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 2013  novembre 13 Mercoledì calendario

ANDRE AGASSI


il tono di voce è basso e monocorde. Ogni tanto sfiora con le dita la base del collo serrato da una collanina fatta di dadini di plastica che formano la scritta «Daddy Rocks», un regalo che gli ha fatto suo figlio Jaden quando ancora andava all’asilo (adesso ha dodici anni).
Volevo chiedergli di togliersela per le fotografie ma poi non ho avuto il coraggio. Non perché Andre Agassi faccia paura, tutt’altro. È che ha uno sguardo così docile e triste che non me la sono sentita di disturbarlo oltre. E poi, lo dico subito, faccio parte di una setta di appassionati, non tanto di tennis, ma di un libro che si intitola Open.
Per chi non lo sapesse, nel 2009 Andre Agassi ha scritto un libro, in collaborazione con un ghost writer di lusso: il giornalista e scrittore premio Pulitzer J.R. Moheringer. Open è un long-seller in tutto il mondo, Italia compresa, dove ha venduto 300 mila copie ed è ancora in classifica. Racconta la storia di un ragazzo costretto dalle ambizioni del padre a diventare campione di tennis, sport che arriva a detestare con tutte le sue forze. Racconta di come i trionfi sul campo arrivino assieme a grandi paure e fragilità. Racconta del matrimonio disastroso con Brooke Shields, di droghe mandate giù per tirarsi su e di un ciuffo di capelli posticci per nascondere la calvizie precoce ma anche tutto ciò che, di brutto, gli passava per la testa.
Open racconta, come in tutte le parabole americane che si rispettino, che Agassi poi ha risalito la china e trovato l’amore. Lei è Steffi Graf, collega tennista: si sono sposati, hanno due figli e gestiscono insieme una fondazione che si occupa di far studiare giovani che non ne avrebbero i mezzi.
Open ha cambiato la vita di Agassi e provocato un effetto dirompente in chiunque lo abbia letto, al punto che oggi l’ex tennista è diventato una specie di guru del rimettersi in sesto e del ritrovare se stessi. È stato invitato a parlare agli studenti di Harvard e, nei giorni scorsi, lo ha fatto a Milano alla decima edizione del World Business Forum: imprenditori e manager hanno pagato duemila euro a testa per ascoltarlo parlare. Voi potete farlo gratis nelle prossime righe.
Prima dell’intervista e delle foto per Vanity Fair, Agassi ha partecipato a un lunch offerto dal marchio di orologi Longines di cui è «ambasciatore» dal 2007. A tavola è di un’educazione d’altri tempi. Appena una signora si è alzata, si è alzato anche lui, cosa che non vedevo fare dall’ultima puntata di Downton Abbey.
Con Agassi c’era un omone dai capelli bianchi e il corpo a forma di frigorifero. Speravo fosse il suo allenatore Gil Reyes, di cui nel libro tanto si parla e gli ho domandato: «È lei il famoso Gil?». Lui mi ha risposto, con una risata cavernosa: «No, io sono il famigerato Steve».
È da sempre il suo manager e mi ha subito raccontato una strana e complicata storia di denaro. Dice che Andre non ha incassato assegni per il libro («Una cifra immensa! Lei non ha idea!») fino a quando non ha deciso che davvero, in quelle pagine, si sarebbe detta la verità, tutta la verità.
Poi Agassi si siede per l’intervista e appoggia una bottiglietta di plastica sul tavolo. Domando se quella sia, appunto, la miracolosa acqua di Gil, un preparato energetico del suo allenatore, perché in caso ne vorrei assaggiare un sorso. Lui sorride, dispiaciuto di deludermi: «Non la bevo più, c’erano dentro troppe calorie».
Parliamo delle voci di un film tratto da Open. Si diceva che Colin Farrell lo avrebbe interpretato. «Non se ne fa niente, non aggiungerebbe niente al libro, anzi lo sminuirebbe perché, per forza di cose, molto verrebbe tagliato».
Parliamo delle critiche da parte di molti tennisti che hanno dichiarato che, avendo lui confessato di aver fatto uso di droghe, sarebbe cosa buona e giusta che restituisse i suoi trofei. «Martina (Navratilova, ndr) è stata particolarmente dura con me, ma sbaglia di grosso perché le sostanze di cui mi facevo non aiutavano certo le mie performance. Erano droghe distruttive che mi hanno portato solo sconfitte, non immeritate vittorie».
Altre vittorie, più importanti, sono arrivate. Il successo della sua fondazione, per esempio. Mi parla di Simone Ruffin, la prima laureata che era entrata nel programma di studi in prima elementare. L’ha scelta perché lo presentasse in pubblico alla cerimonia della Tennis Hall of Fame, due anni fa.
Dopo il ritiro dai campi, Agassi ha imparato lentamente a godersi le gioie della vita. Vive a Las Vegas con la famiglia. Steffi si sveglia tutte le mattine alle 5.30 e porta fuori i cani Buster e Yankee. Lui dorme un’ora in più e poi fanno colazione insieme e accompagnano i figli (oltre a Jaden c’è una femmina, Jaz Elle) a scuola. Condividono molto dell’educazione dei bambini ma alcune funzioni sono esclusivamente di Steffi. Dice Agassi che sua moglie, tedesca, è fissata con l’organizzazione degli orari. E con l’alimentazione. «Se hai mangiato la pasta la sera prima, non la rimangi il giorno dopo a pranzo. Steffi, poi, ha una pazienza infinita nel gestire i capricci dei bambini, le piccole liti tra di loro, io non sono così bravo».
L’idea romantica che mi sono fatta è che sia stata proprio Steffi a restituire l’equilibrio ad Andre che si definisce «per natura, sempre prevedibilmente infelice e tormentato». Ma lui è molto più acuto di me nel definire la faccenda: «Se non avessi trovato il mio equilibrio da solo, non avrei nemmeno trovato Steffi».
Da bambino è stato costretto a fare qualcosa che non amava ed è diventato lo stesso un campione, uno dei più grandi. «Ma per me essere il numero uno non significava niente, capisce? Era come essere un qualsiasi altro numero perché l’avevo conquistato odiando me stesso. Pensi a quante persone conosce che svolgono un lavoro che detestano, io ero così. E credo sia questa la ragione del successo del libro: la gente si identifica».
Chissà quanti ragazzi si identificano anche con il problema della calvizie precoce. Che cosa consiglierebbe a chi perde i capelli presto? «Rapati a zero, al più presto. Abbandonali tu, prima che ti lascino loro». E, finalmente, scoppia in una bella risata.