Vincenzo Ricciarelli, l’Unità 12/11/2013, 12 novembre 2013
ULTRÀ E CAMORRA, COSÌ È IL CALCIO CAMPANO
Per le strade di Nocera, comune che dista da Salerno non più di 17 chilometri, non si parla d’altro; il derby della vergogna ha monopolizzato i discorsi di tutti. Del resto anche qui il calcio è una questione seria, c’è di mezzo l’orgoglio, il «rispetto» quello che gli ultra hanno chiesto ieri con uno striscione fatto volare sopra le teste dei giocatori.
Le parole dello striscione, qui, in questa zona, hanno un significato ben preciso. Sono scolpite nella pietra. L’onore è tutto per chi come una frangia dei supporter di Nocera ha cercato in tutti i modi di influire sulle sorti della società. Qui nessuno ne parla apertamente ma molti credono che in passato, proprio con il loro atteggiamento, abbiano persino influenzato la scelta di qualche allenatore. Di sicuro sono stati protagonisti di altri fatti di cronaca nera tra cui un assalto ad un autogrill di Teano di ritorno da una trasferta a Frosinone, l’anno scorso. Andando a ritroso, poi, si ritrovano incidenti a Barletta, Verona e con i sostenitori del Savoia, squadra di Torre Annunziata, nel Napoletano, altra piazza particolarmente pericolosa.
Il fronte è talmente caldo che più di un giocatore ha scelto di vivere non nella città in cui lavora ma fuori. Qualcuno ha affittato casa a Vietri sul mare o a Cava dei Tirreni, cittadine limitrofe, per evitare contatti con la tifoseria locale. Alcuni giocatori, nel passato, invece, quel contatto l’hanno cercato e voluto. Si sa, ad esempio, anche che uno di loro, Vincenzo De Liguori, che due anni fa in squadra indossava la fascia di capitano, è stato arrestato per detenzione e spaccio di droga.
Non il solo, tra l’altro, ad avere problemi con la giustizia. Nel 2012, il presidente Giovanni Citarella, imprenditore, fu arrestato con altre 15 persone nell’ambito di un’inchiesta della direzione Antimafia di Salerno su presunti appalti truccati. Associazione per delinquere, corruzione, falso erano le accuse. I pentiti del clan Alfieri-Galasso lo hanno sempre tirato in mezzo definendolo «un rampollo della mala», anche se lui è sempre riuscito a dimostrare la sua estraneità. Gino Citarella, che fu il padre di Giovanni Citarella, un tempo il re del calcestruzzo, fu ucciso nel 1990 dai killer di un clan di camorra in lotta con un altro.
Ma il discorso non riguarda solo Nocera e i suoi tifosi ma un’intera realtà. C’è chi fa notare che la mattina del 10 novembre anche i tifosi della Salernitani, prima della partita, si erano comportati in modo piuttosto strano: gruppi ben addestrati hanno imbandito blocchi stradali agli ingressi di Salerno per fermare e pretendere i documenti dagli automobilisti terrorizzati. Volevano accertarsi di persona che nessuno di loro provenisse da Nocera inferiore.
A un passo da Nocera, poi, c’è anche Pagani. Anche il presidente della Paganese, ex sindaco e consigliere regionale Pdl Alberico Gambino, ha conosciuto il carcere: lo hanno accusato di aver preteso sponsorizzazioni forzate da molti imprenditori, tra cui anche la Conad.
Non meno grave è stato quel che nel marzo 2009 accadde a Castellammare di Stabia, quando al rientro da Pistoia, dopo una partita persa in malo modo, gli ultrà costrinsero i giocatori dello Juve Stabia a scendere dal pullman e a transitare in mutande in mezzo alla folla inferocita. Umiliati per una gara. In quel caso, come accertarono le forze dell’ordine, a ordinare la punizione furono esponenti del clan D’Alessandro.
Da un lato gli ultras che professano la propria innocenza; dall’altro chi si vergogna e spera solo che il clamore di questi giorni finisca il prima possibile. Ma al di là delle posizioni di ciascuno una cosa è chiara a tutti: quello che si è visto allo stadio di Salerno non ha nulla a che fare con il calcio e ha gettato alle ortiche ogni lavoro fatto per tenere assieme istituzioni, comuni, società, tifosi con la speranza di poter superare «certi atteggiamenti». Roba che con l’onore e il rispetto non ha nulla a che vedere, almeno che non ci si riferisca ad altre forme di «onore» e «rispetto» delle quali non si sente proprio il bisogno.