Dario Pappalardo, la Repubblica 14/11/2013, 14 novembre 2013
QUESTO CANE VALE 58,4 MILIONI DI DOLLARI?
Il cagnetto, di acciaio inossidabile, misura quattro metri di altezza. È arancione e vanta solo quattro fratellini sparsi per il mondo, identici a lui, ma di colore diverso, tutti assemblati dalle mani di una solerte équipe. Da martedì sera, ora di New York, Balloon Dog (Orange) è diventata l’opera d’arte più cara firmata da un vivente, l’americano Jeff Koons. O un altro hedge fund, per dirla con Jean Clair, che proprio su Repubblica ha definito questa scultura lucida come quei beni inesistenti a cui si attribuisce un valore di mercato. E che valore: da Christie’s il “palloncino” canino gigante è stato venduto per 58,4 milioni di dollari. Troppo gonfiato? Non è l’unico record di un’asta senza precedenti: 691,5 milioni di dollari l’incasso totale. Solo 142,4 milioni sono stati spesi per acquistare Three Studies of Lucian Freud, capolavoro — qui la definizione non è dibattuta — di Francis Bacon, che realizzò il ritratto del pittore amico e rivale nel 1969. Anche in questo caso un guinness: il dipinto del maestro irlandese è il più costoso mai battuto in un’asta. Supera il primato raggiunto lo scorso anno da una delle versioni dell’Urlo di Munch: 120 milioni di dollari registrati da Sotheby’s. Peccato che con ogni probabilità non sarà un museo a esporlo, ma un casinò di Las Vegas. Il gallerista William Acquavella ha comprato il trittico per conto di Steve Wynn, il re del Mirage e del Bellagio, che ama inchiodare i suoi trofei — Manet, van Gogh, Cézanne, Matisse, Picasso — nei templi della mecca del gioco d’azzardo. Larry Gagosian, che voleva accaparrarsi i Tre studi per un suo cliente, è rimasto a
bocca asciutta.
L’escalation dei prezzi è soltanto all’inizio. Da oggi la caccia ad altri Bacon e Koons è aperta. Il piccolo club dei supercollezionsti ha i suoi feticci. Ma perché in questo momento sono proprio loro due? «In modo diverso ma complementare sia Koons che Bacon rappresentano artisti la cui fama va ben al di là del solo mercato o del solo sistema dell’arte. Parlano sia agli addetti ai lavori sia al pubblico più allargato: sono parte della cultura popolare», risponde Massimiliano Gioni, curatore della Biennale di Venezia che chiude domenica 24. «Non dimentichiamoci che in quest’asta c’è anche Warhol a 57 milioni, e — caso più raro e forse sorprendente — un Christopher Wool a 27 milioni: questa è la vera sorpresa perché Wool, anche con una mostra incorso al Guggenheim, resta di sicuro un artista da addetti ai lavori».
Eppure a dominare le quotazioni è sempre un manipolo di pochi nomi a beneficio e consumo di una fetta di mercato minima, ma super potente. «Dobbiamo stare attenti a non diffondere il mito di un mercato dell’arte tutto in mano alla finanza e alla speculazione, un complotto plutarchico, al quale ad esempio sembra credere anche Jean Clair che di recente, su Repubblica, ha pubblicato un’analisi spietata ma anche assai superficiale del mondo dell’arte di oggi», continua Gioni. «È chiaro che ormai l’arte contemporanea sia un bene rifugio e che sia un campo che attrae investitori da tutto il mondo, ma nel caso specifico di Bacon e Koons e Warhol siamo di fronte ad artisti e opere che hanno trasformato in modo radicale la storia dell’arte. Se mi si chiede se è giusto che valgano così tanto, certo non sta a me giudicare i prezzi, però posso dire che entrambe quelle opere rappresentano fratture stilistiche importanti, drammatici cambi di paradigma nella storia dell’arte». Il curatore della Biennale ha un giudizio netto su Koons, molto lontano da quello di Jean Clair: «Il caso di Koons è ancora più curioso e complesso — dice — perché per certi versi, come per Warhol, la sua opera apre una riflessione proprio sul capitalismo e sullo spettacolo della merce e sui feticci. Quindi si potrebbe anche dire che il passaggio in asta di un’opera del genere a quei prezzi solleva esso stesso una riflessione sul sistema dell’arte e sull’economia, temi da sempre presenti nell’opera di Koons. Il cane di Koons è allo stesso tempo uno specchio sul quale si riflette la vastità della finanza globale di oggi, ma è anche un cavallo di Troia che dovrebbe infiltrare nuovi dubbi e domande proprio sul valore delle merci. Purtroppo però il luccichio dei prezzi ci fa perdere di vista la portata critica di certe opere che troppo spesso vengono ridotte a costosissimi soprammobili o giocatoli di lusso».
L’asta di Christie’s segna anche l’annullamento di distanze tra artisti di diverse generazioni. Riflette Achille Bonito Oliva: «Prima esisteva una differenza tra beni rifugio, che potevano essere le opere delle avanguardie storiche, le cui quotazioni non erano in discussione, e beni di investimento, rappresentati da maestri in ascesa. Oggi Bacon, Freud e Koons sono tutti beni rifugio. Il muro di sfiducia è caduto. Il sistema dell’arte restituisce nuove garanzie. Avanguardie storiche e contemporanei abitano un unico condominio».
Un condominio che sembra anche una fattoria di animali: dopo lo squalo di Hirst, il cane di Koons. Dove il secondo ha sostituito il primo sul trono (il pesce cane incassò 12 milioni di dollari nel 2004). «Ma, attenzione: questo non è il vero mercato dell’arte », puntualizza Massimo Di Carlo, presidente dell’Associazione nazionale delle gallerie d’arte moderna e contemporanea. «I veri collezionisti si allontanano sempre più da questo mondo e non frequentano ormai nemmeno le fiere dei vip. A New York, da Christie’s, si è consumata una sorta di notte degli Oscar del mondo dell’arte, ma il glamour rimane fuori dal mercato vero. Questo è fatto da collezionisti “autentici” e da galleristi preparati, non disponibili a operazioni studiate a tavolino. La speculazione ha creato valori effimeri. I super milionari, tranne pochi casi, non comprano perché conoscono l’arte. Sono influenzati dai loro advisor e dalle case d’asta, che pubblicano cataloghi come fossero elenchi del telefono, e trasformano le vendite in manovre finanziarie. Le gallerie, invece, puntano sulla formazione del gusto».
Ma i Lorenzo il Magnifico del XXI secolo, a volte, compaiono anche tra i plutocrati. Per un Wynn che compra Bacon per esporlo a Las Vegas c’è un Leonard Lauder che dona al Metropolitan di New York la sua collezione cubista da un miliardo di dollari. A Oriente, Mayassa del Qatar, la sceicca dell’arte, fa incetta di Cézanne e di Rothko per trasformare Doha in una capitale della cultura. Cederà anche lei al fascino, e al brand, del cagnetto di Koons?