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 2013  novembre 13 Mercoledì calendario

GUERRA ALLA VODKA


BERLINO – DEL FENOMENO SI SONO OCCUPATI SIA IL NEW YORK TIMES CHE IL GUARDIAN. ENTRAMBI I GIORNALI NON HANNO DUBBI: È SOLO L’INIZIO. DA SEATTLE A LOS ANGELES, DA NEW YORK A LONDRA, SONO SEMPRE PIÙ NUMEROSI I GESTORI E GLI IMPRENDITORI DI BAR E CLUB GAY che hanno deciso di boicottare senza compromessi la bevanda numero uno della scena notturna internazionale, non solo gay: la vodka. Con un dettaglio: solo quella russa. Si tratta della prima azione di protesta internazionale contro la crescente discriminazione antigay voluta da Putin attraverso la legislazione che porta la sua firma. L’azione nasce da un’idea dell’attivista gay (e amico del Presidente Obama) Dan Savage. Nel suo blog molto seguito sulla West Coast aveva lanciato prima dell’estate l’invito a boicottare la vodka Stolichnaya e cancellarla dall’offerta di bevande di bar, club e ristoranti di Seattle. «Per dimostrare solidarietà a gay, lesbiche e bisessuali e transgender russi, e i loro amici, perseguitati nella Russia dai connotati sempre più fascisti dell’era Putin».
A MACCHIA D’OLIO
La proposta dell’attivista Savage si è diffusa in poche settimane dalla California al Canada. Poi anche in Europa, dove il dissenso sta contagiando i locali di Parigi, Amburgo e Berlino. A Londra e New York da un mese la vodka Stolichnaya non si trova più. «La situazione in Russia sta peggiorando velocemente sotto gli occhi del mondo spiega Savage -. Non possiamo far finta di nulla. E non parlo solo dei gay. Le restrizioni in merito alle libertà personali volute da Putin toccano l’umanità tout court, non solo quella gay». Si aspettava una risonanza così immediata e diffusa? «No. La velocità con cui il boicottaggio sta raggiungendo le capitali occidentali è sorprendente».
L’imprenditore inglese Jeremy Joseph, che nel quartiere gay londinese di Soho possiede diversi bar, ha dichiarato alla Bbc: «I diritti delle persone omosessuali, bisessuali e transgender vengono calpestati in molti Paesi, certamente non solo nella ex Unione Sovietica. Nel caso della Russia tuttavia è scioccante la regressione degli ultimi anni». Jospeh ha fatto eliminare dai suoi bar tutte le bevande di produzione russa. E l’operazione vodka è solo l’inizio. Il prossimo obiettivo: i Giochi Olimpici di Sotschi. Certo, non è una campagna di natura dimostrativa a mettere in ginocchio l’economia russa, che in crisi nera si trova già di suo da vent’anni. Piuttosto, si tratta di sensibilizzare l’opinione pubblica occidentale, e del resto del mondo, sulla misura di inciviltà delle leggi recenti. L’altro attivista fautore della campagna, il russo Nikolaj Alexejew, spiega: «Ovvio che il boicottaggio fa male alle aziende produttrici, che infatti farebbero di tutto per disfarsi di un Presidente così impopolare nel mondo, e dannoso. D’altra parte però gli imprenditori in Russia non hanno alcuna influenza né sul Presidente, né sul Governo, ne tantomeno sul Parlamento». Non dimentichiamo che quando a luglio Putin ha firmato la legge per «proibire le relazioni sessuali non tradizionali tra minorenni», non ha risposto neanche a una delle obiezioni, rimproveri e moniti arrivati da tutti i Paesi occidentali. Alcune associazioni gay e lesbiche russe stanno cercando di organizzarsi per estendere il boicottaggio anche in Russia, soprattutto da quando l’opinione pubblica occidentale è sempre più informata sulla situazione russa e la stampa internazionale parla di un probabile boicottaggio dei Giochi Olimpici Invernali di Sotschi 2014. Insomma, i gay e le lesbiche russi cominciano a sentirsi un po’ meno soli.
La reazione dal fronte vodka non si è fatta aspettare. E sorprende. A prendere posizione sulla stampa internazionale è stato Val Mendeleev. Presidente del Consiglio d’Amministrazione del potente gruppo russo Spi (proprio quello della vodka Stolichnaja, tra le più famose). «Sponsorizziamo i Gay Pride in mezzo mondo, da ultimi in Sudafrica, Vienna e Tel Aviv. Produciamo da anni in Lettonia e abbiamo spostato la sede a Bruxelles, nel cuore dell’Occidente. E vorrei precisare che non influiamo minimamente sulle scelte della Dum».
La limitazione del danno nel caso della vodka è naturalmente più che legittima. Il danno alla Russia Io provoca Putin e il suo partito, mentre non c’è azienda russa che abbia mai detto una parola di discriminazione. Diverso, invece, quando il danno si fa in casa, e gratuito e gravissimo. Come nel recente caso di Guido Barilla che un mese fa aveva tuonato in un’intervista: «Niente gay nelle nostre pubblicità». Dichiarazione che ha fatto il giro del mondo e indignare stampa e opinione pubblica internazionale. Tanto che persino testate rigorose e indipendenti come la Cnn o The Guardian si sono espressi a favore di un boicottaggio a tappeto della marca italiana. Dopo le scuse del patron Guido, ora la Barilla va oltre e annuncia iniziative su diversità e inclusione con un board di esperti che dovrebbe occuparsi di «rafforzare il proprio impegno aziendale verso la diversità», cosi il Gruppo Barilla nel comunicato stampa. Dove si sottolinea che «diversità, inclusione e uguaglianza sono da tempo parte integrante della cultura, dei valori e del codice etico della nostra azienda». Particolare che deve essere sfuggito a Guido Barilla. Questo nuovo Diversity & Inclusion Board sarà , composto da esperti indipendenti che aiuteranno Barilla a stabilire obiettivi e strategie concrete per migliorare lo stato di diversità e uguaglianza tra il personale e nella cultura aziendale: in merito a orientamento sessuale, parità tra i sessi, diritti dei disabili e questioni multiculturali e intergenerazionali. Ci saranno David Mixner, leader mondiale della comunità lgbt e Alex Zanardi, medaglia d’oro alle Paraolimpiadi. E Talita Erickson, avvocato di origine brasiliana, attualmente direttore affari legali di Barilla America. Negli States strutture del genere esistono in tutte le aziende medio-piccole. Mentre in Europa quasi ogni Ministero della Famiglia o Affari Sociali ha un dipartimento ad hoc contro le discriminazioni. Il primo fu inaugurato in Germania dal Governo Schroder, nel 2000. Si tratta dell’«Antidiskriminierungsstelle» che ha avuto anche il plauso dell’Onu per la qualità delle campagne informative. A quando un Diversity Board di Governo anche in Italia?