Manuel Gandin, Famiglia Cristiana 8/11/ 2013, 13 novembre 2013
STEFANIA SANDRELLI
Leggerezza e consapevolezza. È il marchio di fabbrica di Stefania Sandrelli, donna e attrice caparbia, interprete di ruoli femminili memorabili. Ora è protagonista in Tv con Una grande famiglia 2, su Rai Uno al giovedì sera. Spontanea e disponibile, si mostra sincera e solare nelle opinioni.
Come va la serie tv? È soddisfatta?
«Senta, io non sono una lettrice accanita del vostro giornale ma lo conosco e so che è un giornale importante. Glielo dico subito così siamo consapevoli entrambi di chi siamo. Anzi, di più: approfondiremo argomenti che raramente riesco ad affrontare con altri giornali. Comunque, sì, sono contenta di come vanno le cose».
Si rivede in Tv, in genere?
«Qualche volta sì, dopo il lavoro, per verificare meglio la messa a punto. Ero un po’ prevenuta... È un lavoro faticoso, diverso dal cinema perché la Tv è una catena di montaggio. Sa, al cinema si sta anche due giorni su una scena; in Tv te lo scordi, perché devi portare a casa un bel po’ di roba in più. Premesso questo, la Tv dà a un attore una chance che non avevo calcolato e che ho verificato. Io non amo l’enfasi, quasi la odio. Non ho mai cercato le “protagonistone”, le madri coraggio, personaggi a tutto tondo ma enfatici, perché la realtà della donna italiana è ancora un pochino subalterna alla figura maschile».
Lei ha iniziato giovanissima a lavorare e quindi avrà notato cambiamenti nel rapporto tra uomo e donna...
«Il cambiamento c’è ma noi donne restiamo subalterne e questa cosa ho deciso di dichiararla ogni volta che posso. Le attrici guadagnano un quarto degli uomini».
Un problema solo italiano?
«In Italia questo è più accentuato. Mi ha sempre dato fastidio e adesso ancor di più perché su questo fronte le cose non sono cambiate. Questo ha a che fare con la libertà di un professionista nei confronti del lavoro che svolge. Per il lavoro totalizzante che ho fatto mi ritengo un po’ “orfana della vita” e adesso sto cercando di pareggiare i conti, non sono più una ragazzina, anche se continuo a lavorare con gioia. Per la fiction ho fatto sei mesi di lavoro tutti i giorni e in condizioni spesso disagiate, ma con la stessa disponibilità di quando venni a Roma per il provino di Divorzio all’italiana, quando avevo 15 anni».
C’è un film che ama di più?
«Io la conoscevo bene, di Antonio Pietrangeli, ma ci arriveremo dopo. Le dicevo che non ho mai prediletto i ruoli da protagonista a tutto tondo. La chance Tv, con otto puntate, è diversa dal cinema. Se Una grande famiglia fosse stato un film, un’ora e mezzo di storia, per intenderci, avrei dovuto accentuare la personalità di Eleonora, il personaggio che interpreto. Perché il nostro lavoro è come uno spartito musicale: lo si deve saper armonizzare nella sua totalità. E allora Eleonora la si capirà bene solo alla fine dell’ottava puntata perché è personaggio più nelle cose che non dice che in quello che mostra. Mentre, per tornare a Io la conoscevo bene, e uno dei pochi film che ho accettato con un ruolo da protagonista a tutto tondo».
Quando girò quel film, aveva coscienza di quel tipo di personaggio?
«Io sono una persona e un’attrice fortunata perché sono entrata dalla porta principale nel cinema, mentre il personaggio di quel film, Adriana, aveva dovuto fare di tutto ed era stata umiliata. Uno degli sceneggiatori era Ettore Scola, il mio regista più rappresentativo. La cosa che mi faceva apprezzare il lavoro di Scola e Pietrangeli era la costruzione del lato patetico di questa donna. Mi chiede di una coscienza oggettiva? Ce l’ho avuta, eccome, perché ero al corrente del sottobosco del mio lavoro, anche se solo per sentito dire. Povera Adriana! Quel ruolo mi ha insegnato un’altra cosa preziosa: il coraggio di rappresentare personaggi patetici te lo puoi permettere solo se vuoi bene a quei personaggi. Alla fine ad Adriana ho voluto bene».
La scomparsa di Luigi Magni lascia un altro vuoto nel cinema e nel teatro...
«Mi ha addolorato moltissimo. Eravamo anche amici di un monsignore che avevamo festeggiato per i suoi 101 anni. Con Magni ho fatto un film. Secondo Ponzio Pilato, e ci siamo frequentati ben oltre il lavoro. Ricordo un premio vicino a Roma: fu l’occasione per andare a mangiare e ridere, parlare, raccontarci mille cose. Per Natale mi dava sempre consigli sui libri da regalare, suggerimenti sempre meravigliosi».
Vent’anni fa moriva Fellini. Non avete lavorato assieme. Un caso?
«Mica vero. Mi aveva chiesto di partecipare a Giulietta degli spiriti nel ruolo dell’amante. Accettai un incontro al Teatro 5 di Cinecittà ma aspettavo mia figlia Amanda e non glielo dissi perché volevo proteggere quella maternità. Andai a Losanna per partorire e il film non lo feci».
È una mamma felice?
«Di più: Amanda non è solo figlia ma anche consigliera. La sua vita è piena di cose belle e sono felice di essere sua madre; è una persona speciale. Pensi che chi mi ferma per strada non manca mai di citare mia figlia e questo mi da molta gioia. Mi sento fiera di questo».
Lei è una mamma italiana, iperprotettiva, o più distaccata?
«L’uno e l’altro. Ai miei figli non ho mai nascosto nulla; li ho sempre resi partecipi, perché i genitori devono essere un esempio. Però, andavo... contando i piedi».
Contare i piedi? Che vuoi dire?
«Di notte, come una sonnambula, entravo nella stanza dei ragazzi a contare i piedi nei letti. C’erano tutti? Poi tornavo a letto cercando di riprendere sonno. L’apprensione è inevitabile, talvolta».
E da nonna com’è?
«Eehh, come nonna sono più serena, anche se il mondo si complica. Credo che la vita non si faccia vivere per niente, ogni giorno qualcosa dà e sta a noi prendere i segnali che arrivano. L’importante è lavorare con consapevolezza per lasciare una traccia positiva. Si deve essere reattivi e naturali, spontanei».
Come vede la società italiana?
«Male perché non si giocano partite oneste. Si antepongono “cosucce” alle cose importanti. Questa è una perdita di tempo imperdonabile e la motivazione per cui non si va avanti. Eppure il senso della vita è chiaro: andare avanti, non indietro».