Manuel Gandin, Famiglia Cristiana 8/11/ 2013, 13 novembre 2013
RENZO ARBORE
Non sono solo canzonette, parola di Renzo Arbore! «La musica è un grimaldello e quella italiana è un tesoro inestimabile». Conduttore televisivo e radiofonico, autore, regista cinematografico, dj, scopritore di talenti, jazzista, Renzo Arbore a 76 anni non smette di cercare, ricreare e proporre quei “piccoli” tesori della canzone napoletana e non che, esportati in tutto il mondo dall’italianità emigrante, hanno finito non solo per piacere a tutti ma per condizionare la musica popolare dei luoghi dove i nostri paisà cercavano un riscatto dalla povertà. «La cosa che più mi stupisce» racconta, in un salotto della sua affascinante e multicolore casa romana, «è la reazione del pubblico quando suono in giro per il mondo. Fino a quando sto a New York, a Brooklyn, a Chicago, gli italoamericani sono tanti e cantano e ballano con la mia orchestra, è normale, mi dico. Ma quando vado in Asia? Mentre suono decine di cinesi e giapponesi si divertono e cantano le nostre canzoni, e quando a Mosca il pubblico russo balla mentre suoniamo Maruzzella, ecco, è in quei momenti che si capisce l’immenso patrimonio che esportiamo e che forse neanche noi qui sappiamo di avere».
La casa di Arbore è fantasiosa e capace di incuriosire, piena di cose apparentemente solo scherzose, in realtà piccole testimonianze di cosa voglia dire trasmettere agli altri la propria passione. «Credo che le cose piccole valgano molto». Anche il mappamondo poggiato sul pianoforte è singolare: gli oceani sono di colore rosso. E nella libreria, tra tomi sulla musica leggera e volumi di jazz, c’è un vocabolario napoletano-italiano, ma anche un Trattato di sociologia della canzone classica napoletana. A spezzare l’equilibrio, in perfetto Arbore-style, un’insegna luminosa su un tavolino, “Antica arboristeria dal 1965”.
GLI EREDI RADIOFONICI. «Mi ritengo una persona fortunata. Ho avuto modo di conoscere personalità della cultura da cui ho imparato tanto: Fellini e Sordi, Anna Magnani e Totò. E poi De Sica, o Gigi Magni: facevamo gare su chi conosceva le canzoni più antiche. Questa fortuna l’ho assorbita dentro di me. Ancora oggi frequento persone che mi danno tanto. Paolo Villaggio, per esempio, capace di racconti magici, o Gino Paoli, Elio, Lillo e Greg, miei eredi radiofonici, e scopro passioni nuove e antiche al contempo, come l’importantissima “canzone comica”, grazie alla Discoteca di Stato, che incoscienti vorrebbero chiudere».
Non si deve credere a un Renzo Arbore disposto sempre e solo al sorriso; quando è il caso non ha paura di prendere di petto certi argomenti: «Se penso a proposte come quella di privatizzare la Rai dico che sono dei folli in malafede; non sanno quanto le tre reti nazionali continuano a fare per non mortificare il gusto italiano».
E si lascia andare a ricordi sempre in bilico tra ironia, spettacolo e un pizzico di malinconica nostalgia: «Uno dei più bei ricordi è del 2007-2008, a Milano, in piazza del Duomo, a Natale. Con Enzo Jannacci, un concerto in cui intonammo O mia bela Madunina con i mandolini in sottofondo, davanti al Duomo. Eravamo a sei o sette gradi sotto zero ma non ce ne accorgemmo, stavamo bene a cantare e suonare».
Però, tra emigranti e canzoni, avremmo dovuto imparare qualcosa, no? Invece sembra che chi non è “dei nostri”, non è italiano, debba essere visto solo come possibile minaccia. «Già, e mi dispiace tantissimo. Dieci anni fa scrissi una canzone ma non l’hanno mai voluta trasmettere, peccato». E la recita, con gli occhi sorridenti: «Quando arriveranno gli africani / noi andremo tutti a Mergellina / e sventolando fazzoletti e cappelli / saluteremo i nostri nuovi fratelli / sul molo numero 5. / Quando arriveranno gli africani / farà caldo anche a Lambrate. / Chissà quante variopinte coppiette / passeggeranno alle 7 / dal Duomo ai Navigli». Bisogno d’integrazione?
«Certo. Se non esistesse uno scambio tra popoli, non ci sarebbe nulla. Pensi a quello che abbiamo dato noi italiani. Il jazz, per esempio, non nasce solo con i neri che cantano mentre lavorano. C’erano anche gli italiani, come Nick La Rocca, un maestro anche per Louis Armstrong. Ancora: a New York ci sono specialità siciliane che sulle nostre tavole sono scomparse, ma laggiù resistono». E annuncia che il l6 dicembre, su Rai 2, andrà in onda un suo lavoro sulle origini italiane del jazz. «La musica è la colonna sonora della mia vita e noi jazzisti non potremo mai essere razzisti». Parola di Renzo Arbore, foggiano, ma anche napoletano, romano, italiano e cittadino onorario di New Orleans.