Gianni Clerici, la Repubblica 13/11/2013, 13 novembre 2013
PAPÀ, COACH, BABYSITTER DA NADAL A DJOKOVIC IN VIAGGIO COL CAMPIONE
Più di uno spettatore, poco abituato al tennis, e quindi non “aficionado” come li chiamo si è sorpreso per l’atteggiamento più che amichevole mostrato prima, durante e dopo la finale che aveva opposto ieri un Djokovic meno stanco di Nadal, dopo le più di 80 partite disputate quest’anno da entrambi. Simile rapporto amichevole si verifica più che abitualmente nel tennis, che ha su altri sport il vantaggio a) di essere individuale b) di non essere legato ad una nazionalità, ma al massimo al patriottismo, ben diverso dal nazionalismo 3) di avere invece di un scontro fisico il rapporto con una palla, che è totalmente neutra e unisce, perché indispensabile ai reciproci scambi. Simile rapporto amichevole nasce da un altro aspetto importante, che fa sì che gli avversari si capiscano benissimo, e non meno gli arbitri, perché dopo i vani tentativi dell’Esperanto i tennisti, e i loro avversari, hanno trovato un linguaggio comune nell’inglese, che io chiamo il latino dei nostri tempi. Simile necessità è sempre esistita, sin dagli inizi dello scriba, giocatore di quello che ancora non si chiamava Circuito, negli Anni Cinquanta. Era stata allora, la catena dei tornei, sino al 1970-80 ancora di più legata all’amicizia, perché la struttura era meno articolata, ognuno viaggiava con altri giocatori doverosamente privi di accompagnatori, senza arbitri professionisti, rappresentati da volonterosi soci dei club. I buoni rapporti reciproci, al di fuori di pochi casi inattesi e severamente sanzionati dal Sindacato (Atp) sono rimasti nella prassi quotidiana, nonostante i migliori tennisti non viaggino più soli, ma accompagnati da gruppi simili a quelli delle star dello showbusiness. Gente del livello dei primi Dieci viaggia con al seguito una compagna, sia moglie o fidanzata, un cosiddetto coach che definirei Consigliere Strategico, un fisioterapista, un incordatore, e spesso un palleggiatore, per la quotidiana necessità di regolare i colpi e di riscaldarsi. C’è poi il caso di Federer, che viene spesso accompagnato dalle babysitter delle sue gemelle, ma casi simili accadono solo in fine di carriera, perché i tennisti, e le tenniste, sono cauti nella riproduzione. Per ritornare ai finalisti del Masters che sono anche i due primi tennisti mondiali e i loro team sono spesso integrati, per Djokovic, anche dai genitori, usciti dalla gestione di una pensioncina montana. Djokovic ha anche con sé l’agente italiano Dodo Artaldi, ex tennista, e a volte il giovane fratello professionista. Per non parlare dell’allenatore slovacco Vajda e del suo team. Nadal, al di fuori delle solite figure indispensabili al gioco, è accompagnato da ben tre ex campioni, tra cui Costa e Corretja, ma soprattutto dallo zio Tony, ormai celebre per esser stato il responsabile dell’impostazione gestuale anonima del primo destro che abbia mai volontariamente impugnato la racchetta con la sinistra. Al di là degli ottimi rapporti e della stima dei due, vorrei chiudere ricordando la frase di uno dei miti del gioco, l’americano Big Bill Tilden, il più grande degli Anni Venti: «Il nostro è un gioco in cui devi prima superare te stesso dell’avversario. E non sempre ciò avviene quando vinci».