Marina Mastroluca, l’Unità 13/11/2013, 13 novembre 2013
IL PAESE DELLE CARCERI VUOTE
Un letto con una coperta colorata, le pareti immacolate, la scrivania, gli scaffali con i libri. Non fosse per le sbarre - ma anche quelle non sempre ci sono - sembrerebbe più la stanza di uno studente che una cella. Vuota.
La Svezia chiude quattro carceri per assoluta mancanza di detenuti. Due strutture probabilmente verranno messe in vendita, le altre saranno destinate ad usi governativi, ma potrebbero tornare in funzione se dovesse presentarsene la necessità. Eventualità quest’ultima che al momento appare piuttosto remota: dal 2004 la popolazione carceraria svedese è scesa dell’1 per cento all’anno, per precipitare di sei punti percentuali tra il 2011 e il 2012.
Non c’è stato nessun bisogno di indulto, né di eterne misure d’emergenza per sfoltire i detenuti. Mentre l’Italia si espone ad una procedura d’infrazione per l’affollamento in cella tale da rasentare la tortura, la Svezia tira le somme di una politica che ha puntato decisamente verso il recupero e il reinserimento sociale, considerato non solo sulla carta il reale obiettivo della pena carceraria. Per questo Nils Öberg, capo delle prigioni svedesi, ha potuto annunciare la chiusura degli istituti di Aby, Haja, Batshagen e Kristianstad: si aspetta che la tendenza rimanga la stessa anche nel prossimo futuro.
Ad alleggerire il sistema carcerario svedese non è stato solo l’approccio liberal e l’investimento sui detenuti come persone, che pure rimane la bussola - Öberg è il primo a sottolineare la necessità di non tirare i remi in barca. A rimpicciolire il numero dei detenuti è stata determinante l’indicazione della Corte suprema nel 2011 a favore di sentenze più leggere per reati di droga. La maggiore clemenza dei tribunali si è tradotta in meno 200 detenuti in un solo anno: non poco se rapportato ad una popolazione carceraria che l’anno scorso contava 4852 persone su 9 milioni e mezzo di abitanti. Sempre più spesso le corti svedesi si sono orientate a favore di pene alternative a quelle detentive per reati minori.
E così dal 2004 al 2012 il numero di detenuti per furto è sceso del 36% e di quelli per reati connessi alla droga del 25%, mentre si è ridotto (meno 12%) anche il numero dei condannati per crimini violenti. Durerà? Anche se non tirano conclusioni definitive, in Svezia si mostrano piuttosto fiduciosi.
Il risultato è di quelli che fanno sgranare gli occhi, specie se confrontato con il dramma di altri Paesi che si trovano a fare i conti con un numero di detenuti esponenziale. In cima alla lista ci sono gli Stati Uniti, che contano oltre 2,2 milioni di detenuti: 716 persone in cella ogni 100.000 abitanti. Un record assoluto anche confrontato a Paesi meno democratici, come la Russia (475 detenuti su 100.000 abitanti) e la Cina (121). È anche una questione di scelte politiche. Gli Stati Uniti hanno messo sul mercato anche le prigioni - per ragioni di cassa molte sono state privatizzate - e quando un detenuto produce una rendita alla società che ha in gestione il carcere è difficile che lo si lasci andare.
Dal 1980 ad oggi la popolazione carceraria negli Usa è aumentata del 790 per cento e i conti federali non sono migliorati: ogni anno si spendono 50 milioni di dollari per il sistema detentivo, una grossa fetta va ai privati. Malati mentali, piccoli delinquenti e pezzi da novanta finiscono in unico calderone che non salva nessuno. Anche l’Italia con i suoi 64.323 detenuti strizzati in celle che potrebbero contenerne meno di 50.000 ha i suoi guai e - anche se non considera i detenuti come merce - torna ciclicamente al bivio dell’indulto, specie se Bruxelles incalza. Questione di scelte, anche questa.