Sara Gandolfi, Corriere della Sera 14/11/2013, 14 novembre 2013
LA RETE DEI RAGAZZI IN VENDITA UN ADOLESCENTE SU 4 SCAMBIA SU INTERNET FOTO RUBATE E IMMAGINI PORNOGRAFICHE COSÌ GLI ADULTI LI ADESCANO E LI MANIPOLANO
«Salve a tutti, so che per iscriversi e lavorare per i siti camgirls bisogna esibire una copia del documento d’identità per dimostrare di essere maggiorenne. Se una ragazza falsifica la fotocopia e poi viene scoperta cosa rischia? Multe? Prigione per i genitori?», chiede Sharon su un forum online. La risposta di Sceriffo Woody spezza sul nascere ogni discussione: «Lascia perdere, non ti mettere nei casini». Una pillola di saggezza che, forse, ha congelato in Sharon la voglia di denaro facile e di spogliarsi in diretta web. Parole che nessuno ha detto o non hanno fatto presa sulle due liceali che si vendevano ai Parioli, 300 euro per due ore di sesso, né sui ragazzi che s’accompagnavano in cantina, per un paio di jeans firmati, con il disturbatore Paolini. E non fermano neppure le migliaia di adolescenti che fotografano, filmano e offrono alla Rete il proprio corpo in cambio di qualche decina di euro, una ricarica telefonica, a volte soltanto per sentirsi accettati dal gruppo.
«Eravamo abituati ad affrontare la baby prostituzione lavorando con le vittime della tratta, che dal 2006 ad oggi ha “fornito” tra i 7.000 e i 13.000 minori al mercato clandestino dello sfruttamento sessuale. Da qualche anno, però, è esploso il fenomeno dei minori italiani che postano sui social network immagini ai limiti della pornografia e, con il giro scoperto ai Parioli, ora è emersa la stretta connessione fra l’utilizzo di Internet e la prostituzione di adolescenti italiani», commenta Yasmin Abo Loha, coordinatrice in Italia della onlus Ecpat (End child prostitution, pornography and trafficking). «Avevamo il sentore di una deriva di questo tipo; potrebbero essere qualche centinaia le ragazze coinvolte in casi simili, con contatti non più virtuali ma consumati nella vita reale».
Le chiamano baby-squillo. Termine odioso, e sbagliato. Perché se anche hanno volti da angeli e menti ancora immature, spesso i loro corpi sono già quasi adulti. Ed è quel «quasi» che piace tanto ai clienti e consente loro perfino di negare il reato. «Non sapevo fosse minorenne», dicono sempre. Una recente modifica normativa ha ulteriormente indebolito l’intervento giudiziario perché la persona che si dichiara inconsapevole dell’età del partner a pagamento è esente da colpa se fa valere l’«erronea valutazione». Gli utenti dei siti di call girls stanno comunque molto attenti. Non si parla né si scrive mai che si è in cerca o si è andati con un/una minorenne. Il rischio è la galera; fino a 18 anni, pena ridotta se il rapporto è tra minori. Piuttosto si usano facili giri di parole. Come fa Antonio, da Torino: «Cerco teenager maggiorenne».
In strada di minorenni ce ne sono molte, dal 7 al 10% del totale, ma è difficile riconoscerle sotto il trucco e sopra i trampoli. Sono perlopiù rumene o nigeriane. Il grosso della prostituzione under age è però sommersa, in minibordelli casalinghi dove le «piccole» sono custodite come gioielli. Tante straniere, ma non solo. «Temo che sia un fenomeno molto consistente e che ciò che esce dal sommerso, quel poco di cui veniamo a conoscenza, sia davvero una minima parte rispetto all’esistente», conferma Fabio Roia, magistrato della sezione penale Soggetti deboli del Tribunale di Milano, che fa un parallelo con la violenza domestica. «È una prostituzione molto difficile da intercettare perché se c’è una libera determinazione della ragazza, che poi dal punto di vista giudiziario libera non è, e se i genitori non esercitano la posizione di garanzia, il fenomeno può venir scoperto solo in modo del tutto casuale, come è avvenuto con la vicenda Ruby». Il magistrato punta il dito su un modello subculturale sbagliato di donna, «per cui il corpo rappresenta uno strumento da vendere a qualsiasi costo», anche con la connivenza dei genitori.
A volte parte come un gioco. Un ragazzino su 4 ha scambiato, online, immagini pornografiche, contatti con sconosciuti, foto «rubate» ad amici o compagni di classe. Lo chiamano «sexting» e per il professor Giovanni Ziccardi, fondatore e direttore del corso in Computer forensics e investigazioni digitali presso l’Università degli Studi di Milano, è l’antefatto della nuova prostituzione minorile, virtuale o no: «Le ragazzine aprono siti web, prendono contatto direttamente con gli sconosciuti tramite app telefoniche che permettono di vedere quali sono le persone interessate all’“offerta”, con un vero e proprio tariffario. Uno scambio a volte gestito da adulti, altre volte autonomamente. A dispetto di quello che pensiamo, i ragazzini sono in grado di progettare attività complesse e spesso non innocenti, con un approccio al sesso sempre mediato dalla telematica». Lo fanno per curiosità, per divertimento, per il gusto del proibito. Come conferma Luca Bernardo, direttore di Pedriatria all’Ospedale Fatebenefratelli, che quattro anni fa «curò» otto ragazzine della Milano bene che si prostituivano nei bagni delle scuole in cambio di oggetti: «I giovani sono rabbiosi, soli, annoiati, cercano denaro e vogliono ottenerlo in modo rapido».
Da dieci anni la Polizia postale e telecomunicazioni insegna nelle scuole un uso di Internet «legale, condiviso, prudente». Carlo Solimene, direttore della divisione investigativa, non ha dubbi: «Cyberbullismo, sexting, grooming (adescamento), pedopornografia sono tutti interconnessi, rami dello stesso albero: il fenomeno va valutato complessivamente, indagando il rapporto tra minori e Internet. Noi facciamo monitoraggio 24 ore su 24 sulla rete. La minorenne spesso è irretita da tutta una serie di complimenti e ammiccamenti; noi riusciamo immediatamente a capire se il linguaggio del suo interlocutore è quello di un minorenne o no».
In Germania, dove il fenomeno delle ragazzine bene che scivolano nella prostituzione è emerso da più tempo, è stata individuata anche una nuova figura di sfruttatore o pappone: «Giovani uomini, di bella presenza, che adescano le adolescenti online, fuori dalla scuola, nei bar. Le fanno innamorare, finché diventano emotivamente dipendenti, isolandole lentamente dagli amici e dai familiari. A quel punto, l’“innamorato” dichiara di avere qualche tipo di difficoltà economica — un debito di gioco, creditori alle calcagna — e chiede alla ragazzina di aiutarlo», racconta Silvia Vorhauer, assistente sociale a Dortmund. «Sono in aumento anche le vittime maschili: per adescarli si ricorre ai cosiddetti “appartamenti aperti”, dove vengono invitati in gruppo per giocare alla playstation, guardare una partita di calcio o un porno in tv. I ragazzi col tempo si fidano di quell’uomo più anziano, finché lui chiede di più».
Una realtà sommersa da cui i genitori sono (di norma) tagliati fuori. A partire da quel «sexting» all’apparenza così banale, ma con rituali precisi — la presenza di uno specchio, l’utilizzo del telefono — che noi adulti non comprendiamo. «Quando un adolescente si chiudeva in bagno, in passato, si sapeva all’incirca cosa stava facendo. Ora non più», dice Maurizio Bini, sessuologo all’Ospedale Niguarda di Milano. Internet garantisce accesso, anonimato, diffusione del messaggio. La prostituzione è sempre esistita, oggi è solo molto più facile e veloce grazie alla rete. Anche le due ragazzine dei Parioli pare fossero partite con una webcam e poi sono finite in un letto mercenario. Il controllo eccessivo, però, forse non è la soluzione. «La nostra generazione di adulti iperprotegge la sessualità giovanile, a volte negandone l’esistenza. La vendita dei corpi, poi, ci colpisce nelle viscere e ci impedisce di trovare, pacatamente, una soluzione», avverte il sessuologo. «La maggioranza dei nostri adolescenti è in grado di sviluppare gli anticorpi necessari per superare indenne questa malattia, come è avvenuto per le generazioni precedenti».
(3 - continua)