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 2013  novembre 13 Mercoledì calendario

TRA PRIMA REPUBBLICA E MODELLO FRANCESE LE QUATTRO STRADE PER LIBERARSI DEL PORCELLUM



LA BOCCIATURA al Senato dell’odg con cui Pd, Sel e Sc proponevano di correggere il Porcellum con il doppio turno di coalizione fa sentire più nitidamente il conto alla rovescia per la pronuncia della Consulta. Tra venti giorni esatti, martedì 3 dicembre, i giudici della Consulta cominceranno infatti a valutare la legittimità costituzionale della legge elettorale approvata nel 2005 dal governo Berlusconi chiamata dal suo stesso autore “una porcata”, e dunque ribattezzata Porcellum - che ha trasformato gli eletti in nominati e assegna un superpremio in seggi alla coalizione più votata, anche se non ha raggiunto - come è accaduto alle ultime elezioni - neanche la soglia del 30 per cento. Ma cosa può accadere, in concreto? Cosa può decidere la Corte Costituzionale, e cosa è possibile che accada in Parlamento? Al momento le ipotesi sul tavolo sono quattro. Vediamole una per una.


• Ricorso inammissibile la palla passa alle Camere:
LA PRIMA decisione che la Corte costituzionale dovrà prendere sarà quella sull’ammissibilità del ricorso. E si tratta di una decisione per nulla scontata, perché i giudici della Consulta potrebbero decidere per l’inammissibi-lità, rinviando così la palla al Parlamento. Riepiloghiamo: nel 2009 un cittadino si rivolge al Tribunale di Milano sostenendo che la legge Calderoli ha leso i suoi diritti di elettore. Il Tribunale gli dà torto, ma la questione arriva davanti alla Cassazione, che investe della questione i giudici della Consulta.
Secondo molti costituzionalisti, però, per invocare il giudizio di legittimità costituzionale sono indispensabili due requisiti: il primo è che la questione sia sollevata davanti al giudice competente, il secondo è che il cittadino punti a «un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice». Ebbene, secondo questi giuristi a) il Tribunale di Milano non era competente, dal momento che per l’articolo 66 della Costituzione solo il Parlamento è il giudice competente sull’elezione dei suoi membri, e b) manca il possibile «risultato giuridicamente apprezzabile», anche considerato che la legislatura in corso nel 2009 è già finita.

• Di nuovo il proporzionale senza scelta dei candidati:
SE INVECE i giudici della Consulta decidessero per l’ammissibilità del ricorso, allora la prima possibilità che avrebbero sarebbe quella di tagliare, abrogandole, le parti ritenute illegittime. E la direzione è già stata indicata in una sentenza del 2008, in cui invitava il Parlamento a «considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l’attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi».
Volendo modificare il Porcellum, non potendo reintrodurre le preferenze l’unica modifica che la Consulta potrebbe deliberare riguarderebbe dunque il premio di maggioranza, ovvero la norma che assegna 340 seggi alla Camera al partito che conquista la maggioranza relativa. E potrebbe solo abolirlo, non avendo il potere di fissare la soglia minima. La conseguenza pratica sarebbe un sistema elettorale perfettamente proporzionale — com’era prima del 1993 — ma sempre con le liste bloccate, che conserverebbe dunque un difetto fondamentale (l’impossibilità di scelta degli eletti da parte degli elettori) perdendo un pregio niente affatto secondario (l’attribuzione al vincitore dei numeri per governare, almeno alla Camera).

• Il vecchio Mattarellum si riprende la scena:
LA CORTE costituzionale ha però un’altra via d’uscita. Quella di dichiarare illegittima non una parte del Porcellum, ma l’intera legge. E a quel punto potrebbe richiamare in vita la legge elettorale precedente, il Mattarellum, che paradossalmente oggi vede tra i suoi paladini proprio il leghista Calderoli, l’uomo che l’ha cancellato.
Il ritorno al Mattarellum cambierebbe tutto. Addio liste bloccate e premio di maggioranza. Tre quarti dei parlamentari sarebbero eletti nei collegi uninominali (un solo nome per ciascun partito o coalizione, e viene eletto solo chi arriva primo) mentre il rimanente 25 per cento sarebbe distribuito proporzionalmente tra le liste di partito (bloccate). È un sistema già collaudato con l’avvento del bipolarismo, che ha fatto vincere due volte Berlusconi e una volta Prodi, ed ha il pregio di consentire la scelta del parlamentare senza reintrodurre le preferenze, ma non è detto che funzioni altrettanto bene in un sistema tripolare come quello di oggi: una simulazione effettuata utilizzando i risultati delle ultime elezioni rivela che nessuno avrebbe, neanche lontanamente, la maggioranza in Parlamento. E dunque, ancora una volta, potrebbero essere inevitabili nuove larghe intese.

• Doppio turno con preferenze o con i collegi uninominali:
SIA pure indebolita dal voto di ieri al Senato, resta poi sul tavolo l’ipotesi del doppio turno. Del quale esistono due versioni.
Quello proposto ieri da Pd, Sel e Scelta Civica a Palazzo Madama - sulla base di una proposta elaborata da Luciano Violante - prevede che, se nessuno raggiunge una soglia minima (40 o 45 per cento), le due coalizioni si affrontano in un secondo turno nel quale viene assegnato al vincitore un premio in seggi che gli consenta di avere una maggioranza di 340 seggi alla Camera e di 170 al Senato. Non bisognerebbe cambiare molto, perché si applicherebbe al meccanismo attuale, con le liste regionali, aggiungendo il voto di preferenza.
La seconda versione, che potrebbe rientrare in gioco dopo il voto di ieri al Senato, ricalca invece il modello classico del doppio turno, quello francese: il ballottaggio avverrebbe non a livello nazionale ma in ciascun collegio, tra i due (o tre) candidati più votati. Per realizzarlo, bisognerebbe però tornare ai collegi uninominali (che non piacciono ai centristi e nemmeno ai grillini) e accettare il rischio che neanche il secondo turno (osteggiato dal Pdl) consegni al vincitore la maggioranza in Parlamento.