Maria Corbi, La Stampa 13/11/2013, 13 novembre 2013
Giulia oggi è maggiorenne, ma quando ha iniziato a prostituirsi aveva solo 15 anni. Non è italiana, viene dall’Europa dell’est
Giulia oggi è maggiorenne, ma quando ha iniziato a prostituirsi aveva solo 15 anni. Non è italiana, viene dall’Europa dell’est. «Perché, c’è differenza tra le bambine e le ragazzine italiane e quelle straniere?». Giulia è sulla difensiva. Ha letto e sentito tutto quello che è stato scritto e detto sulle ragazzine dei Parioli. Dice: «Sono anche loro delle vittime come me, anche se io ero una schiava e loro potevano dire di no, ma i veri colpevoli sono gli sfruttatori e i clienti. Perché qui in Italia avete paura a toccare questo discorso? Forse perché gli italiani che cercano sesso a pagamento con ragazzine sono tanti, troppi?». Giulia oggi è fidanzata, ma non ha superato il trauma. Non vuole dire né il vero nome né la città dove ha trovato rifugio. «Il mio ragazzo ha molta pazienza con me, perché ancora adesso quando mi tocca a volte mi spavento». La storia di Giulia è spaventosa, come quella delle tante bambine, adolescenti costrette a prostituirsi. «Mi fanno ridere quando dicono che le puttane lo fanno volontariamente. Ma dove vivono? Di chi parlano? Hanno in mente le escort, ma comunque non credo che sia giusto sfruttare il corpo di un’altra persona, anche se dice di essere consenziente». La voce si incrina a tratti quando parla. «I clienti - dice - sapevano che eravamo minorenni, chiedevano carne fresca. Corpi poco usati e non dico altro perché diventerei volgare. Ma eravamo obbligate a mentire sull’età, per farli sentire con la coscienza a posto. Io non avevo forme quando ho iniziato e dimostravo meno dei miei 15 anni». «Visto che a voi interessano solo le italiane, vi dico che ce n’erano eccome. Alcune lo facevano per bisogno altre per comprarsi una borsa, un telefonino. Ma non esiste nazionalità nella sofferenza e nella costrizione. Bisogna salvare quelle ragazze perdute, ma anche le minorenni straniere che sono schiave e che non se le fila nessuno». «I clienti che cercano ragazzine sono in gran parte padri di famiglia, persone rispettabili; avvocati, ingegneri, manager, impiegati. E quando si rivestono, alcuni raccontano anche delle loro famiglie, della moglie con cui non fanno più sesso, dei figli. E spesso hanno figlie che hanno la nostra età. Avrei voluto gridare, dirgli che al posto mio poteva esserci sua figlia. Chiedergli perché veniva con noi. Ma sarebbe stato fiato sprecato». Giulia soffre nel ricordare: «Provavo disgusto, rabbia, disperazione. Mi usavano come un oggetto. Con le ragazzine i clienti si sentono forti, possono fare quello che vogliono. Volevano farlo senza preservativo. Io porto ancora i segni delle sigarette». I ricordi si rincorrono implacabili, dolorosi: «Il mio primo cliente è stato un avvocato di 40 anni, ero vergine ma a lui non importava. Anzi mi ha detto di stare tranquilla perché lui era esperto e sapeva come fare». «Provo pena per le ragazzine dei Parioli», dice Giulia. «Perché anche se facevano le spavalde sono solo bambine cresciute e i segni di questa storia saranno indelebili come per tutte noi. L’unico modo per fermare questa barbarie è punire i clienti, severamente, perché con la loro bestialità fanno del male a delle bambine. Sono pedofili. E invece lo Stato italiano vuole rendere legale la prostituzione condannando tutte noi». La fortuna di Giulia è stata l’incontro con don Benzi e la sua comunità Giovanni XXIII. «Diceva che nessuna donna nasce prostituta. E che eravamo tutte figlie. Chiedo ai politici che pensano di fare soldi legalizzando la prostituzione cosa farebbero se al nostro posto ci fossero le loro figlie. Gli uomini che cercano noi, carne fresca, sono delle bestie. Come chi va con le maggiorenni senza pensare che sono schiave, che stanno violando dei corpi e delle anime».