Giacomo Amadori, Libero 12/11/2013, 12 novembre 2013
ECCO LE CARTE CHE ACCUSANO DE BENEDETTI
Il procuratore di Ivrea Giuseppe Ferrando, pizzetto e nome sabaudi, ha chiesto rinforzi. Giovedì scorso ha inviato alla procura generale di Torino un’email con cui ha invocato una «coassegnazione» del fascicolo sull’amianto all’Olivetti, in cui è indagato anche l’ex presidente dell’azienda Carlo De Benedetti. In organico ha solo due sostituti procuratori, in attesa dei due uditori che dovrebbero arrivare a febbraio. A regime gli inquirenti dovranno diventare sei. Sempre pochi, ma meglio di adesso. Per questo Ferrando ha chiesto un aiuto immediato e in un ruolo specifico: «Un collega che si sia occupato di malattie professionali». In particolare un uomo della squadra di Raffaele Guariniello, il procuratore aggiunto che ha istruito il grande processo contro la Eternit di Casale Monferrato (Alessandria). Anche i consulenti scelti dal pm eporediese Lorenzo Boscagli sono in gran parte quelli che hanno già avuto un incarico in quel procedimento. «Libero» è entrato in possesso del conferimento di incarico del luglio 2012 e ha potuto leggere i nomi del dream team. Si tratta di tre esperti di malattie del sistema respiratorio, di asbestosi e mesotelioma in particolare. I loro nomi sono Corrado Magnani, Ferruccio Perrelli e Pavilio Piccioni. I tre hanno dovuto stabilire se la malattia delle 21 parti lese sia collegabile «all’esposizione lavorativa alle fibre d’amianto», a quando risalga «l’insorgenza» e «se la perdurante successiva esposizione abbia inciso sull’evoluzione della patologia». Nella lettera di incarico si scopre che tra gli indagati c’è anche un discendente di Adriano Olivetti, Camillo. E non è il solo nome eccellente dell’in - chiesta. Ci sono pure il già citato Carlo De Benedetti, il fratello Franco e l’ex ministro Corrado Passera, amministratore delegato dal 1992 al 1996. Come è stato possibile iscrivere quest’ul - timo visto che dal 1991 l’amianto è stato bandito in Italia? Il procuratore spiega che in quegli anni il problema erano il piano di bonifica e la messa in sicurezza delle strutture. Evidentemente, per l’accusa, non tutto è andato come avrebbe dovuto. All’obiezione sul rischio prescrizione per vicende iniziate alcune decine di anni fa, la risposta d Ferrando è netta: «In questi casi il reato si consuma al momento del decesso della parte offesa o dell’insorgenza della malattia per le vittime di lesioni. La prescrizione si calcola da allora». E visto che uno dei lavoratori di Olivetti uccisi dal mesotelioma pleurico è mancato nel 2013, non si profila all’orizzonte alcun rischio per la vita del procedimento. I fratelli De Benedetti sono già stati iscritti sul registro degli indagati per omicidio colposo nel 2010 e archiviati nel 2011, come è possibile che siano stati messi di nuovo sotto inchiesta? «È molto semplice da spiegare» precisa il procuratore, «il vecchio procedimento riguardava un solo caso e un singolo stabilimento, quello di San Bernardo. Oggi l’indagine si è molto allargata, gli impianti sotto osservazione sono almeno quattro e anche il periodo temporale preso in considerazione si è notevolmente allungato ».
In questo processo non si tratta solo di stabilire quando si siano ammalati i lavoratori, ma anche e soprattutto se le loro condizioni di salute siano peggiorate per l’esposizione continuata all’amianto. «Chi non è la causa dell’innesto della malattia, può esserlo del suo peggioramento o comunque di un decorso non ottimale. Ci stiamo concentrando su questo nesso di colpa, sull’evoluzione del male nei soggetti sotto osservazione» precisa Ferrando. Il che complica, e di molto, la situazione processuale di De Benedetti. Non basta: i magistrati hanno chiesto una consulenza sulla struttura societaria della Olivetti del passato, con la ripartizione delle responsabilità. «Vogliamo capire se le eventuali deleghe sul tema della sicurezza fossero piene ed effettive. Se cioè chi aveva ricevuto quell’incarico potesse davvero prendere decisioni in autonomia e avesse a disposizione un centro di spesa indipendente o se invece quella delega fosse solo formale». Mentre Ferrando, esperto di reati contro la pubblica amministrazione, parla si capisce quale sia la risposta nella sua testa in questo momento. Il procuratore, che a Torino si è occupato di casi celebri dal cosiddetto Cogne bis (Anna Maria Franzoni venne condannata per calunnia), alla Tav della Val di Susa ai sassi dai cavalcavia, spera di chiudere le indagini iniziate nel 2012 entro fine 2013. Per ora gli indagati restano 24 e le parti offese 21, in attesa di evoluzioni. Che dovrebbero arrivare dalle consulenze, ma anche dalle indagini portate avanti dalla polizia giudiziaria, ovvero i medici dello Spresal, il Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro della Asl 4 di Torino, competente su Ivrea. A guidare la squadra sul campo è la dottoressa Silvana Cerutti, esperta di medicina del lavoro; già dieci anni fa, nel 2003, aveva iniziato a occuparsi dell’amianto all’Olivetti, come risulta dal verbale di audizione di un lavoratore malato.
Nel procedimento contro De Benedetti sono confluiti numerosi documenti rintracciati dallo Spresal in altri due processi. Carte che dimostrano come anche negli anni ’80 gli interventi a tutela della salute lavoratori fossero insufficienti. Tanto da far scrivere allo Spresal: «Nonostante risultasse nota all’epoca la possibilità di presenza di amianto nel talco industriale e la sua nocività, dall’esame della documentazione in nostro possesso è risultato che talco inquinato con elevate quantità di amianto (tremolite) sia stato utilizzato sino al 1981 in vari reparto di montaggio della ditta Ing Olivetti & c spa come antiadesivo dei particolari in gomma ».
Nel 1981 De Benedetti è vicepresidente dell’azienda da tre anni. E solo allora due campioni di tremolite vengono fatti analizzare da un luminare che gela i dirigenti dell’Olivetti: «Si può asserire con certezza che il numero di elementi “fibrosi” supera le 500 mila unità per milligrammo. Tenuto conto dei limiti ritenuti accettabili in Usa (1000 per milligrammo) è agevole dedurre che i due materiali in esame non devono assolutamente per alcun motivo essere utilizzati come talco industriale se vi è la pur piccola possibilità di una relativa dispersione nell’ambiente». Scatta il panico. A questo punto il Servizio ecologia e sicurezza sul lavoro di Olivetti, il 4 febbraio 1981, reclama l’elenco dei centri Olivetti che utilizzano il materiale tossico. In uno dei documenti consultati da «Libero» c’è una lista scritta a mano che potrebbe agitare non poco i vecchi dipendenti Olivetti di altre regioni italiane. Infatti oltre a quelle piemontesi vengono citate altre tre officine: a Crema, Pozzuoli e P.U., acronimo da identificare, forse Pesaro-Urbino. Solo allora il talco viene bandito. Resta, però, il problema dell’amianto presente negli impianti, dalla copertura dei tubi a quelle dei soffitti. Anche qui i documenti registrano un colpevole ritardo da parte dei dirigenti e una reattività da pachiederma da parte dell’azienda.
Nel 1987 inizia una specie di censimento. Per esempio viene esaminata la copertura di un capannone dell’officina Ope e i risultati sono allarmanti. Un anno dopo, nel 1988, in un’altra lettera, viene previsto «un programma di interventi a medio termine». Passa ancora un anno, siamo nel 1989, e un dirigente scrive: «Si consiglia di applicare una mano di adesivo che fissi le eventuali fibre in via di distacco previo rattoppo, con scagliola o materiali simili della zona visibilmente danneggiata ». Ilmanager fa presente che «come adesivo potrebbe essere impiegato il tipo scelto per un intervento analogo presso la nuova Ico» e spiega che con la tecnica a spruzzo «il getto d’aria potrebbe scalzare parte» dell’amianto «molto soffice». I medici dello Spresal di fronte a queste prove concludono la loro informativa in modo tranchant: «Non sono state adottate idonee misure preventive atte a tutelare i lavoratori».