — un personaggio più tridimensionale, più completo». Così Irene Bignardi presenta la raccolta delle quaranta interviste che compongono Brevi incontri (Marsilio). Una piccola scelta tra le molte che l’autrice ha compiuto, per conto di questo giornale, negli ultimi decenni. Le prime risalgono al 1980, le ultime al 2006; ma il grosso appartiene comunque al secolo scorso.
È l’autrice stessa a concepire il libro come qualcosa di volto al passato, esempi di “intervista vecchio stile”. Brevi incontri come questi, sembra dire, se ne faranno sempre meno. E forse, purtroppo, è vero. Sarebbe anzi possibile, andando contro il neutro ordine alfabetico in cui sono proposte, riordinare le interviste in senso cronologico, e viaggiare dunque da persone nate ai primi del secolo, émigrés russi come Nina Berberova, alla generazione di scrittori cresciuti dopo il ‘68, negli anni ‘80 della Thatcher, di Reagan e dell’Aids, agli scrittori post-coloniali meticci, e al nuovo impegno nell’età della globalizzazione (Arundhati Roy).
I personaggi intervistati sono per lo più scrittori: narratori, poeti, qualche saggista. Pochi gli uomini di cinema (le interviste di cinema, dice Bignardi, sono più trafelate, seriali), spesso monumenti che ricordano con amarezza o con rancore il passato e il presente, come uno scatenato, irriducibile Billy Wilder. Ognuno può, ovviamente, ricavare la sua personale classifica. Chi scrive metterebbe in testa il Borges che annusa il profumo della città di Palermo nel marzo del 1984, il Jules Feiffer patriarca ironico e meditativo nell’esclusiva isola di Martha’s Vineyard; un delirante Klaus Kinski all’epoca di Nosferatu; una fragile Liza Minnelli a Roma per ritirare un premio al posto del padre Vincent; due vecchi gentiluomini inglesi come Graham Greene o Stephen Spender.
Davanti al lettore passa in fondo la storia del secolo, con alcuni fuochi importanti: l’Inghilterra di “Oxbridge” (Isaiah Berlin e Stephen Spender), la divisione del mondo in blocchi e il rapporto col comunismo (Brodskij, Berberova), i mille modi in cui l’eredità ebraica attraversa la cultura del secolo scorso (Henry Roth, o Philip, per fare due nomi a caso). Molti intervistati sono alla fine della vita, e molto hanno da raccontare. Ma altri invece ci vengono restituiti all’alba del loro successo: Ian McEwan, un Rushdie pre-fatwa, o ancora un antipatico Hanif Kureishi e uno dei pochi proletari fieri di esserlo, Osvaldo Soriano.
Questi incontri, nei quali, a libro chiuso, rimangono in mente i profili dei personaggi e perfino l’atmosfera dei luoghi che li hanno ospitati, tengono in controluce l’autrice, che cambia stile di intervista a seconda del soggetto. Alle donne di altre generazioni guarda come a dei maestri (sono Mary McCarthy, Pauline Kael, Susan Sontag), ma con ironico garbo, anche se magari si lascia un po’ contagiare dalla passione autodifensiva di Leni Riefenstahl, tesa a dimostrare, con una certa malafede, la propria estraneità al nazismo. E ovviamente tra le interviste più divertenti ci sono quelle in cui il rapporto è un po’ conflittuale, come in quella che conclude il volume, al temutissimo agente letterario Andrew Wylie detto “lo sciacallo”, quello che vende i libri di Philip Roth, Calvino o Borges. (Bignardi si presenta puntuale all’intervista alle sette, per scoprire che l’appuntamento era fissato per le sette sì, ma di mattina).
Per la generazione di chi scrive, di giovani cinefili o critici 15-20 anni fa, nulla era più lontano della critica di Irene Bignardi, per noi troppo mainstream.
Ma quasi tutti, pur non essendo quasi mai d’accordo sulle sue critiche, non potevano non apprezzare le sue interviste così acute ed eleganti. Oggi, a leggerli tutti insieme, questi “brevi incontri” appaiono anche una lezione di giornalismo. Irripetibile nell’era di internet, come teme l’autrice? Forse, ma intanto leggerle è un piacere.