Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  novembre 12 Martedì calendario

KALASHNIKOV E TRUFFE È IL PALLONE DEI BOSS


La criminalità organizzata sa che non c’è strumento migliore del calcio per costruirsi un legame duraturo con la popolazione. Se il grande imprenditore alla Berlusconi, alla Cragnotti, alla Tanzi, decide di investire nella proprietà di una squadra senza quasi mai guadagnarci è perché si aspetta ritorni di altro tipo: pubblicità, opportunità di mercato, nuovi rapporti. Il fine che muove le mafie è esattamente lo stesso”. Lo ha affermato il giudice di Cassazione Raffaele Cantone, già sostituto procuratore della Dda di Napoli. Cantone è stato il pm che ha sgominato i vertici del clan dei Casalesi, ha fatto condannare “Sandokan” Francesco Schiavone all’ergastolo, e sui rapporti tra mafie e pallone ha scritto un libro col giornalista Gianluca Di Feo, Football Clan. Il testo cita anche il caso dell’Albanova, la squadra di Casal di Principe sequestrata nel dicembre 1995 e finita al centro di diverse pagine del-l’ordinanza Spartacus, processo reso celebre da Roberto Saviano. La squadra si trovava al secondo posto del girone C della serie C2 e stava per spiccare il volo nel calcio che conta. Il presidente, Mario Natale, era uno degli uomini di fiducia degli Schiavone; il vice presidente, Sebastiano Ferraro, due anni dopo finirà in galera per associazione camorristica. Secondo alcune leggende “Sandokan” andava a vedersi le partite anche da latitante. Era la “sua” squadra. La foraggiava di denaro, era lo strumento per trasmettere messaggi precisi sul territorio. Dopo il sequestro l’Albanova tornerà nel buio dei campionati minori.
È UNA STORIA esemplare di come le mafie rafforzano il loro potere grazie al calcio. Conquistando i ruoli dirigenziali dei club, aizzando le frange estreme del tifo organizzato. O entrambe le cose. Castellammare di Stabia (Napoli), 30 marzo 2009. La Juve Stabia, oggi in B, arranca nei bassifondi di Lega Pro (la ex serie C). Di ritorno da Pistoia dopo la sesta sconfitta consecutiva, i calciatori sono attesi da un centinaio di ultras. Alcuni di loro salgono sul pullman e li costringono a denudarsi delle divise sociali: “Siete indegni di questi colori”. Schiaffi, sputi, cinghiate, i giocatori restano in mutande. Il giorno dopo, al Romeo Menti, sulla panchina della Juve Stabia compaiono undici manifesti funebri e altrettanti lumini. La Dda di Napoli ha messo sotto inchiesta tra gli altri il direttore generale della Juve Stabia dell’epoca, Roberto Amodio, terzino dell’Avellino in Serie A negli anni ’80. Amo-dio è accusato di essere il mandante delle minacce e di essersi avvalso del clan D’Alessandro. Deve rispondere di concorso in associazione camorristica. Il Riesame scrive che la vicenda “si inserisce in un distorto modo di intendere il rapporto tra squadre di calcio e tifoserie più o meno organizzate, divenuto ormai costante nella realtà sociale degli ultimi anni”. Alla fine non si capisce dove finisce la criminalità e dove comincia il calcio.
Un dossier di Libera ha censito 30 clan mafiosi coinvolti nelle principali inchieste sul pallone corrotto. In Calabria un pentito, Luigi Bonaventura, già reggente della cosca dei Vrenna, ha raccontato dell’influenza della ’ndrangheta sul Crotone e sul calcio locale. Bonaventura ha affermato che la promozione del Crotone in C2 avvenne tramite una partita comprata con 500mila euro e una fornitura di kalashnikov alla “famiglia” che controllava la squadra avversaria.
QUALCHE anno dopo, sempre secondo il pentito, lo spareggio per la promozione in C1 col Benevento fu preceduto da un’aggressione ai calciatori avversari: “Li prendemmo a sberle”. Nel 2011 un’inchiesta dell’antimafia calabrese culminò nel sequestro dell’Interpiana e del Sapri, squadre di serie D ritenute appendici del clan Pesce di Rosarno. A Brindisi un delinquente si è finto un addetto alla lettura del contatore dell’acqua, è entrato nella casa del calciatore Fabio Moscelli, Football Brindisi 1912, Seconda Divisione, e ha minacciato la moglie: “Dì a tuo marito che quest’anno è meglio che arrivi la promozione, sennò ne andranno di mezzo i vostri figli”. E l’ha colpita in faccia con un pezzo di legno.