Marco Pivato, TuttoScienze, La Stampa 13/11/2013, 13 novembre 2013
NON SOLO NEURONI: C’È ANCHE
UN ALTRO CERVELLO ED È INVISIBILE–
Il campo in cui più di ogni altro la scienza ha messo in contatto saperi diversi è senz’altro la neuroscienza, laboratorio di discipline in sinergia - dalla matematica alla psicologia, dall’antropologia all’intelligenza artificiale - che sta indagando misteri fino ad alcuni anni fa abbordabili unicamente dalla speculazione filosofica sull’uomo e sul cervello. È la riflessione di Timothy Shallice, matematico di formazione, professore di neuropsicologia e coordinatore del settore di neuroscienze cognitive della Scuola internazionale superiore di studi Avanzati (Sissa) di Trieste, che oggi riceverà l’ambito «Premio Mente e Cervello 2013» dal rettore dell’Università di Torino, condiviso con Sarah-Jayne Blakemore, sua collega all’Istituto di neuroscienze cognitive dello University College di Londra.
Il «laboratorio» di cui parla Shallice, dedicato in primis ai disturbi della mente, è un luogo di studio privilegiato rispetto ai laboratori tradizionali: «Le neuroscienze cognitive - spiega il professore - permettono di indagare oltre la materia organica, là dove la mente, e quindi qualcosa di non afferrabile come il prodotto dei neuroni, agisce dal e sul corpo in un complesso gioco di circuiti e percorsi, spalancandosi sui “teatri” in cui si svolgono le trame delle malattie».
Parrebbe strano che Shallice parli così meravigliato del cervello, proprio lui che nasce come matematico. E invece è proprio la razionalità, per sua natura ragionante e per nulla ostile a ciò che non si comprende nell’immediato - confessa - che porta allo stupore, vale a dire all’incontro-scontro tra ciò che si pensa «maneggevole» e ciò che invece sfugge: cosa sono la memoria, la volontà o il linguaggio? «Se si “inceppano” queste capacità - continua Shallice - possiamo studiare dove si trova la lesione a monte del problema, ma così abbiamo soltanto un disegno parziale della causa». Ed entra nel merito della questione con una serie di esempi tratti dalla sua attività professionale.
Shallice ha studiato pazienti con danni al cervello, dovuti, per esempio, a tumori o ictus, che possono impedire capacità come la memoria o l’abilità di parlare. «Individuando la lesione che riteniamo potenzialmente responsabile di questi disturbi, ci siamo accorti che il problema non è sempre e semplicemente in cause meccaniche, ma è dovuto a sistemi molto più complessi e dinamici che gestiscono, nel caso specifico, la memoria, ma che non sono soltanto di tipo organico: abbiamo a che fare con funzionamenti mentali che le macchine ancora non tracciano».
L’approccio di Shallice alla malattia è dunque da matematico, proprio come dice il suo curriculum: ha una visione aperta all’astratto e al simbolico, accettando che l’«invisibile» gioca un ruolo essenziale, proprio come i numeri che seppure non si «toccano» - spiega - sono alla base del ragionamento razionale.
Proprio gli studi più importanti del professore insistono sull’eccessiva semplificazione, per esempio, a cui siamo abituati tra memoria a breve e a lungo termine. «Non è così sistematica la memoria - sostiene - e, sebbene sia vero che il cervello lavori in modo diverso per ricordare cosa abbiamo mangiato a colazione piuttosto che il nome di una persona che ripetiamo da anni, è vero anche che la memoria è un sistema integrato con tutto il complesso dei neuroni e con tutti i sensi e che, quindi, non lavora a “compartimenti stagni”».
La scienza contemporanea - come narrava già Italo Calvino - «si regge su entità sottilissime, come i messaggi del Dna, gli impulsi dei neuroni, i quark, i bit senza peso». Sempre più - aggiunge quindi Shallice - «stiamo scoprendo che l’uomo è un prodotto di dinamiche alle quali possiamo dare dei nomi, e magari appurarne l’esistenza tramite le tecniche di imaging cerebrale, ma che non possiamo toccare». E fa un esempio citando il capitolo della psicosomatica: «Se negli Anni 60 avevamo due o tre modelli per parlare di come il cervello realizzi effetti organici da ricondurre alla mente, oggi ne abbiamo già una ventina: le neuroscienze sembrano complicare il puzzle, ma in realtà non fanno altro che aggiungere altri tasselli necessari al mosaico-uomo». Le neuroscienze - conclude il professore, che è stato direttore dell’Institute of Cognitive Neuroscience presso lo University College di Londra ed è «fellow» della Royal Society - introducono inoltre un elemento di complessità in più, ma sicuramente utile alla medicina personalizzata, perché «ci suggeriscono, come fa la psicosomatica, che questa macchina computazionale che è il cervello è diversa da persona a persona». Come dire che sul banco degli scienziati ci sono sempre, in contemporanea, fenomeni fisici e fenomeni umani.