Francesco Merlo, GQ n. 169 – ottobre 2013, 12 novembre 2013
MERLO INTERVISTA SORRENTINO
Mi porterai con te quando di nuovo andrai a caccia di facce? Le tue facce piacerebbero a Celine, perché sono umanità andata a male, le facce della putrefazione italiana: «Le scovo dappertutto. È la ricerca a cui dedico più tempo». Lombrosiano? «Non lo so». Felliniano?
Paolo Sorrentino si difende dal paragone-sfida con Fellini, e sospetto che non sia modestia. Ammette però che il Servillo della Grande bellezza è, come il Mastroianni della Dolce vita, un succhiatore di sigarette, sniffatore di mondanità cancerogena, con il naso predisposto alla mala aria dei salotti e delle trattorie romane: esalazioni che offuscano le menti e distruggono la verità. È un mondo finito? «È un mondo finito?».
I suoi personaggi fumano tutti: «Mi sarebbe piaciuto fare accendere la sigaretta anche ad Andreotti, ma purtroppo non aveva mai fumato. Tuttavia qualcosa sul fumo l’aveva detta, e io l’ho ritrovata». Eppure oggi il fumo è stato espulso dall’attività godereccia, non sta più tra Bacco e Venere. «Ma i gesti del fumo sono moltO cinematografici, il fumo rende opache le luci e sottolinea il mistero». Ma Toni Servillo, con tutto quel fumo e senza il telefonino, non rischia di essere inattuale? «In una sola scena c’è il cellulare». Sei sicuro che non siano cinematografici anche i gesti del messaggino, dell’ I pod, delle mail, del twitter? «Non appartengono al mondo che racconto». Tu fumi? «Ho smesso con le sigarette due anni fa. Mi concedo il toscano».
La Grande Bellezza è il film dell’anno: «Il più amato ma anche il più odiato» dice. Più di sei milioni d’incasso senza gli ingredienti della commedia, del comico, del sesso. «I miei detrattori dicono che è calligrafico. E mi inchiodano al mio primo film, "L’uomo in più". Pensando di offendermi dicono "quello sì che era bello" e sottintendono: "per caso", "prima che si montasse la testa". Lo girai in fretta e senza soldi. Temevo che non mi avrebbero mai più dato la possibilità di girarne un altro e perciò ci misi le due storie che avevo in mente, due film in uno». E invece ti lasciano fare quel che vuoi. «Ci sono registi che mi parlano di limiti alla libertà imposti dalla produzione. A me non è accaduto». Capita ai grandi – a Fellini capitò – di avere difficoltà a girare film. «È tipico dei registi, diciamo, adulti». Tu sei adulto? «No».
Sei milioni di euro d’incasso: quanti vanno a te? «Niente. Non ho percentuali». Anche tu preferisci vedere i film a casa? «No, sento il fascino della sala, ma ormai ne guardo molti di più a casa». Da solo? «Da solo».
Pranziamo da Roscioli, nel centro di Roma, e Sorrentino scopre la tartare di scampi. Dove ti collochi nella disputa tra carne e pesce? Da vero meridionale risponde: «Nella carne». È schivo e discreto e non gli chiedono autografi. Anche tu come Fellini quando sei in pubblico sembri ingombrato dal tuo corpo: in un certo senso, goffo. È raro, nel mondo del cinema. Gli cito il caso di Nanni Moretti di cui tutti, anche quelli che non vanno a vedere i suoi film, conoscono tutto, persino i tic che lui trasforma in bandiere. Dino Risi diceva: "Moretti, fatti da parte e lasciami veder il film". «Lui è anche attore, io no» risponde, e non so se è difesa o offesa perché Sorrentino, che pure ha un rapporto d’amore con Servillo, non sopporta gli attori «che sono sempre fuori misura». E però si è fuori misura, si è smisurati, non solo ingrandendosi ma anche riducendosi, negandosi, nascondendosi. E tu non sei come Gambardella, che è un flaneur anche se, secondo Benjamin, Roma non può avere flaneur: troppe chiese, troppe piazze. Tu non vai in giro a dissiparti di notte, amaro come un Flaiano fuori tempo. «No. Mi sveglio presto e passo le serate a casa».
Dove ti vesti? «Né sarto né camiciaio. Ogni tanto Armani mi regala un vestito». Dove tagli i capelli? «Dal parrucchiere di mia moglie».
È sposato con una giornalista molto brava e molto allegra e hanno due figli: Anna, che fa il liceo classico «e viene sul set a fare fotografie», e «poi c’è Carlo, il piccolo…». Li vuoi primi della classe o li educhi alla trasgressione? «Non credo nella scuola. Mi annoiano i genitori che parlano sempre di insegnanti. Io a scuola non ero felice». Come Flaiano: "tutto quello che non so l’ho imparato a scuola". Dove hai fatto il liceo? «A Napoli, ai salesiani. Anche Servillo. E benché lui sia più grande di me, abbiamo avuto lo stesso professore di latino, don Cesareo». È stato importante? «Non ho mai capito a cosa servano il latino e il greco». E Manzoni? «Quello mi piaceva persino a scuola». Anche lui, come Gambardella, ha scritto un solo romanzo e ci ha messo 20 anni. Tu scrivi veloce? «Al galoppo». C’è un romanzo da cui faresti un film? «I Divini mondani di Ottiero Ottieri. È la storia di un imprenditore di sanitari che, nel 1968, sogna di vendere bidè agli inglesi e li decora con le immagini di Rodolfo Valentino e della Venere di Cranach». Il Dio dei salesiani? «Non ci credo». I tuoi figli sono battezzati? «No». Ho letto che sei rimasto orfano a 17 anni: «Papà e mamma sono stai uccisi da una stufa: monossido di carbonio». Come lavori con il tuo sceneggiatore? «Ci vediamo a pranzo. Poi io scrivo e gli mando il testo. Lui me lo rimanda e io glielo rimando. È estenuante, ma efficace». Preferisti l’Oscar, al quale sei ora candidato, o il Nobel per la letteratura? «Sceglierei la letteratura».