Marco Travaglio, Il Fatto Quotidiano 12/11/2013, 12 novembre 2013
SECONDARIE
Secondo i sondaggi in possesso del Pd, alle primarie di dicembre per il nuovo segretario l’affluenza ai gazebo sarà moscia, specie dopo l’annuncio che Prodi non ci sarà. Nel 2005, alle primarie per la sua investitura a candidato premier, votarono 4.311.149 persone. Nel 2007, per l’elezione del primo segretario del partito, anch’essa molto prevedibile visto che Uòlter era strafavorito, votarono in 3.554.169. Nell’ottobre 2009, dopo le dimissioni di Veltroni e la reggenza di Franceschini, si doveva eleggere il nuovo segretario tra quest’ultimo e Bersani, che poi prevalse, e votarono in 3.102.709. Nel novembre 2012 si doveva decidere il candidato premier alle elezioni di febbraio 2013 fra Renzi e Bersani, che poi vinse (le primarie, non le elezioni), e votarono in 3.110.210. A fine dicembre 2012 si trattava di scegliere i candidati nelle liste bloccate di Camera e Senato, sempre per le elezioni del 2013, e votò circa 1 milione di persone (la cifra esatta non s’è mai saputa). Ora, per la scelta del nuovo leader del partito fra Renzi, Cuperlo, Civati e Pittella, si spera che vadano ai gazebo in 2 milioni e, visto il clima da funerale, sarebbe già un trionfo. Si dirà: alle ultime politiche il Pd ha perso quasi un terzo del suo elettorato in cinque anni, cioè 3 milioni e mezzo di elettori. Vero. Ma è pure vero che, stando ai sondaggi, malgrado le vaccate e le porcate dell’ultimo semestre (dalla pugnalata a Prodi alla resa a Napolitano al governo-inciucio con B.), il partito è più vicino al 30 per cento che al pessimo 25 raccolto a febbraio. Certo, i sondaggi – come insegnano i flop di tutti gli aruspici nelle ultime tre-quattro elezioni – lasciano ormai il tempo che trovano. Ma indicano sempre una tendenza. E quella attuale è il disfacimento del Pdl e la tenuta del Pd, grazie ai suoi elettori votati al-l’eroismo, per non dire al martirio: a ogni tradimento s’incazzano, protestano, occupano le sedi, ma poi si armano di santa pazienza, si tappano il naso e si trascinano alle urne, nella speranza che qualcosa cambi in meglio. Non solo per abitudine, o ingenuità, o disperazione, o mancanza di alternative possibili, o paura del solito B.. Ma anche perché a qualcosa bisogna pure attaccarsi. Se si facesse un sondaggio fra gli elettori del Pd, si scoprirebbe che il leader della sinistra più popolare rimane Enrico Berlinguer (morto 29 anni fa) e il premier più apprezzato resta Romano Prodi. Il quale, con tutti i suoi difetti ed errori, è una persona onesta, non si è arricchito con la politica e ha governato due volte in condizioni difficilissime senza mai farci vergognare dinanzi al mondo di essere italiani. E soprattutto è l’unico ad aver battuto, due volte su due, Berlusconi. Ma quello che agli occhi della base è un grande merito, agli occhi dei vertici è un peccato imperdonabile. Infatti non gli è mai stato perdonato. Due volte Prodi entrò a Palazzo Chigi, due volte venne fucilato alle spalle non dal centrodestra, ma dal centrosinistra. Poi il 19 aprile sappiamo com’è andata: il fondatore dell’Ulivo e del Pd fu candidato al Quirinale per unanime acclamazione dai grandi elettori Pd-Sel al mattino, impallinato da 101 o forse 120 franchi tiratori al pomeriggio. Ora ha detto basta: non ha rinnovato la tessera e non voterà alle primarie. Per il Pd dovrebbe essere uno choc sconvolgente. Tutti ne dovrebbero parlare con sgomento. Epifani e Letta jr. e Renzi e Cuperlo e Civati e Pittella dovrebbero recarsi in delegazione a Bologna, inginocchiarsi davanti a lui e pregarlo di ripensarci. Possibilmente dopo aver iniziato a discutere seriamente sui motivi e sui colpevoli dell’inarrestabile emorragia di voti e di passioni che dissangua il Pd dal giorno della sua nascita. Invece qualcuno fa il sostenuto (“ma come si permette questo Prodi?”), qualcun altro affetta indifferenza (“ma sì, voltiamo pagina”). Perché Prodi è il più detestato da B., ma anche dai vertici del Pd. E per lo stesso, identico motivo.